«Perché papà è così arrabbiato?» la voce soffusa di Evelyn riempì la stanza.
Louis alzò un sopraciglio a sentire la domanda di sua sorella, era venuta in camera sua una mezzoretta prima con lo scopo di passare un po' di tempo col fratello prima che questi sarebbe uscito da casa.
«Non lo so, Eve.» rispose cercando una maglietta a maniche lunghe nera.
«Come no? Scusa, è arrabbiato con te, Lou.»
Il ragazzo si morse il labbro. Faticava ancora ad ammettere che sua sorella stesse crescendo, alcune volte la vedeva ancora come quell'esserino all'interno dell'incubatrice in ospedale, ma erano già passati sei anni e Evelyn stava diventando grande senza che lui se ne rendesse conto, presto sarebbe diventata una ragazza e lui non sarebbe stato più il suo mondo, quello da cui prendere esempio e da imitare. Non che avesse qualche capacità per essere copiato dalla sorella, ma cercava di impegnarsi per insegnarle qualcosa di decente.
Fatto sta che alcune volte la trattava come una bambina di due anni, non accorgendosi che sua sorella era sveglia.
«Papà mi odia.» mormorò infilandosi la maglietta e facendo un sorriso sarcastico alla sorella.
Evelyn lo guardò stupita: «Ma Lou, perché se ti odia ti porta a scuola, di dà i soldi e ti vuole bene? Perché ti vuole bene, vero, Lou?»
Louis trattenne una risata, non sapeva chi di più, tra lui e suo padre, odiasse l'altro.
«Certo che mi vuole bene.»
«E allora perché dici che ti odia?»
«Eve, ascoltami: il concetto di odio è molto esteso. Secondo me, ma questa non è opinione di tutti, c'è modo e modo di odiare. Hai presente quando fai un esercizio di matematica e non ti viene, e in quel momento senti di odiare più di te stessa la matematica? - La sorella annuì vigorosa - Ecco, quello è un modo di odiare, non odi per tutta la vita la matematica, ma solo in quel momento. Poi, per esempio, c'è l'odio duraturo, quello che ti dura per sempre e non puoi fare niente per fermarlo.»
La sorella lo guardò comprensiva, ma anche con un po' di scetticismo negli occhi, alla fine domandò: «Papà non ti odia da tutta la vita, vero?»
«No, tesoro, no. - Mormorò indossando un paio di vans nere - Se mai è il contrario.»
«Tu lo odi?» domandò stupefatta.
«Credimi, Eve, arriverai anche tu a un'età in cui l'odio farà parte della tua vita quotidiana. Tutto sommato, però, non odio papà. - La rassicurò, anche se la bambina non sembrò crederci più di tanto - Ora, sono le nove e mezza, vuoi che ti accompagno a letto così puoi leggere il tuo libro?»
Evelyn scese dal letto tutta contenta, la conversazione avuta con il fratello poco prima l'aveva già abbandonata e andò saltellante in camera.
Louis la raggiunse sorridente, prendendo prima la giacca e le sigarette, una volta giunto in camera dalla sorella, le chiuse le tende e le rimboccò le coperte.
«Lou, quando torni dormi con me?» le chiese stringendo il suo coniglietto-peluche.
Louis sorrise e le accese l'abat-jour, «Certo, tesoro. Buona lettura.» e le diede un bacio sulla fronte.
«Ciao, Lou. Ti voglio bene.» sussurrò quasi.
«Anche io.» ricambiò e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Scese la scale e passò in cucina a salutare la madre, era merito suo se usciva quella sera, «Eve è in camera.»
«Grazie, Lou.» mormorò la donna accarezzandogli la guancia.
«Ciao, ma'.» disse afferrando il mazzo di chiavi.
«Non fare tardi.»
Louis sorrise tranquillo e uscì di casa, dopo aver respirato l'aria della sera, si accese una sigaretta.Maxie si sistemò il cappellino di lana posato sui capelli biondo scuro e affondò le mani nelle tasche, la musica nelle sue orecchie rimbombava dando una colonna sonora alla sua passeggiata.
Adorava camminare, soffrendo di claustrofobia non prendeva mai autobus o treni, alcune volte aveva perfino timore a salire in macchina, se quest'ultima non era abbastanza spaziosa.
Per questo, aveva passato gran parte della sua vita a camminare e camminare, non a correre, era dell'idea che la vita andava presa con calma, calcolando ogni singola cosa e decidere il risultato finale. Voleva fare una divisione riducendo il suo giro d'amici? Maxie la faceva, senza problemi. Voleva fare una moltiplicazione aumentando il numero di accordi in una canzone? Nemmeno su questo il ragazzo si faceva drammi.
La vita era come una colonna sonora di un film, una sequenza di canzoni che andavano divise, moltiplicate, addizionate, sottratte tra di loro.
Il marciapiede era deserto, mentre sulla strada qualche volta passava una macchina, Maxie camminava tranquillo godendosi il primo album dei Queen. Giocherellava con i soldi in tasca e non vedeva l'ora di iniziare la serata, mettendo in pausa la sua colonna sonora personale.
Arrivò a un bivio e come tutti i sabati svoltò a destra, come tutti i sabati percorse il campo arido e come sempre giunse davanti a un condominio abbandonato.
Era grigio, ma la luna già alta nel cielo lo faceva apparire bianco con ombre nere. C'erano tantissime finestre, alcune rotte, altre aperte e altre ancora chiuse. Era un ritrovo per i senzatetto e per i drogati, eroinomani, cocainomani e alcolizzati, c'era un bel giro. Forse il migliore di tutto il quartiere.
Alcune persone erano poste sul ciglio della strada, come scheletri.
Maxie era così abituato a quella visione che non vi prestò nemmeno più attenzione, ma la gente lo guardava e lo invidiava. Lui aveva ancora una vita, non come loro che vivevano per la droga, aspettando che arrivasse la dose finale.
Erano fantasmi con un cuore funzionante e le vene imbrattate di droga, non sapevano neanche loro perché vivessero ancora, ormai la loro vita era andata sprecata.
C'era di tutto: ragazzi maggiorenni, adulti, qualche vecchio, persino alcuni ragazzini che erano entrati nel giro e non riuscivano più a uscire.
Maxie abbassò il volume della musica e si diresse dalla sua spacciatrice, era entrata nel giro da poco tempo, ma era riuscita subito a guadagnarsi la fama, infatti possedeva la roba più buona e a un prezzo uguale agli altri.
La ragazza, come tutti i sabati sera, era lì, appoggiata alla parete con il suo zainetto nero sulle spalle. Il cappuccio tirato sulla testa, nascondendole il viso. Maxie una volta aveva intravisto il mento bianco e tondo, ma nulla di più, le gambe addirittura erano nascoste nell'ombra, non permettendone la vista.
L'unica cosa che la ragazza mostrava erano la mani, bianche e candide, mani di una bambina.
La ragazza rimase impassibile fino a che Maxie si posizionò davanti a lei e sempre con le mani in tasca chiedeva: «Hai mezzo grammo di marijuana e un altro mezzo grammo di fumo?»
La ragazza allungò la mano e attese.
Maxie sorridendo pensò 'prima i soldi', così mise la mani in tasca e li tirò fuori.
La giovane li prese e li tenne in mano, successivamente, fece scivolare lo zaino dalle spalle e ne tirò fuori la roba, la passò a Maxie in due bustine differenti, poi contò i soldi.
Maxie rimase lì a guardarla, alcune volte moriva dalla voglia di sapere chi ci fosse dietro quel cappuccio, ma poi si rifiutava e si diceva che se voleva rimanere nascosta un motivo c'era.
Si vide ritornare indietro cinque dollari, ma non li accettò e mormorò: «Hai un pacchetto di sigarette?»
Sempre rimanendo in silenzio, la ragazza gli diede un pacchetto di Marlboro. Il ragazzo lo afferrò e alzandolo in segno di saluto, se ne andò.
Mentre lasciava il posto sentì dei passi dietro di sé e voltandosi vide un ragazzo, grazie al riflesso della luna notò le sue pupille dilatate al massimo, Maxie capì che era in crisi d'astinenza.
Rialzò il volume della musica e iniziò a fare quella cosa che non aveva mai avuto intenzione di fare.
Iniziò a correre.

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Mission || l.t
Fiksi Penggemar«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli. «Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi. «Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l'avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sull...