3. Cedere il posto

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La sveglia rimbomba nella testa. La spengo violentemente, troppo, tanto che si frantuma sotto il mio pugno. Merda. Quante ne avrò fatte fuori quest'anno?

Mi sento frastornata, come se avessi un post sbornia pesantissimo. La testa pesa, il corpo è di piombo, il respiro quasi rauco e la salivazione si attiva... che spettacolo pietoso. Scendo dal letto, quasi mi rotolo giù. Strano, non mi era mai capitato così forte. Ma che ore sono?

Prendo il telefono e sono le diciannove di sera. Come cazzo ho fatto a dormire tutto il giorno?! Ho impostato la sveglia alle sette di sera invece che alle sette di mattina. Che cogliona!
- Ok Vanya, niente panico, hai tutto pronto da una settimana. - barcollo verso il bagno, mi lavo il viso e mi metto subito la tuta. La salivazione aumenta, la testa scoppia, gli odori sono così intensi che sento tutto.
Ho il bucato da lavare, lo sento, poi un leggero filo di polvere, qualche cosa che presto andrà a male nel frigorifero. L'odore degli incensi in fondo al cassetto del comodino, sembra che mi siano saltati nel naso prendendolo a pugni. Perché deve essere tutto così intenso?

Infilo gli anfibi, prendo lo zaino, le chiavi di casa, chiudo la porta. Guardo l'orologio, diciannove e ventisette. Ok ce la faccio. Alzo lo sguardo: il sole sta calando, tra poco sorgerà la luna.
- Devo sbrigarmi. - dico con un filo di voce.
Mi fisso bene lo zaino sulle spalle, non posso prendere la macchina, qualcuno potrebbe vederla e ficcanasare, si va a piedi.

Mi incammino, procedo a passo spedito e più aumento il passo, più il senso di rincoglionimento svanisce. Sento il mio cuore che chiama la foresta, come se fosse casa sua, sento la pelle tendersi, le unghie farsi dure. Sento gli odori a chilometri di distanza: il caffè, i dolci, la benzina delle auto, la miscela dei motorini, l'umanità, i gatti domestici, il muschio, l'umido, la foresta... mi sta chiamando.
- Arrivo - e con una carica animalesca, selvaggia e seducente, corro.
Corro e i miei polmoni si riempiono d'aria, bruciano dallo sforzo, i muscoli si tendono, le ossa si rafforzano. Sento gli odori degli animali del bosco, scoiattoli, picchi, tassi e lupi. Mi fermo. Prendo fiato. Inspiro e sento l'odore di lupo, facendolo mio. Il richiamo è forte, più forte di quello che ho provato in passato, più forte di qualsiasi altra cosa. La sento, la bestia che sta dentro di me, vuole uscire, ma attende la luna. Corri Vanya, corri prima che sia troppo tardi.

Arrivo alla baracca, apro ed entro. Sono agitata, molto agitata, guardo l'orario sul telefono e segna che tra trenta minuti la luna sorgerà in tutta la sua bellezza, in tutto il suo splendente orrore.
Lancio lo zaino sul letto, apro la porta di metallo, mi chiudo dentro. Mi sento male, mi viene da piangere, vorrei non essere così. La salivazione aumenta, la temperatura corporea si eleva, la pelle si fa febbrile. Sento i muscoli contrarsi, espandersi e contrarsi di nuovo.
- Ma è ancora presto... non capisco... - di solito non fa così male... o sono io che rimuovo i ricordi?
Infilo le mani nelle manette di ferro, sono fredde, spesse e più grandi dei miei polsi. Così una volta che mi trasformerò saranno della misura giusta. Respiro affannosamente, ci siamo, la sento.

La vista si offusca, il respiro diventa un rantolo, poi un ringhio basso. Sento una furia dentro di me, gli organi si spostano, mi allungo. Mi alzo di statura, le ossa delle gambe si spezzano per ricomporsi.
Dolore.
Le dita si allungano e le unghie spingono per diventare artigli.
Dolore.
La mandibola si scompone, i denti sporgono, il naso si allunga e si allarga.
Dolore.
I polmoni bruciano, la trachea si infiamma.
Dolore.
Gli occhi vedono al buio ancora con più precisione.
Dolore.
Un grido selvaggio parte dal diaframma, cerco di trattenerlo ma ormai sono relegata in un piccolo angolo della mia mente. Cedo il posto all'ombra, la mia vecchia amica.

- Ciao Vanya. - eccola la voce, eccola che mi chiama.
- Ciao Tenebra. - dico io di rimando. Sono sfinita, mi sento come se fossi in un piccolo spazio della mia mente. Chiusa in una scatola con lucchetto, le chiavi non le ho io. - Sei uscita prima del solito. - continuo.
Tenebra ride, un misto tra un ringhio così basso che fa paura. Se la Morte avesse una voce, sarebbe quella.
- Avevo bisogno di uscire. Ma tu non mi fai mai uscire completamente, mi chiudi in quella stessa scatola dove sei tu ora. Sai che non puoi scappare da me Vanya...
- No è vero, non posso scappare, ma posso proteggere il mondo intero da te...
- Rinchiudendo il tuo cuore intorno a rovi e spine? - Tenebra non si rivolgeva mai a me così, qualche cosa stava cambiando. Spesso non riuscivo a fare una conversazione con lei. Il mio cervello si spegneva dopo la trasformazione, lasciandomi dolorante e ferita, nel corpo e nell'anima.
- Io non ti ho mai chiesta, non ti ho mai voluta, è tutta colpa tua se ho dovuto scavare una fossa e seppellirmici dentro! - urlo, stravolta, le lacrime scivolano sul viso, bollenti. - Io sono morta quel giorno, sopravvivo a te, camminando su questa terra come una morta vivente! Ti odio! - lo dicevo ogni volta.
- Odi me? Che sono una parte di te? - ride. Ride solo come uno spettro può fare, come se la Morte si prendesse gioco di me. Come se mi avesse fatto un trabocchetto. - Odi te stessa solo perché... - non finisce la frase. Non voglio sentire, urlo dentro la mia testa e mi sento risucchiata. Sprofondo ancora di più negli abissi oscuri della mia anima.
Prego. Prego perché le catene non si spezzino, prego che nessuno si accorga della mia presenza, prego finché le parole si confondono tra loro.

Mi sento soffocare, apro gli occhi e ingoio l'aria. Sono nella cella. Mi guardo i polsi, hanno i segni delle manette. Sono scorticati, rossi, sanguinanti. Il sangue si ferma, le ferite si rimarginano e i polsi tornano come nuovi.
È finita.

La testa esplode, mi arrivano fitte dolorose al centro del cranio. Apro la porta di metallo, la chiudo dietro di me. Mi lascio cadere e piango. Piango tutte le lacrime che un corpo può avere, piango tutte le lacrime che non ho lasciato andare da quando sono entrata qui.
Mi calmo un attimo. Prendo lo zaino e tiro fuori il contenuto. Vestiti puliti. Mi spoglio, dolorante, come se avessi scalato una montagna e ora, i muscoli, sono tutti intorpiditi. Mi vesto. Mi ricompongo e mi avvicino al cucinino. Alla mia sinistra ho una tisana rilassante, alla mia destra il caffè.
- Caffè. - dico, come se qualcuno potesse ascoltarmi.
L'aroma di caffè si espande, è caldo, tostato, sa di casa, di famiglia... Mark.

Bevo il caffè, ascolto il suo aroma. Finito, prendo il disinfettante, il mocio, la tanica di acqua per pulire tutto. Riapro la stanza metallica, le catene inermi, stanche quanto me per aver trattenuto per così tanto tempo. Il mio sangue prende posto sul muro e sul pavimento, saliva ovunque. Preparo l'acqua, prendo il mocio e pulisco, cercando di lavare via tutto, come se potessi lavare il mio stesso corpo e la mia stessa anima.

Lavo tutto pensando a quella Tenebra incatenata, a quel dolore che prende forma ogni mese, a quella bestia che... scuoto la testa.

Sistemo tutto, prendo lo zaino, esco dalla baracca e la chiudo, come se potessi sigillare dentro il mostro che mi ospita.

Odori. Lupi. Sono ancora vicini, ma che ore sono? Mi guardo intorno e sembra albeggiare. Le sei e trentatré del mattino. Guardo intorno a me e vedo delle impronte, sono lupi sicuramente, ma sono più grandi del solito... no... anche qui no... un pensiero si fa spazio. Licantropi? No, impossibile. Ho scelto questo posto proprio perché fossi l'unica, per proteggere tutti, proteggere me. Non posso, io...
- Calma Vanya. Andrà tutto bene, ora vai a casa. - mi dico, cercando di rassicurarmi un po'.

Sono sotto la doccia e penso a quanto sarebbe bello lavare via tutto, lavare via il dolore, il buio, la sofferenza. Quanto sarebbe bello lavare via queste cicatrici, come se fossero una veste, come se fossi un serpente che cambia pelle. Quanto sarebbe bello lavare via tutto, azzerare tutto.
Sono sul letto, indosso una maglietta nera dei Disturbed, dei pantaloni della tuta grigi, i capelli rossi ancora bagnati mi contornano il viso.

Prendo il telefono, lo collego allo stereo e parte The Sound of Silence dei Disturbed.

Hello darkness, my old friend,
I've come to talk with you again,
Because a vision softly creeping,
Left its seeds while I was sleeping,
And the vision that was planted
in my brain
Still remains within the sound of silence.

Che beffardo il caso. Che bastarda la vita. Che terribile briccone è il fato.

Un pensiero si fa strada dentro di me. Per la prima volta io volevo essere libera, volevo che Tenebra avesse la sua libertà, che potesse correre nella foresta, che potesse osservare la luna come una vecchia amica e non come una maledetta agonia. Volevo lasciare libera Tenebra ieri sera. Lo volevo davvero. Ma il prezzo della mia libertà sarebbe stato la vita di qualcun altro. Il prezzo della corsa selvaggia nei boschi, erano le anime innocenti. Il prezzo di quell'urlo selvaggio era cedere l'anima a un'oscurità, la stessa oscurità che facevo fatica a vedere. Un'oscurità accecante, che ti scrutava dentro, ti prendeva il cuore e lo avvolgeva in spire di ombre.

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