|| Destino, in sanscrito, vuol dire bufera.
- Non puoi prenderti beffe del destino. - Mi dicevano.
Goccioline gelide cadevano svelte dalla base della fronte, tracciando curve umide e intrise di sudore. Al contatto col mio labbro superiore, si celavano tra le pieghe dello stesso, offrendomi un sapore acre e pungente sulla lingua. L'aridità, in perfetto contrasto, risaliva lungo la mia gola, assorbendo pian piano ogni molecola di salivazione. Sentii la tensione risalire dal basso, dall'alluce del piede, attraversare le cosce molli, ascendere su per gli arti superiori e allungarsi fino ai muscoli del collo, atrofizzandoli. Oscurità. Gli occhi saettavano da un angolo all'altro, tentavano di individuare uno spiraglio di luce. Non un solo rumore si udiva, un silenzio assordante riempiva le tenebre che mi colpivano allo stomaco con una velocità agghiacciante. Uno. Due. Tre pugni potenti e decisi causavano subbuglio e trepidazione al basso ventre. Avanzavo un piede avanti all'altro lentamente, sperando di non collassare a terra per via degli arti apparentemente prolassati.
Udii uno sgocciolare lento e tonante. Qualcosa colava in quello spazio orrido e gelido. Tentai di vagare altrove con la mente, ma lo sgocciolio si intensificò e le vene si chiusero. M'imposi di focalizzare l'attenzione nello scorgere la provenienza di quel suono. Avvertii l'agitazione provenire dal tremolio delle mie dita, espandersi a ogni fibra del mio corpo. Pochi passi dopo, sentii un liquido denso sotto la suola della scarpa. Un susseguirsi di scosse violente colpirono i miei muscoli, tentai di portare a terra il mio corpo convulso, allungai due dita per capire di cosa si trattasse e le avvicinai alle narici, odorando la consistenza del liquido, il colore non mi era visibile. Un odore di ferro investì i miei sensi, il gelo penetrò nelle ossa, sfrecciò dritto verso il cuore. Un calore fulmineo calò subito dopo sulla nuca, penetrò ogni cellula esistente. Le dita si intorpidirono, il respiro si fece celere, gli occhi si spalancarono. Sangue. Una luce improvvisa travolse l'oscurità e fu lì che mi apparve davanti. Lì, inerme a terra, in una pozza di sangue, la testa forata, il colorito bianco, il corpo steso e vestito solo dei suoi lividi addosso. Puntava dritte su di me le sue iridi celesti, palpebre spalancate, pupille dilatate, sguardo agghiacciante. Pareva che, in qualche modo subdolo, mi stesse supplicando di raggiungerlo.
"Non puoi prenderti beffe del destino."
Avevano ragione.
L'assenza d'aria nei polmoni mi fece opporre alle mie angosce. Con un brusco movimento rizzai il busto tachicardico e separai le labbra così che l'ossigeno potesse circolare. Il petto s'alzava e s'abbassava irregolare, gl'occhi proiettavano fulminei e inquieti gli squarci dei ricordi negli angoli della stanza. Impiantai i palmi delle mani nel materasso; le radicai così in profondità che arrivai alle doghe del letto con l'estremità delle dita. Il bruciore allo stomaco mi permise di tornare a percepire la realtà. Pian piano regolarizzai il respiro, chiusi gli occhi e prelevai un elevato quantitativo d'aria. Cercai di riconnettermi ai miei sensi e lasciare nell'oscurità il suo fantasma. Quando li riaprii riconobbi finalmente le mura bianche della camera ove, un tempo, m'addormentavo serenamente.
Mi liberai delle lenzuola e il freddo del parquet mi punse i piedi. Rimasi con i pugni serrati sul bordo per qualche minuto, diedi il tempo all'agonia di sgusciare via per lasciar spazio all'unica emozione che coglievo da quel giorno in stato di veglia: rabbia. Sfregai le unghie sul polso destro, tentando di grattar via la sensazione di morte dalla pelle; il risultato furono solo dei graffi ben visibili e la pelle arrossata, ma non me ne fregava un cazzo. Sollevai a peso morto il mio corpo e un giramento di testa m'indebolì ulteriormente, mi diressi verso la porta del bagno, attorcigliai con forza le dita sulla maniglia e la spalancai.
Un tonfo suonò nello spazio circostante e la mia figura s'impossessò dello specchio. La stanchezza disegnava le curve del mio volto, borse viola contornavano i miei occhi nero pece e la secchezza era la nuova peculiarità delle mie labbra piene. Lo sguardo perso faceva d'accompagnatore alle palpebre pesanti e da assistente alle vene del collo pulsanti. Le lunghezze scure come gl'occhi erano arruffate e spente, giungevano al seno sporchi e gonfi. L'unico punto di luce rimasto nella mia vita brillava sul naso a patatina: il nostril. Il mento stretto e gli zigomi segnati, uguali ai suoi, avrei voluto strapparmeli via. Mi voltai verso la doccia e aprii al massimo il getto ghiacciato, spogliai del tutto il mio organismo poco nutrito ed entrai. Il flusso potente provocò sofferenza agli arti, come se l'acqua fosse grandine che, colpendo i lembi di pelle, potesse essere in grado di spegnere il rogo interiore. Questo era il motivo del perché non bagnavo il mio torso con acqua calda da quell'evento, supplicavo il freddo di congelarmi. Strofinai insistentemente sull'epidermide, cercando di strapparla via insieme alle memorie. Quando m'accorsi che ciò non avrebbe funzionato, mi costrinsi a uscire.
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Orme ||
Mystery / ThrillerRachel vive a Littleton, New Hampshire, negli Stati Uniti. Era sicura di sé, decisa a tessere lei stessa la tela che raffigurava la sua vita, certa di potersi prendere beffe del destino. Finché, proprio quest'ultimo, non le ha soffiato in volto, der...