[Capitolo quarto]

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Non seppe spiegarsi il motivo, ma Samuel non si sarebbe mai aspettato che Noah avesse una cerchia di amici e conoscenti così ampia. E non si sarebbe mai aspettato di vederlo comportarsi nello stesso modo scorbutico e schivo anche con loro.

In un primo momento Samuel stette sulle sue, cercando di inquadrare bene la situazione. Avrebbe voluto fare bella figura con gli amici e i conoscenti di Noah. Si era anche vestito con gli unici panni eleganti e ben conservati che aveva: una semplice camicia bianca, dei pantaloni di stoffa spessa neri, un paio di scarpe da tennis in tinta con la camicia e i capelli aggiustati alla meglio, perché con quelli proprio non sapeva cosa farci. Noah si era buttato addosso letteralmente le prime cose che aveva trovato nell'armadio e Samuel lo sapeva perché lo aveva visto, gli era stato chiesto consiglio, ed era stato tremendamente facile perché o quel ragazzo aveva un armadio perfetto o perfetto era quel ragazzo, almeno agli occhi persi di Samuel. Non si aspettava una simile richiesta da Noah. Non si aspettava nemmeno di essere invitato proprio da lui ad andare alla festa, aveva semplicemente appoggiato il biglietto per la discoteca accanto al suo, sul tavolo. Al resto aveva pensato tutto Noah. Forse si era fatto l'idea giusta di lui, ossia che era solo e in ogni caso avrebbe ricercato la sua compagnia. Forse lo aveva fatto solo per pietà. Forse lo aveva fatto perché lo voleva. Samuel non poteva saperlo e non glielo avrebbe chiesto, consapevole che non avrebbe ricevuto risposta.

Preso dal tumulto di pensieri e da una leggera ansia sociale che gli aveva preso lo stomaco, Samuel si accorse troppo tardi che stavano chiamando proprio lui e faticò a riconoscere che le voci erano quelle del gruppo di Noah. Così fece la prima figuraccia della serata, con quello sguardo perso e lo spaesamento che si leggeva in lui ad occhio nudo.

"Ciao Samuel, ho sentito molto parlare di te! Io sono Desiree, un'amica di Noah". Era una bellissima ragazza bionda, con i capelli raccolti in uno chignon alto e due ciuffi che le incorniciavano il viso, appena un accenno di trucco sugli occhi e sulle labbra, un vestito succinto e brillante che risaltava tutte le sue giovani forme.

"Ma cosa dici, Desiree, Noah non parla mai". Lei invece era una ragazza mora, con lunghissimi capelli corvini e lucenti, un trucco pesante sugli occhi e un rossetto rosso opaco sulle labbra, vestita tutta di nero tranne per il paio di jeans che indossava, larghi e pieni di tasche, di un blu slavato.

"Con me ci parla, invece, vero Noah?" Desiree prese il braccio del diretto interessato, che interessato affatto non era alla conversazione.
"No, Desiree". Fu l'unica cosa che disse. La ragazza tacque, l'accenno di un broncio sulle sue labbra rosee.

"Comunque, io sono Grace, la sorella minore di Noah. Piacere di conoscerti". Gli tese la mano. Samuel la strinse per cortesia e finse il suo solito sorriso di circostanza. Era troppo agitato da tutti quegli stimoli che aveva intorno. La musica era alta, la gente era troppa, gli amici e i conoscenti di Noah continuavano a presentarsi e lui già non si ricordava più chi era chi, concentrato com'era sul braccio che la ragazza bionda teneva ancora intorno a quello del suo coinquilino, spiazzato dall'essere stato buttato così freneticamente nella sua vita, incapace di decifrare segnali e sguardi e gesti di ogni tipo. Si sentiva bloccato in se stesso.

"Amico, sembri il tipo che ha bisogno di bersi almeno tre drink per riuscire a stare in questi posti". Era un ragazzo di cui avrebbe dovuto ricordare il nome, forse si chiamava Ziki, ma non ne era sicuro. Era più basso di lui ed era vestito tutto sportivo, con pantaloncini e maglietta, ma ciò che più spiccava nel suo aspetto erano quei capelli corti e tenuti dritti sulla testa dal gel.

In tutta la sua evidente incertezza, mosse qualche passo instabile trascinato da questo amico di Noah, diretto inequivocabilmente verso il bancone del bar. Ziki chiese due drink, uno per se e uno per Samuel. Disse che avrebbe offerto lui e Samuel lo ringraziò almeno cinque volte, promettendo che avrebbe ricambiato il favore più tardi, in serata. Si sedettero da soli al bar. Lontano dagli altri, solo in mezzo ad una calca di sconosciuti che, come formiche, si muovevano uno appiccicato all'altro nella pista da ballo davanti a lui, finalmente si sentì di poter respirare di nuovo. Su una cosa Ziki aveva ragione, non era adatto ad eventi come quello. Ma era lì, ormai. Non poteva fuggire, ormai. Bevve tutto il drink in tre sorsi. Ne ordinò subito un altro.

Sarebbe andato tutto bene.

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