Capitolo 10

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La settimana successiva decisi di tornare, anche se con una miscela di nervosismo e curiosità. L'approccio diretto e le domande scomode del nostro primo incontro mi avevano colpito, spingendomi a ripresentarmi. Quando entrai nello studio, il dottor Wallace era già seduto dietro la scrivania, sfogliando delle carte senza fretta. Appena mi vide, mi offrì la mano, come se fosse la nostra prima presentazione.

"Allora, eccoti qua. Tutto a posto? Come va?" chiese con tono pacato e con il solito interesse velato per il mio tempo libero, un tema che, sapevo, sarebbe riemerso più avanti nella conversazione.

Sembrava una semplice routine, ma sotto quelle domande si celava qualcosa di più.

'"Sì, bene," risposi con una leggera esitazione e un sospiro.

Dopo quel "sì" incerto, sapevo di aver già trasmesso un'impressione diversa da quella che avrei voluto.

"Siediti," mi disse, con lo sguardo rivolto verso la finestra che incorniciava la città immersa in una fredda luce invernale.

Quella volta scelsi il divano, lasciando la sedia vuota. La luce, mutevole quel giorno, filtrava attraverso la finestra, alternando chiaroscuri nello studio.

"Hai fatto qualcosa di interessante?"

Avevo sperato che la mia prima risposta bastasse a chiudere l'argomento, ma evidentemente non era così. Come era già accaduto nel nostro primo incontro, percepii l'atmosfera tesa, anche se, in realtà, era serena. Mi irrigidii senza quasi accorgermene, una domanda semplice, ma per me terribilmente imbarazzante. 

Mi morsi il labbro inferiore, rischiando di farlo sanguinare, mentre cercavo qualcosa di significativo da dire. Mi spostai sul divano, nel tentativo di trovare una posizione più comoda.

"Mi legga nel pensiero e avrà la sua risposta." Risposi, come se fosse la cosa da dire più normale del mondo. "Scherzo. Insomma...," aggiunsi, cercando di mascherare il mio disagio, mentre il mio sguardo si perdeva per un attimo nel vuoto.

"Capisco," disse. La mia risposta, però, sembrava non soddisfarlo completamente. Lo capii dal suo sorriso furbo.

"No, non credo. Lei non può capire," aggiunsi con un'inflessione seccata di cui mi pentii subito.

"Vuoi parlarne?" chiese, con un tono che invitava alla riflessione.

"Non lo so. E di cosa, poi?"

"Ci sono novità?"mi chiese, perplesso dalla mia ostilità.

Scrollai, intanto, la testa, come a dire che non avevo voglia di parlarne.

"In che senso?" 

"Immagino che sappia già la risposta." 

Si prese un momento per riflettere, mentre io mi lasciavo andare sul bracciolo del divano. Notai che era ridotto male, probabilmente perché altri pazienti, o dovrei dire clienti, vi si erano seduti sopra.

"In realtà non lo so, finché non mi darai una risposta sincera."

Alzai le spalle e risposi: "Se vuole la verità, allora le rispondo niente."

"Proprio niente da raccontare? Di grosso, di piccolo... niente?"

 "Niente assoluto." Che altro avrei potuto dirgli? Era la pura sincerità.

"Non mi hai ancora detto tante cose," continuò il Dottor Wallace, cercando di chiarire.

"Mi creda, per me è molto difficile aprirmi. Sono un vero casino. Questa è la verità," confessai.

"Ho capito il messaggio."

"Mi sembra tutto così complicato."

"Cosa intendi?"

DOMINIO - È tempo che riavvolga il nastro dei passiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora