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La sera arrivò in fretta tuttavia nella testa rimbombavano le parole di Aiko.
Avevo colto la velata minaccia, il monitor composto dietro le sue parole e l'atteggiamento freddo e distaccato. Non solo lo avevo colto ma avevo avuto il buonsenso di non replicare. L'assaggio del tè si fece amaro, quasi acido e io avevo solo voglia di tornare in quello spazio che ormai sarebbe diventato vitale per me, un posto tutto mio, che era la mia camera. 

Sakito venne a cercarmi e mi trovò intenta a spazzolarmi i capelli quando mi annunciò di scendere poiché il signore era tornato a casa. 

Sentii il cuore battere sempre più forte quando me lo trovai di fronte dopo giorni di latitanza e quando i suoi occhi scuri si posarono su di me una scossa partì dallo stomaco e si spostò verso il basso, verso il centro pulsante della mia intimità. 

In un movimento del tutto istintivo mi trovai a chiudere le gambe, stringerle forte tra di loro e questo non gli sfuggì, innescando un accenno di sorriso sul suo viso bello e duro, severo. 

«Hana-san, è un piacere rivederti.»

Annuii in segno di ringraziamento e quando mi porse la sua mano fui tentata di rifiutarla ma mi bastò incontrare il suo sguardo per farmi desistere. Non mi sfuggì nemmeno l'occhiata di Aiko che, di fianco, mi riservò. 

«Vieni, andiamo a cena.»

Lo seguii convinta che anche sua moglie si unisse a noi ma scoprii presto che in realtà saremmo stati soli. Io e lui. 

Deglutii ma non proferii parola, solo aspettai che si sistemasse a gambe incrociate sul pavimento e feci lo stesso anch'io, solo sedendomi sui talloni. 

Consumammo in un silenzio religioso la cena che ci venne servita.

Molto più spesso di quanto avrei voluto mi capitava di sbrirciare verso di lui, anche solo con la coda dell'occhio e lo trovavo sempre perfetto, impeccabile, e purtroppo per me tremendamente sensuale. La mia attenzione era calamitata dalla sua bocca, dalle sue labbra e soprattutto dalla lingua che di tanto in tanto Takeda tirava fuori e passava lentamente sul labbro inferiore. Quest'uomo era bellezza e incanto, una tentazione vivente, sorgente viva di pensieri sporchi, peccaminosi, proibiti. 

Sussultai quando per la prima volta dall'inizio della cena spostò il suo sguardo verso di me. Non riuscii a tenere testa ai suoi e abbassai gli occhi. 

«Hai avuto modo di ambientarti, Hana-san?»

«Sì, vi ringrazio per la camera che avete scelto per me e anche per i vestiti. Siete molto generoso.»

«Hai ragione, lo sono. Ho molto cura di ciò che mi appartiene, e tu mi appartieni.»

Le mie mani poggiate sulle cosce tremavano. Non era per la paura e forse fu proprio questo a spaventarmi come conseguenza. 

Avvertii il respiro di Takeda farsi più vicino e me lo ritrovai alle spalle. Era in ginocchio e mi solleticava il collo con il suo fiato. Con le punta delle dita mi sfiorò le spalle e risalì in una carezza lenta fino al viso che afferrò, in una presa salda, e lo spostò verso l'alto. La bocca del samurai ora sfiorava la mia e l'eccitazione divampò dentro di me senza che potessi controllarla. 

Mi trovai a trattenere il respiro e a chiudere gli occhi. Averlo vicino era troppo intenso e non riuscivo a capire come fosse possibile ciò. Non era possente solo fisicamente, lo era anche nell'aura di potere che riusciva a trasmettere con un solo sguardo, con un solo tocco. Aveva una personalità decisamente dominante e in confronto mi sentii piccola. 

«Mi hai pensato, Hana-san? Hai pensato al nostro ultimo incontro?»

Deglutii a vuoto, la bocca si fece improvvisamente secca quando con la punta della lingua disegnò i contorni delle mie labbra. Ero arrivata al punto, adesso, di desiderare che mi baciasse ed era una cosa folle e impensabile. 

La presa sul mio viso si fece più stretta, più forte e mi lasciai andare a un mugolio incerto, soffocato. 

«Se ti toccassi ora come l'ultima volta, ti troverei bagnata?»

La sua voce era bassa, decisa, sicura, calcolata. Takeda era in pieno controllo e lo sapeva bene. Rispondergli mi procurava vergogna perché purtroppo era affermativa. Fin da quando lo avevo visto, stasera, avevo avvertito la stessa umidità dell'ultima volta in mezzo alle cosce. E non mi aveva nemmeno toccata. 

«Sì...» ammisi sotto il suo sguardo indagatore. 

Non sorrise, non sembrò per niente soddisfatto di aver avuto questa piccola vittoria. Ma i suoi occhi si fecero più scuri e un lampo di lussuria gli attraversò lo sguardo. 

«Spogliati.» mi ordinò. 

Sbattei le palpebre confusa e ammaliata allo stesso tempo. 

«Qui?»

«Qui e ora. Subito.»

Takeda mi lasciò il viso e si spostò di poco più indietro.

Slacciai la cintura del mio kimono con una lentezza estenuante eppure lui mi guardava paziente. Quando ebbi fatto feci scivolare il tessuto lungo le spalle e le braccia. Mi ritrovai nuda davanti a lui che, da come mi guardava, sembrava non aspettare altro. 

«Bellissima...» sussurrò e la mia pelle prese fuoco quando con le mani prese a massaggiarmi i seni, insieme. Con il pollice sfregò i capezzoli che, traditori, si drizzarono. Tutto il mio corpo in sua presenza non reagiva più ai comandi della mia mente, come se fosse dominato da lui. 

«Allarga le gambe.»

Eseguii anche questo comando e poco dopo una sua mano finì proprio lì in mezzo. 

«Così morbida, così liscia, così desiderosa...Vuoi che ti tocchi, Hana-san?»

Ma lui lo sta stava già facendo con la mano poggiata saldamente nel mio interno coscia; abbastanza vicina al mio centro ma allo stesso tempo tanto lontana ancora. E io desideravo di più, bramavo il suo tocco e mi odiavo profondamente per questo. 

«Sì...»

Takeda si fece più vicino e dovetti trattenere il respiro quando le sue dita toccarono le grandi labbra muovendosi lentamente ma perfettamente sincronizzate con la bocca che ora aveva preso a leccare i capezzoli con una devozione e delicatezza che non avrei creduto possibile. 

Gettai la testa indietro quando mi penetrò piano con le dita e con i denti mi mordeva il seno. 

Ero estasiata dal suo tocco. 

«Sei così bagnata...sarebbe un vero peccato sprecare tanta bontà.»

Ormai stavo ansimando, il mio respiro si fece corto, affaticato. Avvertivo il bisogno del mio fisico di avere di più, di arrivare a toccare l'apice del piacere. Per questo ringhiai di frustrazione anche questa volta quando si tirò indietro e si allontanò da me. 

Sbattei le palpebre confusa. 

Takeda si portò le dita alla bocca e le leccò avido. Stava assaggiandomi e io avevo solo voglia di dirgli, di pregarlo di continuare. 

Poi, come se niente fosse si alzò in piedi, mi sovrastò con la sua altezza e mi disse soltanto: «Buonanotte, Hana-san.»







La concubina del Samurai Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora