Rachel
- La trance ipnotica è un qualcosa che avviene all'interno del paziente. È un processo di comportamento nel quale il paziente altera il proprio rapporto con l'esterno; altera il proprio rapporto con voi e con qualsiasi altra cosa stia avvenendo. -
Milton Erickson
Sangue. Fiotti di sangue sgorgare dal mio corpo debole, scivolare sui seni, decorare la pancia e intrecciarsi sulle gambe. I miei occhi erano coperti da un velo, tutto era confuso. Chiudevo gli occhi e li riaprivo. Buio e luce. Oscillavo senza controllo, a peso morto. La sensibilità alle braccia era scivolata via assieme al sangue. Non sapevo dove fossi, né se ne sarei uscita viva, le palpebre calavano, desiderando di rimanere chiuse. Volevo...volevo morire. Tutto era sballato, dalle fessure degli occhi vedevo un pavimento perlaceo macchiato del mio sangue, mi sembrava di avere un vetro rotto al posto dei bulbi oculari, rigature e graffi rendevano tutto opaco. Il sangue continuava a fluire, a ornare la pelle con un liquido denso e infetto, infetto di lui. Stavo per lasciarmi andare, le energie colavano progressivamente a terra. Il mio sguardo era rivolto a terra, smisi di lottare per tenere gli occhi aperti e, quando la palpebra stava per calare definitivamente, ...un volto. Gli occhi schizzarono fuori dalle orbite, mi divincolai, scalciai per colpirlo. Mi guardava con un ghigno satirico, un sorriso malefico e gli occhi indemoniati. Le palpitazioni aumentarono, sentii il silenzio trattenuto fino a quel momento risalire lungo lo sterno ed esplodere in un grido disperato, in un grido d'aiuto.
Spalancai le palpebre, il buio m'avvolgeva ancor più stretto delle lenzuola arrotolate attorno al corpo. Gli occhi guizzavano da un angolo all'altro della stanza, sentivo i tessuti premere contro la pelle per immobilizzarmi. Il busto era tachicardico, il cuore era indemoniato. Le gocce di sudore centellinavano dalla fronte al cuscino. Sei in camera tua, Rachel. Sei in camera tua. Smisi lentamente di guardarmi attorno, avvertii un formicolio alle dita e strinsi le lenzuola per accertarmi di essere viva. Va tutto bene. Era solo un incubo. Ripresi il controllo sul respiro, inalando l'aria chiusa di camera mia ed esalando l'odore del sangue rimasto fra le pareti nasali. Mi concentrai sul tessuto soffice della coperta, per tornare gradualmente alla realtà. Dal giorno in cui avevo assistito a quella scena deplorevole, il suo volto mi perseguitava. Frequentavamo la stessa scuola, ma cercavo di evitarlo costantemente. Rimanevo spesso chiusa nei bagni o negli spogliatoi, entravo dagli ingressi secondari o, spesso, restavo chiusa in casa. Da quel giorno, le palpitazioni aumentavano regolarmente e gli attacchi di rabbia erano diminuiti. Il fantasma di mio fratello non aveva quasi il tempo di venire a trovarmi per farmi fare i conti con le orme del passato, perché le impronte del presente mi avevano risucchiato l'anima. Nonostante il continuo formicolio sulla schiena che mi premeva sulle ossa, la gola chiusa al minimo rumore e il cuore bloccato al suo pensiero... lo volevo. Una parte di me, quella che sapeva che il mio corpo non avrebbe retto ancora a lungo la temperatura rovente delle fiamme, voleva questi brividi gelidi. Voleva rivivere la scena e sentire ancora le lame recidergli la pelle perché ogni taglio sull'epidermide era un taglio nel passato. Il freddo diramato attorno al cuore sembrava andare in parallelo col tempo esterno. Fuori nevicava, a Littleton, ogni inverno le temperature calavano drasticamente e le vie colorate si vestivano di un manto cristallino. La cittadina dell'allegria sembrava un villaggio irreale, talmente affascinante da mozzare il fiato. Le basse temperature, però, non congelavano i cuori sorridenti dei cittadini, anzi. Sin dall'inizio di novembre, i negozianti soprattutto, s'impegnavano nella rimozione di zucche e fantasmi dedicati ad Halloween, sostituendoli con luci accecanti e festoni decorativi. Solo tre anni prima, passeggiavo per la Main Street con i miei fratelli, stretti nei cappotti e con il naso arrossato. Seguivamo la melodia delle persone che suonavano i pianoforti per strada, saltellavo fra loro ridendo e abbracciandoli. Spesso, facevamo a gara a chi toccava più fiocchi di neve con la punta della lingua. Camminavamo con la testa all'insù, la bocca spalancata e la lingua di fuori, rischiando di scontrarci fra noi e con la gente, ma non ci importava. Eravamo felici. Ora, invece, mi sembrava che ogni fiocco di neve si posasse sul cuore per spegnere una fiamma, ma che la fiamma riaffiorasse per non dargliela vinta. Kendall, se possibile, era diventato ancora più impassibile. Se prima non mi rivolgeva parola, ora non mi accorgevo neanche se mi passava vicino o se era in casa. Dopo quella frase pronunciata in modo sinistro, ora so cosa devo fare, era praticamente scomparso. Tornava a casa, ma non avevo neanche il tempo di dargli contro perché non rimaneva più ore e ore sul divano. Non camminava più per la casa come una macchina, non c'era semplicemente più. Questa, era forse l'unica fiamma che ancora rischiava di farmi bruciare. Non ero certa di quello che stavo per fare, alternai continuamente l'alzare la coperta e il riabbassarla. Misi un piede giù dal letto, poi lo ritrassi. Rimasi ferma, feci un lungo respiro e cacciai fuori l'aria, cacciai fuori il gelo. Spalancai gli occhi e lanciai via la coperta. Eccole, le sentivo riaffiorare e incendiarmi gli organi. Le sentivo sovrastare la neve. Dovevo andare. Dovevo rivedere con i miei stessi occhi cosa succedeva in quell'edificio isolato. Inoltre, quel ponte era il mio luogo, non avrei permesso a nessuno di portarmelo via, neanche a uno squilibrato. Arrotolai velocemente i pantaloni sulle cosce, saltellando su un piede solo, rischiando di cadere. Mangiavo talmente poco che ormai gli abiti mi scivolavano addosso. Seguii il sentiero di legno e giunsi in salone, mia madre era lì, con le sue solite pasticche e lo sguardo vitreo. Eccole ancora, divampare in tutto il corpo. La guardai in tralice e mi dileguai, lasciandola lì, a logorarsi pezzo dopo pezzo, brandello di carne dopo brandello di carne. Il vento pungente di novembre mi schiaffeggiò il volto, contrastando con le vene bollenti che si annidavano sul viso. Lo scricchiolio delle scarpe sulla neve era l'unico rumore udibile nel silenzio di Mapple Street, la via di casa mia avvolta nel verde. I fiocchi di neve si posavano leggeri accanto ai loro compagni stesi a terra, bagnavano anche le mie labbra secche. Svoltai dopo pochi minuti nel vicolo prossimo, proprio quando posai un piede sul legno del ponte, un brivido mi scosse da capo a piedi e il cuore si fermò. Una mano mi aveva afferrato da dietro, mi tirava verso di lui. Gli occhi schizzarono fuori, scalciai braccia e gambe per tentare di scappare.
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Orme ||
Mystery / ThrillerRachel vive a Littleton, New Hampshire, negli Stati Uniti. Era sicura di sé, decisa a tessere lei stessa la tela che raffigurava la sua vita, certa di potersi prendere beffe del destino. Finché, proprio quest'ultimo, non le ha soffiato in volto, der...