1. CRY

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Daphne
Alcuni dicono che piangere sia una bella cosa, ma come tutte le belle cose, se si esagera, annoia. Nel mio caso, però, piangere stufa gli altri che mi stanno intorno. Che sia per un test non andato come mi aspettavo, per tutta la rabbia che mi tengo dentro, per una storia con un ragazzo finita male, io mi ritrovo a piangere quasi sempre. Fin da bambina mi sono vergognata per questo fatto, e forse mi sono anche chiusa in me stessa. Essere soprannominata 'la bambina piagnucolosa' non ti porta affatto a essere aperta con tutti. Sfortunatamente per me, piangere ogni tre per due non è l'unica pecca che mi porto dietro, ma sembra che nel tempo io abbia perfezionato uno dei difetti più odiati: la risposta sempre pronta. Almeno, dopo tutti i difetti ereditati da mia madre, un po' di astuzia, è rimasta anche a me. Contemplare il soffitto, adesso, sembra l'unica cosa che mi possa far ragionare, infatti, mi ritrovo in biblioteca con un libro appoggiato sulle cosce di cui non ho letto neanche una pagina. Per me è appena finito il liceo e invece di godermi la fine della mia adolescenza e l'inizio della mia vita da maggiorenne, sono nella mia biblioteca preferita prima di partire per la California, per passare le vacanze con zia JJ. Dopo esser stata accettata a Yale per studiare Economia come mio padre, mi sono chiesta se quella fosse la mia strada, ma i Wallace vanno a Yale da secoli, e perché Daphne Wallace dovrebbe rovinare questo traguardo? Sento la canzone Gasolina rimbombare per la biblioteca e rispondo con rapidità alla chiamata, con le guance in fiamme. Scorgo lo sguardo torvo della bibliotecaria e afferro la mia borsa a tracolla in cui c'è tutto l'occorrente per il viaggio. E' mio padre ed è venuto a prendermi per partire. Saluto frettolosamente la signora Miller che è ancora infastidita per il fatto che non abbia subito riposto via il telefono, ma ignoro le sue occhiatacce con ben poca voglia di discutere. Ecco la seconda figlia di mio padre: la grossa BMW nera con seggiolini in pelle parcheggiata davanti all'edificio in mattoni rossi. Mi fiondo dentro all'automobile lanciando un frettoloso sguardo alla mia città natale e rivolgo un sorriso altrettanto frettoloso a mio padre.
-Ciao D- mi saluta lui passandosi la mano nei capelli biondi e corti. -Pronta a partire?-
-Certo- rispondo asettica, i pensieri ancora mi vorticano nella testa un turbolento uragano.
-Tesoro, stai bene?- domanda John Wallace con una punta di preoccupazione nella voce, ma lo sguardo rimane fisso sulla strada.
-Sì, sono solo... Emozionata- mugugno, ma gli aggettivi corretti sarebbero pensierosa, sfinita e preoccupata.
-Hai un faccino, non sembri affatto emozionata, piccola-
-Se è per questo non ho neanche quattro anni- rispondo piccata dal suo modo di parlarmi.
-Lo so bene, il prossimo anno frequenterai Yale!- esclama entusiasta tamburellando le dita sul volante. Se prima non volevo che mi parlasse in quel modo, adesso, pur di non nominare l'università, preferirei che mi trattasse come se non avessi diciott'anni. Per fortuna arriviamo all'aeroporto senza trovare troppo traffico e ci dirigiamo subito al mio gate facendoci spazio tra la gente che corre da una parte all'altra tenendo i biglietti in mano. E' arrivato il momento dei saluti e anche se delle lacrimucce tentano di scivolare sulle mie guance, per questa volta mi trattengo. Passa una mano nei miei capelli rosso fuoco e mi aggiusta le ciocche dietro le orecchie tempestate di orecchini, in modo paterno. Sembra avere uno strano luccichio negli occhi.
-Sono fiero di te e Daphne, anche tu devi esserlo di te stessa, sei una ragazza forte e lo sei sempre stata, in fondo- forse troppo in fondo. Accenno un sorriso malinconico e mi avvio senza voltarmi neanche una volta, uno sforzo sovrumano, per un'emotiva come me.
Sono sull'aerio, per la prima volta affronto questo viaggio da sola e vorrei che ci fosse qualcuno mi possa stringere la mano, ma in qualche modo mi accontento di rannicchiarmi contro il seggiolino con le cuffiette infilate nelle orecchie. Quando mi addormento c'è solo Taylor Swift che mi tiene compagnia e anche se di poco, mi sento più rincuorata.

Centinaia di persone mi bloccano la vista e mi sento una naufraga in mezzo al mare con una semplice e stupida borsa. Poi la vedo. Sventola le braccia come una matta facendo oscillare i capelli ramati e acconciati alla buona. Gli occhi sono coperti dagli occhiali da sole dalla buffa montatura tigrata e indossa una maglietta su cui c'è stampato in rosa: "Happy Summer!". Un sorriso involontario si fa spazio sulle mie labbra. Mi ricorda molto mia madre, quella donna sempre di buon umore, con la passione per il verde e la pittura, dalla chiome rossastra come la mia, più accesa della zia JJ, e dagli occhi grigi come i miei. Ho sempre amato il fatto di assomigliarle così tanto, perché mi sembra di averla accanto. Corro verso Jess e mi slancio così tanto che per un attimo rischiamo di cadere ancora avvinghiate in un abbraccio.
-Ehi, fiorellino, come sei bella!- esclama lei accarezzandomi la guancia.
-Solo perchè ho preso da te!- rispondo facendola ridacchiare.
-Ho sempre saputo che tu eri una Johns e non una Wallace-
-Ne  ho avuto il sospetto anche io-. Questa volta, però, non c'è ironia nella mia voce.
-Tuo padre vuole ancora che tu faccia Economia?-
-Sì- borbotto trovando un sostegno nella mia giovane zietta. Con lei posso sfogarmi quanto voglio e non mi giudicherebbe mai, cosa che non potrei mai fare con mia madre.
-In questi casi tu sai bene cosa ci vuole!-
-Gelato!- esclamò contenta quanto una bambina quando riceve un mucchio di regali per il suo compleanno.
-Mi conosci bene Daphne Wallace, mi conosci bene... - sospira afferrandomi saldamente la mano. Raggiungiamo la sua vecchia macchinetta rossa e dopo aver fatto tappa alla 'Gelateria di Nonna Betsy', raggiungiamo la sua casetta a pochi metri dalla spiaggia. Spalanca il portone canticchiando The Night We Met stonando qualche nota e posa la vaschetta con il gelato sul bancone della cucina.
-Vado a farmi una doccia!- esclamo.
-Ricordi dov'è il bagno?- chiede riponendo i cereali in un armadietto. Annuisco afferrando lo zainetto con la poca roba che mi sono portata da casa e mi rivolge uno sguardo furbetto.
-Hai mai visto The vampire diaries?-. Scuoto la testa confusa.
-Motivo in più per guardarlo, ovviamente il primo è perchè c'è Damon Salvatore. Fai la doccia che ti aspetta un lungo pomeriggio!-. Eseguo gli ordini e in effetti una bella doccia fresca mi permette di rilassarmi un attimo. Sentire l'acqua che ti scivola addosso l'ho sempre trovato calmante e portatore di buone idee. Infilo vestiti puliti, ovvero un top nero e dei pantaloncini comodi, e mi inondo di deodorante.
-Ecco la nostra Elena Gilbert pulita e profumata, adesso però ti consiglio di stare attenta che è appena iniziato l'episodio-.
Quelle sono state le due ore meglio passate. Gelato e serie di vampiri, la ciliegina sulla torta che mi mancava. Sospiro soddisfatta e prima che mi possa rintanare nella mia camera a leggere un buon libro, sento la mano di mia zia stringermi il polso.
-Dove credi di andare? Le feste sono fuori casa, e un visino così non si può di certo sprecare!- esclama lei.
-Non sono mai stata un genitore, ma so per certo che ti devo dare un orario per ritornare a casa. Ritengo che l'una vada bene per tutt'e due. Non di più, hai ben cinque ore per divertirti e chissà, forse trovarti un ragazzo. Anzi, forse è meglio di no, non so se tuo padre lo approverebbe.- dice con l'aria spaesata, anche se la mia voglia di andare a una festa è pari a zero, ma almeno per oggi la posso accontentare.
-Non bere troppo e comprati qualcosa da mangiare decente- aggiunge porgendomi qualche banconota che provo a rifiutare, ma Jess è irremovibile.
-A dopo-
-A dopo, fiorellino- esclama lei sventolando la mano come se non ci dovessimo più rivedere.
Sento la porta chiudersi dietro di me e rimango in piedi come una scema a decidere cosa fare.
Un venticello fresco mi accarezza il viso e mi siedo sui gradini di casa. Il mio piano è quello di aspettare che si faccia una certa ora e rientrare con la scusa che era una festa noiosa, patetico come piano, ma funzionale. Indecisa infilo i soldi in tasca e controllo l'ora sul telefono:'8.03'. Sono passati solo tre minuti e questo dimostra quanto sono impaziente. Faccio per rientrare annullare il piano quando il rumore di suole delle scarpe contro la ghiaia, mi distrae.
-Principessina, prima di tornare a casa, oltrettutto a un orario imbarazzante, forse dovresti prendere almeno il tuo telefono- esclama qualcuno divertito. In effetti ho dimenticato il telefono a terra e leggermente imbarazzata alzo lo sguardo per vedere chi ha parlato. E' un ragazzo di qualche anno più grande, ma sembra essere il doppio di me.
-Chi sei?- chiedo senza pensarci troppo cogliendolo di sorpresa.
-Mi aspettavo almeno un grazie, ma vedo che sei decisa, quindi passiamo subito ai fatti. Casa mia è lì se vuoi fare un salto... - dice malizioso come se fosse il suo mestiere infastidire le cretine che non vogliono uscire di sera.
-Che schifo!- rispondo prontamente. Avrei però, dovuto prevedere la risposta di quello strano ragazzo che non sembra per niente infastidito dal  nostro botta e risposta. Persino chiamarlo nostro risulta strano.
-Prima di giudicare, devi provare, rossa-. Mi fa l'occhiolino con la stessa malizia di prima.
-Questo lo diceva mio padre per farmi mangiare i broccoli e mi fanno tutt'ora schifo- specifico cercando di allontanarlo, ma sembra deciso a infastidirmi.
-Senti, mi piace fare conversazione con te, ma forse sarebbe meglio andare in un posto più adatto-
-Non posso dire la stessa cosa, ma...- mi guardo dietro e immagino che se qualche volta mi diverto, non faccio male a nessuno, così accetto -...Ok– .
-Adesso posso sapere il tuo nome o deve rimanere un mistero?- domando avvicinandomi a lui e noto che i suoi capelli sono biondo ossigenato e gli occhi sono di ghiaccio, in contrasto al suo comportamento espansivo.
-Luke Finnigan, al suo servizio, signorina... -
-Daphne Wallace. Dove mi porta quest'oggi?- chiedo giocando al suo stesso gioco.
-Ad una festa in spiaggia qui vicino, prima di incontrarti dovevo andare giusto lì-
-Allora andiamo!- esclamo determinata.
-Mi sorprendi, rossa! Non sembravi intenzionata ad andare da nessuna parte, prima-
-Luke, io sorprendo sempre-
Sulle sue labbra spunta un sorriso malizioso. Forse ho esagerato, potrebbe aver capito male. Perché non sto mai zitta!

Catastrophe-L'inizio della fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora