Quella mattina profumava come una semplice e comune giornata d'inizio Settembre, con i ragazzi che si godevano i pochi momenti di libertà prima di rimettere la testa sui libri, i tuffi in mare, ora un po' più freddo, le grida dei turisti stranieri sulle spiagge, le lenzuola messe ad asciugare sui balconi più alti dei palazzi, che mosse dal vento sembravano onde bianche che si infrangevano nel cielo. Quella mattina aveva un certo sapore aspro di rammarico, di nostalgia, un certo che di fine estate che portava le persone a passeggiare nei parchi, i cui alberi erano ancora coperti da foglie verdi, e queste quasi splendevano sotto il sole, come a voler dire che loro c'erano ancora, che non tutto era già finito. In pochi sentivano quel senso di amarezza, eppure, quelle poche foglie già cadute facevano notare un po' spavaldamente come sempre di più la stagione stesse cambiando, come presto la natura sarebbe stata più cupa, simile a un urlo silenzioso che avrebbe tolto ogni linfa di vita.
Non ci credeva molto negli Dei, eppure, mentre si tirava dietro la valigia fino alla stazione dei treni e si osservava intorno, pensava sempre di più al mito greco di Demetra e Persefone, un modo come un altro di dare una spiegazione mitica a ciò che, di per sé, non aveva niente di mitico.
Settembre aveva sempre avuto quel carattere contrastante di perenne incoerenza, diviso a metà tra la nascita e la morte: in un certo senso capiva perché proprio quello fosse il suo mese preferito. Però quel particolare mese di Settembre non le dava un chissà quale motivo per essere amato, quasi lo detestava con tutta sé stessa: mai, come allora, aveva cambiato la sua vita.
Lei camminava, camminava veloce per le vie della città, sotto i portici, in mezzo alla strada, al bordo delle righe, l'importante era fare in fretta, tanto che quando le sue scarpe toccavano il suolo facevano un rumore sordo, quasi inudibile, palpabile solo a un orecchio fine. Pareva quasi che avesse qualcosa da perdere, ed era perfettamente vero; perché nonostante camminare sotto il sole di Settembre non fosse al pari di camminare sotto a quello di Agosto, le sembrava che il tempo scorresse molto più lentamente del vero, e questo l'aveva portata a quella familiare sensazione di essersi dimenticata qualcosa, qualcosa che assomigliava molto all'orario del treno su cui sarebbe dovuta salire; forse ci sarebbe anche riuscita forzando di più la corsa, ma non lo sapeva nemmeno lei. La valigia, al contrario delle scarpe, faceva un rumore che era perfettamente udibile, sui ciottoli, dove in quel momento i suoi piedi camminavano svelti, le ruote si scontravano con la pietra e talvolta ci si incastravano anche. Come una visione paradisiaca, la stazione dei treni si era palesata davanti a lei, facendola fermare un attimo, il fiato corto e la leggerezza nel cuore. Il biglietto lo aveva già, incastrato in una tasca dei suoi jeans, quindi le era bastato prendere la valigia dal manico più corto, scendere e salire le scale fino ad arrivare al binario che era stato predestinato al suo treno. Era stata fortunata, visto che avrebbe dovuto fare una corsa unica fino a Treviso, senza dover scalare in città che non conosceva. Le piaceva viaggiare in treno, molto più che in aereo o in macchina, poiché quel piccolo pezzo di mondo che riusciva a vedere dai finestrini passava davanti ai suoi occhi come un filmato, e a lei pareva di starsene ferma lì, a guardare tutto quel movimento, senza accorgersi che effettivamente si stava spostando insieme a tutto il resto. Un istante è così breve e intenso che imprimerlo nella propria memoria diventa più semplice quando si è carichi di sentimenti: quella era una di quelle cose che aveva sempre saputo, e che col tempo aveva anche imparato a comprendere; il treno, nella sua mente, rappresentava l'ideale rappresentazione fisica del suo pensiero.
Quando aveva sentito l'annuncio che da lì a pochi minuti sarebbe arrivato il suo treno si era alzata dalla valigia, che le aveva fatto da appoggio improvvisato, e aveva timbrato il biglietto, per poi spingersi a una discreta distanza dalla linea gialla. Il treno era arrivato con il suo solito fischio e l'ennesimo annuncio della voce femminile, lei, incurante, aveva lasciato che il vento le scompigliasse i capelli, portandoli un po' da tutte le parti, e aveva chiuso gli occhi, beandosi di quell'istante familiare che la riportava a quando era piccola. Si era incamminata verso i vagoni che sapeva essere i più vuoti, quelli più esterni, e aveva preso posto, spostando la valigia davanti a sé, con la borsa e il borsone sul sedile affianco, poi, aveva atteso che il treno partisse per mettersi gli auricolari.
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Broken Hearts - Destini incrociati
Romance"Lunghi capelli corvini e occhi come il miele, dalla forma affilata come quelli di un gatto. Ecco lei cosa era, la perfetta rappresentazione del suo ruolo nella sua vita: un gatto nero che gli stava attraversando la strada a rallentatore, portandogl...