Isabella sentiva il respiro accelerare mentre Gabriel si avvicinava, il sorriso enigmatico che si allargava leggermente sulle sue labbra. C’era qualcosa di profondamente disturbante nella sua presenza, eppure Isabella non riusciva a distogliere lo sguardo. Era come se la tensione che aleggiava tra di loro fosse un filo invisibile, difficile da spezzare.
“Non sei come gli altri, Isabella,” disse Gabriel, fermandosi a pochi passi da lei. “Non sei come le altre ragazze che sono passate da qui.”
Isabella cercò di mantenere la calma, ma le sue mani tremavano leggermente. “Cosa vuoi dire?”
Gabriel la osservò per un lungo istante, come se stesse decidendo quanto dirle. “Questo posto… cambia le persone. Le consuma dall’interno, se non sanno come resistere. Ma tu… tu sembri più forte.”
Isabella sentì una fitta di confusione e inquietudine. “Non capisco di cosa stai parlando.”
Gabriel fece un passo indietro, e l’ombra sembrò riavvolgerlo. “Lo capirai,” mormorò. “Ma quando quel momento arriverà, spero che tu sia pronta.”
Prima che Isabella potesse rispondere, Gabriel si voltò e uscì dalla stanza, lasciandola sola con i suoi pensieri. Rimase immobile per qualche minuto, cercando di dare un senso a ciò che era appena accaduto. Le due parole erano come un enigma, un puzzle di cui non aveva ancora tutti i pezzi.
Tornò alla cena, cercando di mascherare il turbamento che le attanagliava il petto. Margaret la notò subito, avvicinandosi con un sorriso caloroso che sembrava fuori luogo in quel contesto.
“Isabella, cara, tutto bene?” chiese con un tono che lasciava intendere una preoccupazione nascosta.
“Sì, solo un po’ stanca,” rispose Isabella, cercando di sembrare più tranquilla di quanto si sentisse. “La cena è stata meravigliosa.”
Margaret annuì, ma c’era un’ombra nei suoi occhi, come se sapesse più di quanto volesse far trasparire. “Capisco. È normale all’inizio. Questa casa può essere… opprimente, per chi non è abituato.”
Quella frase sembrò calare un velo di silenzio tra di loro, e Isabella si chiese se Margaret fosse consapevole delle stranezze che aveva notato in casa, se fosse cosciente della natura ambigua della sua famiglia.
La notte cadde pesante su di lei, portando con sé un silenzio che sembrava più profondo e inquietante di quanto avesse mai sperimentato. Isabella si ritirò nella sua camera, cercando di scacciare via i pensieri inquietanti che l’avevano accompagnata per tutta la giornata.
Appena si sdraiò sul letto, una sensazione di freddo la avvolse. Rabbrividì, tirandosi le coperte fin sopra le spalle, ma il freddo sembrava provenire da dentro di lei, come se fosse radicato nei suoi stessi pensieri.
Cercò di dormire, ma il sonno non arrivava. Ogni piccolo rumore della casa sembrava amplificato, i leggeri scricchiolii delle pareti, il fruscio del vento contro le finestre. Si girò e rigirò, finché il suono di un sussurro non la fece sussultare.
Si tirò su a sedere di scatto, gli occhi spalancati nel buio. Ascoltò attentamente, trattenendo il respiro. Per un momento, pensò di averlo immaginato, ma poi il sussurro tornò, più chiaro questa volta. Proveniva dal corridoio.
Isabella scese dal letto, ogni fibra del suo essere urlava di non aprire quella porta. Ma la curiosità, o forse qualcos’altro, la spinse ad andare avanti. Aprì la porta lentamente, il cuore che batteva forte nel petto. Il corridoio era immerso nella penombra, ma c’era qualcosa, un’ombra che si muoveva lentamente, come se la stesse aspettando.
Fece un passo fuori, cercando di capire da dove venisse quel suono. Si rese conto che il sussurro non era una voce, ma piuttosto un insieme di suoni indistinti, quasi come un vento che passa tra le fessure di una finestra mal chiusa.
Il suono la guidò verso la fine del corridoio, dove una porta si trovava leggermente socchiusa. Isabella si avvicinò, il cuore in gola, e la spinse lentamente. La stanza dietro la porta era buia, ma non era vuota. Al centro, c’era Emily, seduta per terra con le ginocchia al petto, dondolando leggermente avanti e indietro.
“Emily?” sussurrò Isabella, con la voce tremante.
La bambina non rispose subito. Continuò a dondolarsi, i suoi occhi fissi su qualcosa che Isabella non poteva vedere. Finalmente, Emily si voltò verso di lei, e Isabella notò che i suoi occhi erano lucidi, come se avesse pianto.
“Non dovresti essere qui,” mormorò Emily, con una voce che sembrava più vecchia di quanto fosse. “Lui non vuole che nessuno entri qui.”
“Chi è lui, Emily?” chiese Isabella, cercando di mantenere la calma.
“Il Demone,” rispose la bambina, e per un attimo, Isabella pensò che parlasse di Gabriel. Ma poi Emily aggiunse, con un tono più infantile, “Il Demone del buio. Lui vive qui, e non gli piace che lo disturbino.”
Isabella sentì un brivido freddo lungo la schiena. Non sapeva se credere a ciò che Emily diceva o se fosse solo l’immaginazione di una bambina spaventata. Ma c’era qualcosa nel modo in cui parlava, nella certezza nella sua voce, che la faceva dubitare.
“Emily, torniamo nella tua stanza, va bene?” cercò di convincerla, allungando una mano verso di lei.
Emily scosse la testa, i suoi occhi azzurri pieni di terrore. “Non possiamo. Lui è arrabbiato. Ha detto che se proviamo a uscire, ci prenderà.”
Isabella cercò di nascondere il panico che le cresceva dentro. Doveva restare calma per Emily, ma la situazione stava rapidamente sfuggendo al suo controllo. “Emily, ascoltami. Nessuno ci prenderà. Io ti proteggerò.”
La bambina la guardò per un lungo momento, poi annuì lentamente. “Prometti?”
“Lo prometto,” rispose Isabella, con più sicurezza di quanta ne sentisse. Prese Emily per mano e, con il cuore in gola, la guidò fuori dalla stanza e lungo il corridoio.
Mentre si allontanavano, Isabella sentì il sussurro crescere di intensità, come se qualcosa di invisibile li stesse seguendo. Accelerò il passo, cercando di non guardarsi indietro. Quando finalmente raggiunsero la stanza di Emily, Isabella chiuse la porta dietro di loro, il respiro affannato.
Emily si arrampicò sul letto e si infilò sotto le coperte, stringendosi forte a un peluche. Isabella rimase accanto a lei, accarezzandole i capelli, cercando di calmare sia la bambina che se stessa.
“Lui non verrà qui, vero?” chiese Emily, con una voce tremante.
“No, non verrà,” rispose Isabella, cercando di suonare convincente. “Sei al sicuro, ora. Dormi, piccola.”
Emily annuì e chiuse gli occhi, ma Isabella sapeva che né lei né la bambina avrebbero dormito serenamente quella notte.
Quando finalmente uscì dalla stanza di Emily, Isabella si sentiva esausta. Si appoggiò alla porta per un momento, chiudendo gli occhi e cercando di calmare il cuore che ancora batteva furiosamente nel petto.
Non appena aprì gli occhi, quasi sobbalzò. Gabriel era lì, in piedi in fondo al corridoio, il suo volto nascosto nell’ombra. La stava osservando, come se sapesse esattamente cosa era appena successo.
“L’hai vista, vero?” chiese, la sua voce un sussurro che sembrava fondersi con l’oscurità che li circondava.
Isabella annuì, incapace di trovare le parole.
“Non dovresti entrare in quella stanza,” continuò Gabriel, il suo tono ora più freddo. “Ci sono cose in questa casa che non puoi comprendere. E alcune porte dovrebbero rimanere chiuse.”
“Ma Emily…” iniziò Isabella, ma Gabriel la interruppe con un gesto brusco.
“Emily... non dovrebbe nemmeno lei..."
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L' inganno della casa dorata
Chick-LitIsabella è una giovane italiana in cerca di avventura e di una nuova prospettiva di vita. Decide di lasciare il suo piccolo paese per diventare una ragazza au pair in America. Attratta dal fascino della cultura statunitense e desiderosa di migliorar...