Capitolo 37. In punta di piedi

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Ma sì, cosa?

È letteralmente una pazzia. Verremo scoperti in tempo record e la mia punizione si concluderà al compimento dei miei diciotto anni.

Eppure, eccomi qua, con un paio di pantaloni e una maglietta addosso. Lo sto seguendo, tra i corridoi di casa, fino al cortile. Quasi tutte le luci del palazzo sono spente, tranne quella di nonna Rosalba che tiene la televisione sul canale di varietà e quella di Matteo, al piano terra, impegnato a giocare al computer.

Strisciamo come ombre sotto il porticato, giriamo verso l'androne ad arco a tutto tondo che precede il portone e ci fermiamo di fronte a uno dei due battenti con il cuore in gola. So benissimo che appena proveremo a tirare la maniglia del batacchio interno, il cigolio sarà così pesante da far tremare i muri e mettere in allarme qualcuno. Ma forse saremo più discreti.

Così l'afferriamo insieme, mettendo quanto meno forza possibile al fine di spostare le ante di pochi centimetri per volta. Tuttavia, il nostro intento di restare furtivi fallisce miseramente.

Il portone rimbomba e l'eco si diffonde in tutto il cortile.

«Merda...».

A questo punto non ci rimane che chiudere tutto e tornare nelle nostre stanze facendo finta di niente o...

«Antonella?».

Mia sorella è di fronte a noi con i capelli sfatti e il viso consumato dal pianto. Evidentemente ha litigato con Giuseppe ed è tornata a casa.

La luce di alcune finestre si riflette sul cortile interno, segno che la nostra fuga sta per concludersi.

«Che state facendo?», chiede Antonella leggermente infastidita.

«Noi...», provo a dire. «Volevamo...».

Come faccio a spiegarle il nostro folle piano in pochi secondi? Ma Antonella lancia due rapidi sguardi, uno su di me, l'altro su Lorenzo. Infine, stringe gli occhi fino a ridurli a due sottilissime fessure.

«Andate».

Sono sorpreso. «Cosa?».

«Andate», ordina mettendo un piede dentro e spingendoci fuori. «Vi copro io».

«Grazie...». Non so cos'altro dire.

«Grazie», dice Lorenzo, ma Antonella ci ha già chiuso il portone in faccia.

Allora ci guardiamo un'istante negli occhi per realizzare quello che è appena successo. Sorridiamo, perché è stato talmente assurdo da non essere vero. Devo assolutamente parlare con mia sorella e ringraziarla per tutto. Nel giro di pochi secondi ha intuito quello che volevamo fare e ci ha coperti le spalle.

«Dove andiamo?», mi fa Lorenzo dall'alto dei suoi riccioli tutti scompigliati.

Con ancora le labbra curvate all'insù, gli afferro la mano e corriamo. Corriamo come se il vento in persona ci stesse inseguendo. Prima una strada, poi un'altra, attratti dalla musica e dall'aria di festa.

Piazza Federico di Svevia non è mai stata così viva e pulsante. C'è una corrente di aria fresca che trapassa le fronde degli alberi e ruota intorno ai torrioni di Castello Ursino. Il maniero, con la sua imponenza, svetta e occulta parte del cielo, ma è intorno a esso che si sviluppa la movida catanese. Ci dirigiamo verso il lato nord della piazza, dove chioschi e bar si annidano e un piccolo palcoscenico è stato eretto per fare esibire cantanti e artisti locali. In questo momento, c'è proprio una band che suona musica siciliana riarrangiata in chiave moderna. Ragazzi e ragazze sono tutti qui che ballano come forsennati. E Lorenzo mi trascina con loro tirandomi per il braccio. Saltiamo, cantiamo e giriamo in tondo al ritmo di basso, tamburi e tamburelli.

1 - Il Serpente e la Fenice (Parte Due)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora