- Disciplina, Determinazione, Devozione. – Dave Sanders.
Dave – 7 anni prima
Afferrai l'estremità della scrivania e la rovesciai contro il pavimento, il tonfo fu tanto intenso che mi rimbombò nelle orecchie. Mi voltai con le mani che fremevano dalla voglia di distruggere ogni cosa mi capitasse sott'occhio. La mia attenzione venne catturata dal cartellino sulla porta sul quale era inciso - Ufficio della direttrice -, allungai un braccio e lo strappai violentemente. Lo portai alla bocca e lo strappai con i denti, poi gettai la carta a terra e la calpestai con tutta la potenza che possedevo in corpo. No, non puoi mangiare altra carne Dave, non ce ne è per tutti. La negazione di un ulteriore pasto mi aveva lasciato una scarica di adrenalina che necessitavo di sfogare. Non dovevo chiedere il permesso a nessuno per fare niente. Avevo scaraventato la sedia della sala da pranzo e avevo corso verso l'ufficio, saltando gli scalini a tre a tre per poter distruggere il prima possibile ogni suo avere. Gli occhi mi caddero su due fotografie poste sul lato destro della stanza, ero tanto accecato che non mi accorsi cosa o chi contenessero al loro interno. Le strappai dal muro e feci schiantare i vetri sul legno, il rumore sordo echeggiò fino al corridoio. Punte di vetro popolavano le assi di legno graffiate, raccolsi le foto e le ridussi a brandelli. Iniziai a girare su me stesso con le mani che facevano pressione sui lati del capo, serrai la mascella e sentii i denti stridere. Acquisii velocità parallelamente alla tensione che sentivo crescere sin nel midollo. Risaliva la spina dorsale e percepivo il formicolio premere alla base del collo, pronto a farmi esplodere. Vorticavo su me stesso, assorto dal bisogno di distruzione quando, con la coda dell'occhio, vidi una figura sorgere sulla soglia della porta. Pensavo fosse la signorina Desman, mi fermai di colpo. Ero pronto a scagliare la mia furia su di lei, ma catturai una sagoma molto più interessante della sua. Dylan, un ragazzino di un anno più piccolo di me, mi fissava intimorito dietro la parete. Le mani arricciate sui bordi diventate gialle per la pressione inflitta ai polpastrelli e gli occhi sgranati quando lo puntai. Indietreggiò, tenendo le mani avanti tremolanti, come se avessero potuto fargli da scudo – La signorina Densman mi-mi ha detto di se... - Lo afferrai per il colletto senza che potesse concludere e lo trascinai di peso, combattendo con i piedi che tentarono di impiantarsi al pavimento. – D-ove mi porti? – Si lagnò – N-n-no! – Esclamò scalciando quando riconobbe il corridoio dei bagni. – Sta zitto. – Lo strattonai e lo scaraventai oltre la porta. Il suo corpicino venne colpito dalle mattonelle fredde, fece una smorfia di dolore e si rimise a sedere. Sarebbe stato lui la mia valvola di sfogo. Avrei riversato su di lui le voci bollenti che mi vibravano dentro. Restai in silenzio per il resto del tempo, lo presi per il capo e lo feci strisciare sul pavimento sudicio, verso le tazze del gabinetto. I suoi vestiti si macchiarono di urina, sparsa sulle mattonelle. Non ebbe neanche il tempo di rendersene conto che feci pressione sulla nuca e la schiacciai contro il freddo marmo. – Da-Dave, lasciami andare. – Singhiozzò, le mani sui bordi della tazza cercavano di spingere per liberarsi dalla mia presa. Presi con la mano libera il bottone dei jeans e li slacciai, presi in mano il mio membro, che da ormai quattro anni vedevo diversamente, e lo puntai sul suo capo. Una sensazione di liberazione si espanse nel basso ventre, un liquido giallo fuoriuscì dalla punta del mio pube e colò sulla nuca di Dylan. Borbottava, immaginai l'urina entrargli in bocca e soffocarlo. Godetti, il capo all'indietro mentre l'odore ripugnate s'impregnava nei suoi capelli. Gli avevo pisciato addosso e avevo goduto nell'immaginarlo affogare nel mio liquido.
Presente
Sapevo che avrei dovuto avere pazienza, ma non sapevo quanto sarebbe stato dolce il suo risultato. Erano due settimane che, mentre eravamo a scuola, pedinavamo quei due vermi dei quali Kendall aveva deciso il destino. All'inizio Kendall temeva che lo potessero scoprire e aveva quasi tentennato, ma gli avevo spiegato che mentre preparavamo la sua vendetta, il resto doveva restare com'era per non destare sospetti. Non avete idea di come la sua psiche si sia alterata in sole due settimane. Mason e Joseph continuavano a prenderlo di mira, assicurandosi che io non fossi nei paraggi. Invece ero lì, ad osservarli mentre lo deridevano e gli sputavano addosso, mentre lo schernivano sul fatto che non sapesse difendersi da solo e che avesse bisogno di me. Li osservavo ridere e schiamazzare, immaginando la loro ultima preghiera nei confronti del mio allievo. Kendall, come premeditato, continuava a subire senza avere alcuna reazione, ma nei suoi occhi, nei suoi vedevo crescere la rabbia. La sua espressione era ancora impassibile, ma le vene rosse sporgevano e gridavano il male che voleva restituire. Probabilmente, il fatto che si fosse ricordato che quel verme prendesse di mira anche suo fratello, aveva alimentato la tanica di benzina dentro di lui. Un serbatoio nell'anima che ad ogni presa in giro si riempiva sempre più. Quando tornava da me, lo vedevo fremere dalla voglia di mettergli le mani al collo e soffocarli. Lì stava a me, convincerlo che non sarebbe stato soddisfacente come vedere il terrore nei loro occhi, lo stesso che doveva avere avuto Thomas quando erano loro a farsi beffe di lui. Kendall ci credeva, mi credeva. Gli avevo detto che avrebbe dovuto vivere in funzione di quelle due anime scialbe. I primi giorni mi mandava anche dei messaggi compromettenti. Dave, ti prego ho bisogno di proseguire. Dave, voglio il loro sangue tra le mani, andiamo avanti. Dave, voglio vendetta. Vedere quanto avesse bisogno di me mi fece sentire il Re della vita con un servitore che supplicava di servirmi. Avevo nelle mani la sua vita e niente mi aveva mai fatto sentire così pieno. Nonostante ciò, gli avevo ordinato di smetterla con i messaggi perché sarebbe potuto essere rischioso. Questo, aveva migliorato i nostri incontri quotidiani a scuola per seguirli. Lo sentivo sussurrare e borbottare con sé stesso, vedevo gli occhi truci con i quali studiava i loro movimenti e potevo sentire la parola morte solleticargli le labbra.
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Orme ||
Mistero / ThrillerRachel vive a Littleton, New Hampshire, negli Stati Uniti. Era sicura di sé, decisa a tessere lei stessa la tela che raffigurava la sua vita, certa di potersi prendere beffe del destino. Finché, proprio quest'ultimo, non le ha soffiato in volto, der...