Capitolo 26. Era quello che volevi, no?

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Bussano alla porta.

«Lorenzo?».

Oh, merda! Sono ancora nella sua stanza. Mi volto. Lorenzo è tutto storto a causa mia, ma si sta risvegliando, mentre sua madre bussa di nuovo con fermezza.

«Lorenzo? Sei sveglio? Ti devo parlare...».

Che potrebbe pensare se ci trovasse tutti e due nello stesso letto?

Scivolo per terra e sbatto il sedere con tanto di stelline negli occhi. Penso a un posto dove nascondermi, ma poi mi ricordo che esiste una porta comunicante tra le nostre camere e che non c'è una chiave.

Lorenzo si rianima dal suo torpore e mi osserva un po' stralunato. Gli faccio segno con le dita di non parlare e di non fare rumore, mentre arretro nella penombra della sua camera per raggiungere la porta comunicante e chiudermi al di là di essa.

L'operazione è più facile a dirsi che a farsi, perché inciampo prima sulla sedia e poi contro la scrivania. Per non parlare del fatto che ho messo un appendiabiti nella mia stanza per impedire al me stesso del futuro di utilizzare questa scorciatoia tra le camere, ma adesso avrei voluto essere meno lungimirante.

Con un po' di fatica, faccio cadere l'appendiabiti e mi ritrovo chiuso nella mia stanza. Dall'altro lato, sento Laura fare un passo avanti e chiedergli che cosa erano quei rumori. Spero che non sospetti nulla, ma i miei timori salgono appena avverto i suoi passi avvicinarsi alla porta e... aprire la finestra. Okay, non ha capito niente.

«Devo parlarti», sento dall'altro lato.

Non dovrei stare incollato alla porta a origliare, ma il tono di Laura sembra abbastanza teso ed è in grado di mettermi una curiosità addosso che non riesco a trattenere.

Lorenzo risponde, ma non capisco che dice. Allora abbasso l'orecchio fino a raggiungere la toppa vuota della porta e finalmente non ho più barriere.

«Stamattina ho parlato con tuo zio Tiziano».

«Che cosa... che cosa voleva?», chiede Lorenzo sbadigliando.

«Ha detto che dopo quello che è successo ieri sera, non può più proteggerci come prima».

«Che vuol dire?».

Dopo un momento di esitazione, Laura riprende a parlare con voce strozzata.

«La Setta del Crepuscolo ha provato a ucciderti, Lorenzo, e io non posso sopportare di perdere anche te».

«Mamma...».

Mi si stringe il cuore.

«Catania non è più sicura. Zio Tiziano vuole che torniamo a Roma».

Cosa?! A Roma?

«Davvero?». Lorenzo è felice. «Quando?».

«Sta trovando una nuova sistemazione per noi, però... torneremo a casa. Così potrai riprendere la scuola e riprendere la tua vita».

A Roma... proprio ora? Perché? La Setta del Crepuscolo potrebbe inseguirli fino a lì. Non ha senso tornare, qui starebbero più al sicuro, no?

«E Rosario lo sa già?», chiede Lorenzo.

«Sì, sta aiutando lo zio con i preparativi. Per ora ha detto di non uscire per evitare di...».

Scivolo sulla soglia della porta, non riesco più ad ascoltare. Lorenzo se ne va. Punto. Proprio ora che siamo diventati amici, che ho trovato qualcuno che mi capisce, che mi sa ascoltare. Mi ritroverò di nuovo solo con questa famiglia che non mi ascolta e non mi apprezza per quello che sono veramente. Perché? Perché deve sempre finire così? Quando ho finalmente qualcosa di bello tra le mie mani, questo sparisce come sabbia portata via dal vento.

Solo. Come lo sono sempre stato.

La maniglia della porta comunicante si abbassa, ma Lorenzo non riesce a entrare a causa del peso del mio corpo. Mi conficco i palmi delle mani contro le orbite e strofino via le lacrime. Non posso farmi vedere così da lui e la paura fa spazio alla lucidità. So perché sta succedendo tutto questo e dovrei essere felice per lui. Finalmente può tornare a casa, come ha sempre voluto. Restare qui significa continuare a vivere nella prigione che rappresentano queste quattro mura e di certo non desidero la sua infelicità.

Mi alzo in piedi, devo essere forte per lui.

Lorenzo apre la porta. «Marco, io...».

Quando incrocia il mio sguardo, esita.

«Hai sentito tutto?».

Mi sforzo in un sorriso. Ce la faccio. Ce la devo fare. «Finalmente, torni a Roma».

«Sì...», risponde lui incurvando le labbra verso l'alto.

«Era quello che volevi, no?».

«Mi dispiace...».

Ora sorridere mi riesce bene. «Perché? Puoi tornare a scuola, dai tuoi amici, alla tua vita! Non sarai più costretto a vedere mia zia Beatrice o il resto della mia famiglia».

Sto per chiudere la porta, ma lui mi blocca con una mano.

«Scusami, mi devo prepare».

«Per cosa? È domenica...».

«Devo incontrarmi con i miei amici».

Spingo con più forza e lui si arrende. Rimetto a posto l'appendiabiti e cerco il mio telefono in mezzo al caos sulla mia scrivania. È quasi scarico, così lo metto in carica e nel mentre mando un messaggio nel gruppo di Fantasia.

"Ho bisogno di parlarvi".

Perché in fondo, sono un po' egoista e meschino. Finché c'era Lorenzo li ho messi un po' da parte e ora che so che se ne andrà, corro subito da loro. Anche questo è sintomo di quanto sia patetico, o no?

Note dell'autore

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