Capitolo 29

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La mattina successiva mi svegliai ancora piu confusa del giorno precedente. Isabel era stata da Carlos, e, anche quando mi aveva chiamato per telefono, non le avevo detto nulla di quello che era successo con mia madre per non farla preoccupare. Lei mi avrebbe spinto a dire tutto ma sapevo che non era la scelta giusta in quel momento.
Anche Charles mi aveva chiamata diverse volte ma io avevo deciso di non rispondergli. Mi ero limitata a torturarmi leggendo tutti i messaggi che mi aveva inviato. Ovviamente però, da brava idiota qual'ero, senza rispondere.

'Cosa è successo con tua madre?'
'Perfavore Cecilia, rispondi'
'Ignorarmi non serve a niente'

Mi giravano tantissime cose per la mente, tanto che mi sembrava di avere persino la vista offuscata.
Il mio cervello continuava a ruotare come un frullatore.
Charles non deve sapere questa cosa. Lui non starebbe zitto e finiremmo per creare un guaio molto più grosso di quello che già non è. Metterei a repentaglio anche la sua di carriera e andrebbe tutto allo sfascio.
Mia madre non era il tipo di persona che si sarebbe tirata indietro e io sinceramente non avevo intenzione di rischiare. Sfidarla non mi riusciva bene nemmeno da bambina quando desiderava un giocattolo nuovo.
E se mia madre era intransigente figurarsi mio padre. Lui probabilmente avrebbe trovato il modo di licenziarmi in tronco. Anzi, togliamo il probabilmente: lo avrebbe fatto e basta a quel punto.
Rimaneva solo una cosa da fare: allontanarmi da lui.
Per l'ennesima volta nel giro di pochi giorni le lacrime mi appannarono la vista, ma al posto di rituffarmi a capofitto sotto le coperte, come avevo fatto per tutta la giornata precedente, decisi di alzarmi e cercare di fare qualcosa, perché sicuramente stare ferma non faceva altro che peggiorare il mio stato d'animo.
Dovevo soltanto mettere in ordine tutto e concentrarmi sul lavoro: finire di organizzare ciò che mancava per l'imminente Gran Premio a Singapore e poi risolvere la faccenda con mia madre andando a Milano. Ah e ovviamente il tutto continuando a ignorare Charles, cosa un pó difficile dal momento che lavoravamo per la stessa scuderia.
Mentre cercavo di non pensare a tutto questo, mi feci una doccia, rimisi a posto alcune cose nel salotto e infine arrivai a lavoro con l'autobus. Proprio quella mattina non mi andava di disturbare nessuno per un passaggio. Era in quei momenti che rimpiangevo il fatto di non essere riuscita a prendere la patente. Eppure la paura era talmente forte da non farmi venire nemmeno per un istante la possibilità di riprovarci ancora.
Provai a distogliere l'attenzione per cercare di non sovraccaricare il mio cervello: non serviva a niente pensare a tutti i problemi della mia vita.

Volevo solo stare sola, e soprattutto cercare di non piangere più. I miei genitori erano così da quando ne avevo memoria, non sarebbero cambiati nemmeno se il mondo avesse iniziato a girare al contrario, quindi piangere non avrebbe fatto alcuna differenza.
Arrivata davanti allo stemma più famoso di tutti i tempi un pensiero mi invase.
Enzo... Ti prego almeno fammi trovare la soluzione per quella benedetta macchina! Nessuno capisce dove sta il problema e tra due giorni si parte per il gran premio!
Mi sentii un idiota. Stavo davvero chiedendo a Enzo Ferrari una grazia?
Scossi la testa e ritornai alla realtà. Una realtà abbastanza difficile da affrontare, ma per quanto dura non potevo certo rinchiudermi a casa per sempre.
Quando entrai cambiai quasi subito idea.
Beh forse, in fin dei conti, potrei tornare indietro, no?
Tutti si voltarono a guardarmi ma nessuno degli ingegneri mi salutò.
Ordini di mio padre immagino.
L'unico volto familiare che mi rivolse un cenno fu Andrea che come incoraggiamento mi schiacció l'occhiolino. Ma nemmeno lui aveva indugiato oltre.
Mio padre era troppo importante lì dentro, era prossimo a diventare team principal (stando a quello che dicevano le voci di corridoio) e nessuno osava fargli uno sgarbo.
Mi chiusi nel mio ufficio appena ne ebbi l'occasione, ma proprio quando pensavo di essere salva ecco che qualcuno bussò alla mia porta. Qualcuno mi perseguita...
«Ciao Cecilia, mi hanno detto che ti aspettano ai box, dovresti andare velocemente, da quello che ho capito è urgente»
Disse Francesco, un ragazzo molto gentile che tral'altro era forse uno dei pochi che non ce l'aveva con me.
«Si, adesso arrivo, grazie»
Quando lui mi rivolse un sorriso e uscii mi salii il panico.
Ok, Cecilia. Nulla di cui aver paura vai li e fai il tuo lavoro, devi solo fare finta di niente.

Mi misi gli occhiali da vista, quasi come se rappresentasse una qualche barriera di difesa, e arrivai al box. Appena aperta la porta mi ritrovai davanti Charles che parlava con gli ingegneri.
Subito il loro vociferare si spense.
Caló il silenzio.
Lui mi rivolse uno sguardo carico di domande.
Gli altri due ingneri invece si scambiarono delle occhiate che lasciavano poco all'immaginazione...
«Buongiorno»
Dissi, guadagnandomi un saluto freddo da parte degli altri due.
«Buongiorno, ci è stato comunicato che oggi lavorerai con noi»
Alzai le sopracciglia sorpresa.
«Cosa?»
Uno dei due si giró verso di me mentre l'altro continuava a tenere incollato il volto al computer.
«Il signor Sainz ci ha detto che sarai tu a occuparti dei collaudi per il prossimo GP.
Quindi ti conviene fare un buon lavoro, oppure ci andremo di mezzo tutti quanti»
Boom! Mio padre ha fato cosa? È per caso una mossa per distruggermi definitivamente in modo tale che tutti sappiano quanto io sia inutile?
Mentre Charles continuava a passare lo sguardo anche lui confuso da me a loro io rimasi scioccata per qualche istante senza sapere cosa rispondere. I due senza fare ulteriori commenti, finirono ciò che stavano facendo e mi lasciarano in mano dei blocchi di fogli. Quasi non cadetti per il peso quando me li mollarlo tra le braccia.
«Adesso il nostro lavoro è tuo. Cerca di non deludere nessuno»
Con questo si dileguarono fuori dai box senza lasciarmi nemmeno la facoltà di rispondere. Ma...che cavolo... Cosa diavolo dovrei fare io!?
«Cecilia...»
Iniziò Charles. Mi girai verso di lui.
«Mio padre ha deciso di attaccare. Stavolta seriamente»
Poggiai i fogli sopra la scrivania e feci un respiro profondo.
Com'era quella frase? Hai voluto la bicicletta? Si? E allora adesso pedala.
Ti arrangi Cecilia.
La voce di mio padre mi invase la mente. Era la tipica frase che mi diceva quando chiedevo il permesso di fare qualcosa che lui non approvava.
«Devo parlare con lui»
Feci per scappare dalla stanza e raggiungere l'ufficio dove mio padre stava confabulando altre idee per rovinarmi, quando Charles mi fermó prendendomi il braccio.
«Perché ieri non mi hai risposto?»
Abbassai lo sguardo. I suoi occhi mi facevano male, mi stava trafiggendo con quelle iridi verdi. Feci in modo che mi lasciasse, quel contatto iniziava a bruciarmi la pelle.
«Ho bisogno di risolvere tutto questo casino Charles, per ora non ce la faccio»
Mi costò cara quella frase. Qualcosa dentro di me si ruppe quando vidi i suoi occhi perdere un pó della loro luce.
Poi di colpo il suo sguardo si fece più duro e la sua mascella si contrasse.
«Dopo tutto questo tempo, stai scherzando?»
Scossi la testa ritornando a guardarlo dritto negli occhi.
Dovevo essere coraggiosa per me stessa in quel momento.
«No. Siamo stati bene ma abbiamo fatto un errore madornale Charles. Io e te non siamo fatti per stare insieme. È stato solo un momento, la situazione ci ha...»
Non mi lasciò finire. Si avvicinó pericolosamente a me obbligandomi ad alzare ancora di più la testa per guardarlo.
«Non ci provare nemmeno a dire una cosa del genere. Non so cosa abbia detto o fatto tua madre, ma non mi importa, mi hai capito?»
Un dolore al petto si irradiò fino alla gola. Sapevo che stavo per fare una cosa orribile ma non avevo altra scelta.
«Non c'entra niente quello che mi ha detto mia madre. Io voglio pensare a me stessa in questo momento. Non ho tempo per un altra persona»
Con questo, dopo che ancora una volta il mio cuore perse un battito, mi voltai, cercando di nascondere le lacrime. Non volevo e non avevo la forza di guadare il suo volto dopo che quelle parole così dure erano uscite dalla mia bocca.
«Ti ho già detto che fuggire via da me non ti serve a nulla, e lo sai anche tu»
Senza più rispondere lasciai il box.
Quando fui fuori nel corridoio, da sola, appoggiai le spalle al muro.
Stavolta fa davvero male, un male immenso, proprio al petto. Mi manca l'aria.
Poggiai una mano sorpa la trachea sentendo il mio petto alzarsi e abbassarsi velocemente.
Un respiro, due respiri, tre respiri...
Doveva andare così.
Un'altro respiro più lento.
Non potevo fare niente di diverso: non si trattava solo di me. Non potevamo rovinarci a vicenda solo perché pensavamo di provare qualcosa l'uno per l'altro.
È stata tutta un illusione. Adesso però devo andare avanti, devo riprendere a respirare...

SPAZIO AUTRICE:

Hello beautiful people! Se volete mirarmi con una freccia mentre tengo una mela sopra la testa siete autorizzati🍎🏹🏹🏹
So di essere stata poco attiva, ma ho dovuto risolvere i casini che si sono presentati nella mia vita nelle ultime settimane. Anche se non è tutto ancora in ordine tanto da permettermi di stare tranquilla, voglio comunque continuare questa storia, che già sapete essere il mio posto sicuro.
Che dite, ci nascondiamo insieme da questo mondo che non ci merita?

Vi auguro ogni bene,
Alla prossima,

Vostra,

- K. Loud

Into You - Charles Leclerc Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora