Parlami di te (p.2)

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Era nell'ultimo tavolo del refettorio. Seduto a capotavola, circondato dai miei più cari amici. Mi chiedevo cosa ci facesse con loro. Forse Pietro e gli altri avevano avuto il buon senso di invitarlo a pranzare con loro, visto quello che aveva fatto per me.

Li osservai in disparte, per un po'.

Nonostante si fossero appena conosciuti, mi accorsi che c'era già una certa complicità fra lui e i ragazzi. Le loro risate sembravano combinarsi perfettamente. I loro sguardi parevano confondersi in quel clima così familiare e fraterno. Era quasi surreale. Era come se quello fosse stato da sempre il suo posto. Come se in tutti quegli anni l'avessimo lasciato vuoto, perché lui quel giorno potesse riempirlo. Come se l'avessimo atteso una vita, fino a quel momento.

Mi sfuggì un sorriso. Tutto sembrava essere inspiegabilmente al posto giusto.

Mi fermai a guardarli per qualche istante ancora. Volevo scolpire quel momento nella mia memoria. Per qualche motivo avevo la sensazione che non avrei avuto l'occasione di vederlo ancora.

Sentii gli occhi irrorarsi di lacrime. Distolsi lo sguardo, per ricompormi.

« Grazie... », sospirai, rivolgendo il volto verso l'Alto, per un breve istante.

« Tu che cosa vuoi? », una voce acuta e vivace mi sottrasse bruscamente a quel momento celestiale. La signorina dietro al bancone mi stava guardando spazientita e visibilmente irritata.

« Mi scusi...mi ero incantata », risposi sommessamente.

« L'avevo notato », rispose, con una nota di stizza nella voce.

La guardai sorpresa del suo tono spiccatamente severo.

« La zuppa con il formaggio va bene, grazie », le rivolsi il sorriso più sincero che avevo, nella speranza di stemperare quello sdegno sul suo volto.

Questa volta fu lei a stupirsi. Le sopracciglia le si sollevarono in una smorfia di attonimento.

« Ecco a lei », proferì piano. Un accenno di delicatezza sembrò stemperare la durezza nella sua voce.

Ne fui lieta.

Sollevai il mio vassoio ben carico e mi avventurai verso l'ultimo tavolo della mensa. Mi tremavano le mani. Vidi la superficie della zuppa calda tremolare. Feci un respiro profondo. I ragazzi sembravano non avermi notato. Erano cosi presi a ridere, che la metà di loro aveva ancora il piatto mezzo pieno. Vederli cosi gioiosi e spensierati mi tranquillizzò un po'. Lo strato superficiale della minestra tornò stabile.

Feci un altro passo verso di loro e il suo calore mi investì. Un senso di beatitudine placò improvvisamente la mia agitazione. Solo in quel momento mi accorsi di quanto avessi sentito la mancanza di quella sensazione. Di quanto avessi avuto bisogno di scaldarmi e di crogiolarmi in quel tepore celestiale.

Avvolta da quell'aura inebriante, mi sedetti disinvolta al solito posto. Al capo opposto della tavola, rispetto a dov'era seduto quel ragazzo. Anche se non lo guardavo, quell'energia che spaziava fra noi sembrava mantenermi connessa a lui. Mi chiedevo se anche lui lo percepisse. O magari era solo nella mia testa.

« Eccoti finalmente », esclamò Chiara, seduta accanto a me. « Non sai cosa ti sei persa! »

« Cosa? », domandai incuriosita.

« C'è un nuovo arrivato non vedi? », replicò lei, come fosse un'ovvietà.

« Si l'ho visto », risposi disinvolta.

« E non ti presenti scusa? », Chiara sgranò gli occhi sbigottita.

« Chiara, si conoscono già. Non lo sai? », intervenne Micol, seduta accanto a lei. « Lui è quello che l'ha eroicamente portata in infermeria quando l'altro ieri è svenuta », aggiunse, accentuando l'intonazione sulla parola "eroicamente", con fare ironico.

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