Dove sei (p.2)

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Riaprii gli occhi in una stanza troppo bianca e troppo luminosa. La testa mi faceva male e mi sembrava troppo pesante per il mio esile collo. Avevo le braccia e le spalle ricoperte di garze. Mi bruciava ovunque. Ad ogni accenno di movimento potevo sentire la mia pelle dilaniarsi sotto le bende. Mi sfiorai la zona morbida alla base del collo e gemetti. A quanto pare le ustioni erano anche lì.

Ero chiaramente in ospedale, a giudicare dall'atmosfera funerea e triste di quella stanza. Sottili crepe nere costellavano il soffitto sopra di me, decisamente troppo pulito e eburneo.

Non feci in tempo a passare al pensiero successivo che le lacrime mi riempirono a fiotti gli occhi. L'immagine di quel ragazzo tra le fiamme irruppe nella mia mente senza pietà. Una fitta mi trafisse il petto e un groppo mi si formò istantaneamente in gola. Dove sei??? Gridai nella mia testa. In quel momento sperai che Maria avesse ragione. Probabilmente lui non era mai entrato in quel corridoio in fiamme per salvarmi. Probabilmente avevo solo avuto un'allucinazione. E lui adesso era al sicuro a casa con la sua famiglia, coi vestiti intatti e candidi e un ampio sorriso sul viso imberbe. Volevo crederci. Anche se non ci riuscivo fino in fondo.

Cercai di sollevarmi.

« No no no tesoro! Stai giù. Non fare sforzi », intervenne mia madre fulminea, mentre mi posava una mano sul petto e l'altra sulla schiena, per riadagiarmi sul letto.

« Mamma... », sussurrai appena, mentre mi guardava con quei suoi occhi traboccanti di dolcezza, leggermente umidi, forse per qualche lacrima versata. Il verde luminoso delle sue iridi veniva messo in risalto dalle ombre scure sotto i suoi occhi. Più accentuate e vivide del solito. Probabilmente era stanca o forse solo molto addolorata. Al pensiero mi si strinse il cuore.

« Mamma non ti preoccupare, ora sto bene », la rassicurai. Feci per accarezzarle la guancia ma qualcosa mi frenò. Matteo si era addormentato con la mia mano fra le sue. Seduto su una sedia e con il volto dolcemente appoggiato sul bordo di quel letto d'ospedale. Mi sporsi leggermente e vidi la sua guancia paffuta lievemente arrossata e il candido e esile lenzuolo appena bagnato. Sospettai che anche lui avesse pianto e questo mi afflisse ancora di più. Desideravo soltanto che non si preoccupassero più per me. Volevo vederli felici e sereni, con gli occhi luminosi e pieni di vita. Invece mi sentivo avvolta in un'aura di dolore e preoccupazione, alimentata dai loro sguardi stanchi e afflitti.

« Grazi per essere qui. Ora mi sento molto meglio », aggiunsi, guardando mia madre negli occhi e facendo slittare lo sguardo anche sulle mie sorelle e su mio padre che erano appena dietro di lei. Mi risposero accennando un mesto sorriso. Mentre Claudia, la mia sorellina, si avvicinò al letto e mi diede un delicato bacio sulla guancia.

« Ma Matteo non dovrebbe andare a casa? Dopo quello che è successo a scuola... i suoi genitori vorranno vederlo », chiesi cautamente a mia madre, prima di voltarmi a guardare Matteo placidamente accoccolato sul letto. Sentivo il calore dei palmi di Matteo filtrare attraverso le bende sulla mia mano. Un brivido mi percorse la schiena.

« Gliel'avevo detto anch'io prima, ma mi ha detto che aveva già avvisato i suoi che non sarebbe tornato per cena. Voleva aspettare che ti svegliassi », mi rispose mia madre a mezza voce.

I miei occhi ricaddero inevitabilmente su Matteo. Sembrava un bambino crollato per la stanchezza dopo un lungo e sfibrante pianto. La preoccupazione doveva avergli prosciugato tutte le forze. Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi.

« Allora penso che lo lascerò riposare », risposi, mantenendo lo sguardo su di lui.

« Comunque ci sono i tuoi amici che vorrebbero vederti. Sono in sala d'attesa da più di 3 ore ormai. Se sei stanca gli dico di andare a casa », disse mia madre con la voce che le tremava appena.

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