Nel tumultuoso scenario del 1564, l'Impero Ottomano estende le sue spire su un già vasto dominio grazie alla violenza e alla sottomissione. Contemporaneamente, in un remoto villaggio di montagna che sorge nella valle del Kuban, il giovane sedicenne...
"Anche quando sai di perdere devi batterti lo stesso. Perché l'importante non è vincere o perdere: é battersi." - Alekos Panagulis
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Le urla di guerra si mescolavano al crepitio delle case divorate dalle fiamme. Gli scoppi degli archibugi nemici facevano tremare la terra, e nel caos collettivo donne e bambini stavano tentando la fuga in una rapida discesa verso il valico che conduceva al territorio vicino di Armavir.
Iskander si trovava nel cuore di quell'eco, il respiro affannoso e il cuore martellante nel petto. La sua mente era annebbiata dall'adrenalina e dal terrore, ma le parole di suo padre gli riecheggiavano chiare nella testa: sopravvivere.
L'attacco degli Ottomani era stato rapido, brutale, un'onda inarrestabile che si era abbattuta sul villaggio come un fulmine. Gli uomini circassi, per quanto valorosi, erano pochi, troppo pochi per resistere a una forza tanto superiore. I turchi, armati di spade e archibugi, avevano ora circondato l'intero borgo con una precisione letale, sbarcando sulla costa e attraversando il versante ovest come un fuoco in grado di consumare ogni cosa al suo passaggio.
Iskander, nascosto dietro un muro ormai divelto dagli spari, osservava con occhi spalancati l'orrore che si apriva davanti a lui come una voragine. L'arco gli tremava nelle mani e le frecce risultavano essere un espediente inutile: aveva già scagliato diversi colpi piuttosto incerti e tremanti, che tuttavia erano riusciti ad andare quasi sempre a segno, ma ogni volta che un soldato cadeva, altri tre sembravano prenderne il posto.
Tra i lampi dei proiettili e il fumo che avvolgeva l'aria come una cortina, vide suo padre lottare con ferocia. Tigran era un guerriero nato e il suo coraggio era pari soltanto alla sua abilità con la spada. Ogni colpo era preciso, ogni movimento calcolato. Gli affondi letali.
« Fatevi avanti! » lo sentì urlare, mentre agitava la punta insanguinata della lama.
« Padre! » cercò di farsi avanti per spalleggiarlo, ma aveva il timore di essere più un peso che una risorsa.
Tigran venne circondato da tre barbari. Con un urlo di rabbia, colpì il primo alla gola, facendolo rantolare a terra; riuscì a trafiggere il secondo soldato al fianco ma il terzo gli assestò una ferita alla spalla. Il dolore lo fece sussultare e lo spinse a cadere in ginocchio.
Il tempo rallentò all'improvviso nell'istante in cui Iskander vide un altro ottomano avvicinarsi silenzioso come una biscia, con la spada sollevata. Inforcò una freccia e prese la mira: « No! » gridò, scagliando il dardo con tutta la forza che aveva in corpo.
La freccia sibilò in aria.
Il soldato venne colpito, ricadendo al suolo con un tonfo. Ma prima che potesse gioire per quella piccola soddisfazione, Iskander vide suo padre tossire sangue e scivolare a terra. « Padre! » corse verso di lui, rovinando genuflesso, e fu allora che vide la ferita sul suo sterno. Sanguinava copiosamente. Provò a tamponare la ferita, invano.