Reflecting in your eyes of blue
I am captured by the way you move
Oh, oh, oh
How your voice could steal my breath
For a moment, stop this beating chest
Oh, oh, oh«Poverino» dice la professoressa, appena esce Dario «avevo sbagliato persona».
Non riesco a non pensare al fatto che sia tipico di lei, di sbagliarsi: perché è così, non lo sapremo mai.
«Quello là sembra abbia tra i dodici e i quarant'anni» scherza su, un mio compagno. La battuta fa ridere tutta la classe, per quanto è insensata.
La professoressa richiama all'ordine, così torniamo sui libri, “che siamo indietro col programma”. Ma di chi è realmente la colpa, considerando che manca almeno una volta a settimana?✣✣✣
La lezione è noiosa e il tempo scorre ancora più lentamente del solito, a forza di leggere e tradurre ogni minima frase.
A un certo punto, la professoressa comincia tutto un suo discorso e divaga completamente dal tema che stiamo trattando, ma non sembra importarle. Poggio il mento sul palmo della mano, e stacco il cervello: quando fa così, è irrecuperabile, e presto l'ora finirà. Poi dici perché siamo indietro con il programma.✣✣✣
È arrivato uno dei momenti peggiori — e migliore, allo stesso tempo — della giornata: l'uscita. La campanella suona nel bel mezzo della spiegazione di diritto amministrativo, ci prepariamo e ce la squagliamo.
Purtroppo, però, tutta la scuola è dello stesso avviso, e in pochissimo tempo le scale sono intasate di gente che si spintona per arrivare per primi fuori da quel cancello.Quanta fretta.
In un secondo, mi ritrovo nella classe di quel bastardo di Mario: per fortuna, non sembra farmelo notare, finché non sento che qualcuno mi sta tirando i capelli.
È dalle medie che fa così, e spero vivamente di non vederlo mai più. Quando eravamo in due sedi diverse, il problema non si presentava — anche perché, essendo più grande di me di un anno, a quest'ora dovrebbe essere già fuori di qui, ma ha deciso di fare il ganzo e farsi bocciare, in terzo —, ma ora sembra abbastanza determinato a farmi tornare all'inferno da lui creato.Un altro strattone, un altro insulto.
Non lo sopportavo prima, figuriamoci ora.
Sto per girarmi, per chiedergli di smettere, quando arriva il mio salvatore: la porta di uscita. Se sono fortunata, riesco ad uscire prima di lui dal cancello, e raggiungere mia madre.
Qualcuno però non è dello stesso avviso, e in segno di saluto, mi spinge.Per fortuna, non cado, e riesco a raggiungere il semaforo per attraversare la strada e arrivare così al parcheggio.
Mia madre mi ha mandato un messaggio-indovinello come al suo solito, ma per fortuna riesco a trovarla.
Il viaggio di ritorno è sempre una vergogna, perché mi sento continuamente osservata dalla gente. Probabilmente è solo un complesso mio, però non riesco a fare a meno di sentire un paio di risate e un paio di insulti che sembrano proprio rivolti a me.Poco dopo, ci ritroviamo ferme al semaforo, che è rosso. Accanto a noi, ci sorpassa una familiare motocicletta verde: è quella di Dario. Sia lui, che il suo antipatico passeggero non sembrano — o non vogliono — notarci, il che è un bene.
Mi chiedo come facciano ad essere amici, ma forse è perché non lo conosco veramente: abbiamo fatto solo un corso insieme, e non ci siamo mai parlati (okay, diciamocela tutta: a parte con la ragazza della mia classe che partecipava, non ho aperto bocca con nessun altro). Forse quella che fa vedere ai professori è solo una facciata. O forse sta con Mario solo per fargli un piacere. Chi lo sa.Tornata a casa, mi aspetta l'ennesimo piatto di pasta raffreddato e i compiti da fare per domani.
✣✣✣
Purtroppo, eccomi qua, davanti all'ingresso del cinema in attesa di un compagno di classe che arrivi (anche uno solo, non chiedo tanto...!).
C'è anche la sua classe.
Fa che non si avvicini.
Il “buongiorno” energico di un professore mi fa quasi saltare per aria, ma poi gli rispondo e torno a guardare video su Pinterest di gente che ha ricci mille volte più belli dei miei.
«Come mai da sola?»
Ci metto un paio di secondi per capire chi me lo abbia chiesto. Spengo il telefono, mi giro e lo guardo.
«Secondo te?» gli rispondo. In fondo, mi sembra abbastanza ovvio che i miei compagni sono o in giro o non sono arrivati, e la professoressa che ci doveva accompagnare è in ritardo. Devo aver scritto in fronte un “tiratemi fuori di qui, voglio tornare a casa”, probabilmente.
Non so come, ma intavola una conversazione dal nulla sulla pallavolo, forse perché ancora gli brucia la sconfitta del torneo. Quello che però non sa, è che al turno dopo, non siamo passati neanche noi.
Non posso fare a meno di inarcare un sopracciglio, quando mi dice addirittura che sono brava a giocare, e gli rispondo che ho visto giocatori migliori.
«Non sai proprio accettarlo un complimento, eh?»
Lui ci scherza su, ma è la verità.La nostra conversazione finisce nel momento esatto in cui sento qualcuno della mia classe dire a voce un po' troppo alta un “Hai capito, Giorgia!”. Non c'è neanche bisogno di dirlo, sento tutta la scuola girarsi per guardarmi.
Imbarazzante.
Per fortuna, dopo esserci salutati (non l'ho mica capito, perché mi stesse sorridendo come un ebete tutto il tempo), siamo costretti a entrare.
Il film è piuttosto noioso e infantile; ma non è stata questa la mia preoccupazione.
Ogni cinque minuti, Mario mi tirava i capelli. A un certo punto, mi è pure scappato dalla bocca un “avete rotto il cazzo” più che giustificato.
In tutto questo, i professori delle due classi sembravano troppo assorti dal film, per dir loro di smetterla.
Voglio tornare a casa il prima possibile.✣✣✣
Il viaggio di ritorno è una tortura, forse più dell'andata.
Continuo a parlare male del film per non parlare del bel trattamento che ho ricevuto da Mario.
Mi sento come se fossi tornata alle medie.
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Easy on my Eyes
RomancePuò un semplice taglio di capelli diventare una vera e propria malattia? Può una persona farsi tutti questi problemi per una cosa del genere, pensando che tutti ora la prenderanno in giro? Non potrà mai essere completamente così, vero...? ♫ Easy on...