Parlami di te (p.1)

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" Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!»."

ISAIA 6:8


Quel pomeriggio ricominciò a piovere. L'acqua stava lavando via ogni traccia di luce. Il cielo era buio e coperto da una coltre di nuvole scure. A scrutarlo, anche il mio sguardo si incupì.

Cercai di non pensare a quel ragazzo, ma la sua immagine sfrecciava tra le infinite gocce di pioggia, proprio davanti ai miei occhi. Probabilmente, la mia mente stava rievocando involontariamente tutte le rimembranze che aveva della prima volta in cui lo incontrai.

La pioggia mi riportava sempre da lui. Come se in qualche modo conservasse la memoria del primo momento che avevamo vissuto insieme. E chissà magari sarebbe divenuta custode anche di tutti quelli futuri. Se ce ne sarebbero stati. Considerare tale possibilità, mi intristì un po'.

Tornai a casa sfinita e fradicia. Desideravo solo smettere di pensare. Le domande su quel ragazzo erano troppe e non facevano che tormentarmi. Volevo solo che la mia mente tacesse, anche solo per un istante.

Decisi di adagiarmi sul divano per rilassarmi, finché non mi addormentai. E insieme a me sprofondarono nel sonno tutte le mie preoccupazioni, che rimasero, così, trasognanti sotto le coperte del sofà, lasciando che il mio cuore riposasse un po'.

Il sonno era l'unica tregua che i miei pensieri mi concedevano per riprendere fiato e l'unico momento in cui nella mia testa regnava il silenzio.

Cosi mi lasciai cadere tra le braccia di quella quiete avvolgente e mi abbandonai al suo soave candore. Ancora per un po'. Fino all'alba successiva.

Alle 7.00 di mattina suonò impietosa la sveglia, distruggendo col suo frastuono ogni frammento di quel mondo fantasioso, che avevo forgiato con tanta cura durante la notte.

Mi risvegliai sul divano della sala, con ancora i vestiti umettati addosso. Avevo la testa e il corpo pesanti e indolenziti. Era come se durante la notte avessi assorbito tutta l'umidità rimasta intrappolata nei vestiti e questa mi avesse impregnato le ossa dall'interno.

Ancora ciondolante e disorientata, mi diressi in bagno. Sempre premurandomi di coprirmi le tempie con i capelli, per nascondere la zona, dove un tempo, c'era la mia storica cicatrice. Almeno fino a prima che incontrassi quel ragazzo.

Ormai era diventato un automatismo. Appena mi svegliavo, mi mettevo a testa in giù e mi scompigliavo i capelli, perché rimanessero bene in posa a contornarmi il viso.

Così, con la mia capigliatura turgida e rigonfia, mi guardai allo specchio, soddisfatta del risultato.

Ancora faticavo a credere che quella cicatrice fosse scomparsa. Mi alzai la maglietta, carezzandomi il fianco. Anche lì non era rimasta alcuna traccia della ferita che mi procurai nell'incidente. Per un attimo, dubitai di averla mai avuta. Fino a quando un'immagine istantanea della scena dello schianto non irruppe violentemente nella mia testa. Ricordandomi che era tutto accaduto davvero. Gemetti al pensiero.

Mi lavai la faccia con dell'acqua calda per allentare la tensione sul viso. Amavo quella sensazione. Quando quel tepore liquido ti inumidiva la pelle facendola intirizzire.

« Buongiorno », borbottò mio padre uscendo dalla sua camera, con ancora la bocca impastata dal sonno.

« Buongiorno », replicai sbadigliando. « Vuoi il caffè? »

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