Capitolo 4 - Mattoncini di lego

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Veronica era stata la prima a uscire dalla libreria, con una borsetta carica di libri. Sua zia aveva anche provato a convincerla che quattro libri in più da aggiungere a quelli dei suoi figli non erano una così grande spesa, ma la ragazza si era impuntata per fare da sola e alla fine era stata lei ad aprire il portafogli e a pagare per avere ciò che, dopo tutto, sarebbe diventato suo e di nessun altro. Non le piaceva quando le persone facevano le cose al posto suo, perché, sebbene sapesse che con più persone a fare una cosa quella sarebbe stata meno faticosa, aveva anche la capacità di comprendere che qualcosa fatto da sé dava molto più soddisfazione, e riuscire a pagarsi i libri da sola era già abbastanza per riempirle il cuore di una consapevolezza sua. Quei soldi se li era guadagnati facendo dei piccoli lavoretti sia durante le estati che nel corso degli anni scolastici. Pagare qualcosa con quello che aveva messo da parte la faceva sentire bene, piena di autostima e orgoglio per se stessa, nonostante pagare quel genere di cose non fosse una così grande spesa, era sempre un piccolo passo avanti.

Il secondo a uscire dal negozio era stato Francesco, che aveva lasciato sua madre al seguito di Leonardo, ancora intento a cercare un libro per sé. Veronica aveva fatto un cenno con la mano al ragazzo, mentre si stringeva fino a stare a filo con quello che era lo spigolo più esterno del negozio

«Tutto bene?» Francesco le si era avvicinato

«Sì sì, perché?»

«Ti vedevo un po' persa -il ragazzo aveva fatto una piccola risata, mentre si rilassava sotto la luce del sole, che gli illuminava il volto su cui aveva un sorriso pieno, a trentadue denti- anche se, pensandoci, ti vedo sempre così, quindi credo sia proprio una cosa tua, eh?» Aveva girato il volto verso di lei, inclinando la testa di trequarti.

«Non proprio, è l'effetto delle cose nuove»

«Ti disturba abbandonare la monotonia?»

Veronica era rimasta interdetta, con la lingua appoggiata sul palato e una risposta decisamente poco cortese che premeva per uscire. Rispondere pacatamente in quelle situazioni le risultava difficile, perché la parte meno razionale di lei prendeva il sopravvento, lasciandola molto spesso pentita di quello che diceva, ma inevitabilmente consapevole doversi controllare, cosa in cui molto spesso falliva, quindi, basato il pensiero di essere gentile come fondamenta per la sua risposta, aveva preso un piccolo respiro, per poi riprendere a guardare Francesco diritto in faccia.

«Non avevo una vita monotona, mi piaceva, avevo le mie comodità e le mie cose da fare, sapevo come muovermi e di certo non mi servivano le balie per andare in gir... -Aveva sgranato gli occhi, mordendosi la lingua- scusa, non intendevo dire che voi siete...nel senso -Il tono della sua voce era andato ad abbassarsi sempre di più, fino a diventare un sussurro- di certo un senso non c'è, ci sono solo io che mi comporto da stronza.» Aveva guardato a terra, mortificata, almeno fino a quando lui non le aveva posato una mano sulla spalla.

«È okay, dopo tutto sei qui da una giornata e mezza, nemmeno, mi sarei preoccupato di più se tu mi avessi risposto con tranquillità.» Lei aveva alzato lo sguardo quando lui aveva tolto la mano, per riportarla al suo posto nelle tasche dei pantaloni

«Era una domanda trabocchetto?» Lui le aveva sorriso

«No, era... sarcasmo, anche se avrei potuto evitare»

La conversazione era stata interrotta in quel momento, quando Angela e Leonardo erano usciti dal negozio e sua zia li aveva chiamati a gran voce per invitarli a seguirla, quindi Veronica aveva semplicemente lasciato che fosse Francesco il primo a seguirli e, più guardava la schiena del ragazzo dondolare ad ogni passo davanti a lei, più le sembrava una figura fraterna con cui confidarsi, le ispirava fiducia.

Sentendo il telefono vibrare nella tasca dei jeans Veronica si era affretta a prenderlo e con sollievo aveva notato che era proprio sua madre a chiamarla, aveva risposto, portandosi il telefono all'orecchio il più in fretta possibile. Aveva aspettato quella telefonata da quando sua madre le aveva detto di aver messo la modalità aereo per il viaggio, incredibilmente lungo tra l'altro, che aveva fatto. Le erano salite le lacrime agli occhi quando aveva sentito la voce di sua madre e si era dovuta tenere ad Angela per non perdersi tra la folla che alloggiava le strade di Treviso. Non era una persona troppo sentimentale, ma sua madre era pur sempre la donna più importante della sua vita, e non sentirla aveva peggiorato di molto quella che era una situazione pensante. Si era asciugata le lacrime con il palmo della mano sinistra, visto che l'altra era stretta da sua zia in una presa forte, e aveva cominciato a parlare con sua madre che, curiosa come era, le aveva fatto un sacco di domande, alle quali Veronica certe volte non sapeva nemmeno come rispondere, e quindi si mettevano a ridere entrambe, felici di sentirsi serene. Perché per quanto infimo fosse, per quando distanti l'una dall'altra, era comunque il loro momento, eterno di pura commozione nel finito dei minuti che disponevano. Perché sua madre era la cosa che le mancava di più, e la consapevolezza di starle distante per così tanto tempo la uccideva dall'interno come un veleno mortale, almeno prima sapeva d'essere in un tempo finito di una settimana, in quel momento, aveva soltanto la certezza che sarebbero potuti essere cinque mesi come sette, e in qualsiasi caso avrebbe dovuto accettare quella condizione, che andava ben oltre la sua generica normalità.

Broken Hearts - Destini incrociatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora