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Non riuscii a trattenere un grido di dolore. 

Takeda maneggiava la frusta con assoluta precisione e irreale eleganza e si muoveva avanti e indietro a me con velocità, io stessa faticavo a seguirlo con lo sguardo. 

La schiena bruciava e a ogni colpo era come se si lacerasse la pelle, strato dopo strato. I suoi colpi affondavano alle mie spalle e raggiungevano posti sempre diversi. Non risparmiò di frustarmi il sedere che pallido, come il resto del mio incarnato, ero certa fosse diventato di un rosso vivo, intenso. 

Ma fu quando passò definitivamente a colpire sul davanti della mia figura che tutto cambiò. Il suo sguardo si animava sempre di più ogni volta che il laccio andava a colpire i seni nudi, la pancia, le cosce e l'apertura in mezzo a esse. 

Respiravo a fatica. Fu un misto crescere di piacere e dolore e non riuscivo a spiegare cosa effettivamente stesse succedendo al mio corpo. 

Takeda non mi risparmiò e non si risparmiò in altrettanta maniera e io lo odiai, lo detestai con tutte le forze che possedevo. Eppure, una parte di me, piccola e quasi del tutto impercettibile, mi sussurrava il contrario. Mi parlava sottovoce e portava a galla sensazioni mai provate prima. 

Così come cominciò, Takeda gettò via la frusta. 

Ci guardammo per lunghissimi istanti, prima che lui si avvicinasse a me e invadeva il mio spazio vitale con l'imponenza della sua figura. 

Con due dita mi sollevò il mento e stette lì, immobile, con le pupille puntate dapprima sui miei occhi poi scendendo sulla mia bocca. 

«Dolce tentazione...»

Mi incantai a seguire il movimento delle sue labbra che, sinuose, avevano parlato. 

Non c'era alcun dubbio in merito al fatto che il samurai davanti a me seducesse con la sola presenza, con la quale trasmetteva sicurezza, abilità e sensualità. 

La pelle mi si ricoprì di brividi quando alle narici arrivò il suo profumo. 

Era sandalo, era quercia, era guerra; una fragranza virile e stordente che mai avrei dimenticato, ne ero certa. 

Non ero preparata a quello che avvenne dopo. 

Sussultai quando avvertii la freddezza dei suoi polpastrelli su di me. Takeda disegnò il contorno delle mie labbra e scese giù lungo il collo. 

Era appena iniziato un viaggio di cui sconoscevo la fine, e mille emozioni presero possesso di me. 

Quando arrivò toccare la punta dei miei capezzoli restai stordita e sconcertata dal modo in cui il mio corpo, pur non avendolo mai visto prima, reagì a quel contatto. 

Sentivo il suo sguardo addosso e mi morsi forte le labbra per non lasciare uscire nessun suono, nessun lamento dalla mia bocca, nonostante dentro desiderassi urlare quanto più forte possibile. 

Abbandonò la sua prima meta e si spostò più in basso sfiorando la pancia con le dita da sinistra verso destra e poi ancora da destra verso sinistra. 

Mi girò intorno e si fermò alle mie spalle.

Non lo vidi più, sentivo solo il fruscio del kimono e per poco non saltai in aria quando avvertii le sue mani sulle cosce. 

«Che tipo di rapporto ti lega con il ragazzo che ci ha inseguito fino a fuori dal villaggio?»

L'effetto della sua voce, proprio come le sue mani sul mio corpo, fu devastante.

Takeda infilò una mano in mezzo alle mie gambe nude approfittando del mio momento di distrazione ed emisi un lamento quando le sue dita si fecero spazio tra le mie pieghe. 

Ripensai a Satoshi, al modo in cui mi amava in momenti intimi come questo, alla dolcezza con cui mi accarezzava, alla delicatezza dei movimenti. Nel samurai non c'era niente di tutto questo. 

«Ti ho fatto una domanda, Hana. Esigo una risposta. Subito. Altrimenti vorrà dire che non hai imparato nulla dalla punizione di poco fa.»

Tornai alla realtà. 

«Io e lui...»

«Tu e lui, che cosa, Hana?»

«Ci amiamo.» dissi ancora deglutendo. 

«Vi amate? Ma davvero?»

Mi irrigidii quando mi violò con un dito. Non stava accadendo davvero...

«Capisco...e dimmi, Hana, fino a dove vi ha fatti spingere questo amore? Mmh?»

E io avrei voluto davvero rispondere, se non fosse che le parole mi restarono intrappolate in gola quando ne aggiunse un altro e cominciò a muoversi lentamente dentro di me. 

«Sei sorda, forse?»

«Io...»

«Ti ha scopata, Hana? Ti sei fatta fottere da quel ragazzino?»

«Sì...» sussurrai ma a questo punto non sapevo più se lo stavo dicendo per rispondere alla sua domanda oppure era il mio modo di rivelare quanto mi stesse piacendo quello che mi stava facendo. 

Avevo lo stomaco sotto sopra a causa sua. 

«Quindi non sei affatto una verginella, come pensa tuo padre...»

No, non lo ero, ma Satoshi era l'unico a cui avevo permesso tanto, con cui avevo osato tanto. 

Le dita di Takeda abbandonarono la mia intimità e al loro posto arrivò la sua lingua che, lapidaria, prese a leccarmi con una lentezza disarmante e aumentando il ritmo di volta in volta, di secondo in secondo. 

Il mio corpo stava impazzendo, la mia mente stava impazzendo. Stavo provando un desiderio troppo alto, troppo forte per un altro, per un uomo che non era Satoshi. Non lo avrei mai creduto possibile dopo che a lui avevo aperto il mio cuore e donato tutta me stessa. 

Eppure la prova della mia eccitazione era tutta qui, in mezzo alle cosce nude, alle gambe divaricate, attaverso cui mi sentivo umida come mai mi era capitato di essere. 

Takeda mi separò le natiche con l'utilizzo di entrambe le mani e la lingua si fece più sfacciata, più smaniosa. Ero al limitare tra piacere e follia. 

«Ti fa bagnare così il tuo amore?»

E più lui parlava più io perdevo ogni ragione. 

«Ti ha mai fatta godere allo stesso modo di come sto per fare io?»

La risposta corretta sarebbe stata no. Niente di ciò che avevo fatto con Satoshi era minimamente paragonabile a questo. Mi sentii in colpa per questo. 

«Sei così bagnata che scivolarti dentro in questo momento non sarebbe affatto difficile.»

Una voce dentro di me gli stava urlando di farlo, di prendermi, di fare ciò che voleva purché riuscisse a darmi sollievo e a farmi stare meglio.  Tuttavia riuscii a frenarmi dal dire ciò ma a lui non importava minimamente. 

Il samurai era sicuro di sé, delle sue capacità, del modo in cui mi stava facendo sentire. 

Alle mie narici arrivò un profumo dolce, strano, e capii che ero io, che erano i miei umori. Lui, da sotto, doveva sentirlo ancora più amplificato. 

Poi, tutto terminò, e lo fece con un nulla di fatto. 

Takeda si rimise in piedi, mi venne davanti e mi sorrise. 

«Diventerai dipendente da me, e ne vorrai sempre di più, Hana. Ma avrai tutto solo quando ti sarai arresa completamente e tutto di te mi apparterrà. Fino a quel momento il piacere sarà soltanto il mio.»




La concubina del Samurai Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora