CAPITOLO 7

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Le segrete del Palazzo del Fuoco non lasciavano molto all'immaginazione. Era risaputo cosa accadesse in nelle profondità di quelle pietre incandescenti, le urla riuscivano a raggiungere anche l'esterno. Ormai, gli abitanti del Regno del Fuoco erano abituati a quelle grida, sapevano che non dovevano lanciarsi a cercare di liberare chi stesse chiedendo aiuto.

Brighter pendeva dal soffitto, le mani legate e strette in una morsa. Non le sentiva più, non sapeva quante ore fossero trascorse da quando lo avevano attaccato lì.

La testa ciondolava, gli doleva a causa della botta che aveva preso appena Ightar era stata risucchiata dal Fuoco Eterno. Lo aveva colto alla sprovvista, come vigliacchi. Non lo avevano fronteggiato perché sapevano si sarebbe battuto fino alla fine. Avrebbe preferito morire in quel modo, piuttosto che fustigato o appeso nelle prigioni fino a perire di fame.

Cercò di divincolarsi, ma senza alcun risultato.

Attorno a lui, il silenzio rimbombava furioso contro le pareti di pietra. Tutto questo solo perché si era permesso di innamorarsi della figlia del Re.

Se Ightar fosse stata lì non avrebbe mai permesso che accadesse una cosa simile. Si sarebbe opposta con tutte le sue forze, lo sapeva. Più di una volta lei gli aveva detto di uscire allo scoperto, di lasciare che tutte le colpe ricadessero su di lei in modo che a lui non toccasse nemmeno un graffio. Nessuno si sarebbe permesso di mettere le mani addosso alla Principessa, ma Re Fyrell aveva ben deciso di mandarla quanto più lontano possibile da lui.

Ci aveva visto lungo, e adesso lui era in quel luogo dimenticato dagli Spiriti, non completamente pronto a subire la sorte che gli era toccata per provare un sentimento così bello e profondo per una Creatura irraggiungibile per uno come lui.

I piedi toccavano a stento il pavimento, sentiva che le articolazioni delle spalle erano ormai uscite dalle loro sedi.

«Aiuto», mormorò. Poco gli importava se quel comportamento lo avrebbe messo in cattiva luce, ma ormai il suo momento di gloria era svanito nell'esatto istante in cui aveva appoggiato i suoi occhi su Ightar. «Vi prego, liberatemi».

La sua voce non era abbastanza forte da raggiungere l'esterno delle segrete, quindi non si preoccupò di visite indesiderate nella sua cella per metterlo a tacere.

«Ightar, ti prego. Ti prego, aiutami». Ma sapeva che quelle parole non sarebbero mai riuscite a raggiungerla. Non sapeva nemmeno se lei fosse tornata a palazzo prima di andarsene o se fosse partita subito dopo la festa. Ma era sicuro che, se fosse tornata, sarebbe andata a cercarlo e avrebbe messo quel posto a fuoco e fiamme se avesse saputo che lo avevano rinchiuso lì. Lo sapeva, lo sentiva.

Non poteva dubitare di lei, non lo avrebbe mai fatto.

«E chi abbiamo qui?». Riconobbe all'istante la voce del Capitano. Si costrinse a chiudere gli occhi, nella speranza di risparmiarsi quell'umiliazione. «Hai fatto tanto lo spavaldo infilandoti nella passera della Principessa e, adesso che non c'è a proteggerti, ti lasci pestare come un inutile animale».

Non c'era più speranza. Parlava di lui, parlava con lui.

Smise di fingere di essere svenuto e alzò piano la testa. i muscoli gli tremavano, la schiena gli doleva a causa delle ferite ancora fresche e sanguinanti.

Ne sentiva l'odore ferruginoso che gli penetrava nelle narici, sentiva come tiravano sulla sua schiena martoriata.

Il maschio si posizionò proprio davanti a lui, gli prese il volto e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi. Caricò uno sputo che andò a colpirlo proprio sotto l'occhio sinistro. Brighter trattenne un conato di vomito solo per paura anticipare la sua condanna.

«Dimmi, era calda e stretta? Ti ha accolto facilmente o ha fatto resistenza? Spero che almeno tu te la sia presa con la forza, quella dispotica di una succhiacazzi reale». Parlava a profusione e non si risparmiava sui termini scurrili. Parlava di Ightar come di una lavoratrice dei bordelli, la insultava come fa un maschio che non è mai stato in grado di avere la femmina che desidera.

Brighter non parlò, non sarebbe caduto nella sua trappola per così poco. Si morse l'interno della guancia così forte che il sapore del sangue lo riempì.

Probabilmente, sarebbe morto dissanguato continuando in quella direzione.

Il Capitano scoppiò a ridere, e così gli altri maschi che lo avevano accompagnato. Lo avevano accerchiato, ma la sua vista periferica non era agevolata dal buio della cella. Non sapeva in quanti fossero, non sapeva nemmeno se fossero armati.

«Allora, nulla da dischiarare? Non vuoi descrivermi come la facevi cavalcare?».

Ulteriore rabbia montò nelle sue vene e si ritrovò a sputargli addosso. Si sarebbe assunto tutte le conseguenze di quel gesto, purché il Capitano la smettesse di parlare di lei in quel modo e i suoi uomini la finissero di ridere come imbecilli.

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