Capitolo 2

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Ogni volta che incontro per la prima volta uno sconosciuto, mi basta guardarlo negli occhi per pochi istanti per capire meglio chi ho di fronte. Lo faccio perché mi aiuta a comprendere immediatamente gli estranei. Ammetto che è una strana fissazione, ma innocua.

In quel caso, l'Agente che mi trovai di fronte era robusto e squadrato, alta circa un metro e ottanta, con un mascellone spigoloso e uno sguardo severo che denotava rigore. Portava una radio sulla spalla, e attaccata al cinturone teneva invece una pistola lucente.

Riuscii a leggere il numero identificativo sul distintivo: uno-cinquantasette, anche se il riverbero accecante del sole mi costrinse a sbattere gli occhi. Era la prima volta che un Agente si presentava a casa mia. L'ansia che provavo ora era un grumo stabile al centro del petto, e mi stava occludendo la trachea. Ad attenderlo sulla strada, alle sue spalle, c'era l'auto nera.

"Che succede, Agente?" mi costrinsi a dire con un'espressione interrogativa stampata in faccia.

La bocca di uno-cinquantasette si aprì in un sospiro profondo. Capivo che stavo per ricevere una notizia spiacevole.

"Lei è il Comunitario K?" si presentò così, senza tanti convenevoli, omettendo il saluto.

"Sì, ma a che proposito?"

"Ha un documento?"

Invece di chiarire, scelse di rispondere alla mia domanda con un'altra domanda, ignorando la mia richiesta di spiegazioni.

"Mi può mostrare un documento, prego?"

"Ho la sensazione che lo sappiate già. Senta, potrebbe almeno dirmi il motivo della sua presenza qui?" chiesi, cercando di mantenere la calma.

"Le ho chiesto se ha un documento d'identità" precisò.

"Si, certo. Ma, aspetti un momento. Posso almeno sapere il motivo?" insistetti. Ma lui continuò a guardare dietro di me, come se ci fosse qualcosa di più interessante. 

Mi tremavano le mani, mentre prendevo il documento all'interno del portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni.

"Il mio documento è in regola. Non dovrebbe esserci alcun problema."

Tirai fuori dal portafogli il mio tesserino di riconoscimento, con il logo del Dominio e una mia piccola fotografia.

"Ecco tenga ..." dissi mentre glielo porgevo.

Lo sentii respirare mentre lo esaminava. La luce intensa ostacolava la mia vista, impedendomi di vedere chiaramente il  suo volto. I raggi solari colpivano direttamente il mio viso, eppure, con un po' di sforzo, riuscii a intravedere la sua divisa e il distintivo: una D rossa sul petto.

Dopo aver controllato il tesserino, fece un cenno d'assenso e me lo restituì. Poi alzò lo sguardo, e fu in quel momento che notai che al posto degli occhi aveva due biglie di vetro, fisse e prive di espressione. La comunicazione che stava per condividere sarebbe stata la parte più difficile. Comunicare a qualcuno che il suo mondo stava per sgretolarsi è un compito arduo.

Nel frattempo, strinsi gli occhi, cercando di mettere a fuoco la figura di fronte a me, come se in questo modo volessi vedere anche le parole che stava per pronunciare.

"La prego di prestare attenzione a ciò che sto per dirle". Nonostante la freddezza, nelle sue parole percepii una tristezza velata. Annuii debolmente. "Si tratta dei suoi genitori, e temo di doverle dare una notizia molto..."

Lo interruppi:" Come? Cosa è successo?"

Ci fu un lungo silenzio, poi riprese a parlare.

"Molto dolorosa. Un incidente" rispose, mantenendo gli occhi puntati oltre me.

DOMINIO - È tempo che riavvolga il nastro dei passiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora