Capitolo 3

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La vita non è facile,
uomo,
la vita uccide.
Puoi leggerlo negli occhi di un marcio
anche quando ride.

Mondo Marcio


Seguì con lo sguardo le luci della paura, presi coraggio e con un colpo di ali iniziai l'inesorabile inseguimento verso me stessa.

Una piacevole folata di corrente improvvisa avvolse l'area circostante. Brezza temperata, avvolgente.

Ondate di brividi comparvero sulla pelle degli sconosciuti, i quali sconvolti, con arrendevole giudizio di amarezza avevano ormai smesso di urlare, di parlare, di piangere.
Con iridi di ghiaccio guardavano il mezzo ululante allontanarsi, provando a dare un senso a quello sventurato incidente.

L'aria mi bucò lo stomaco come se volesse penetrare al suo interno, sciogliendomi le viscere e per un attimo lo sentì svuotarsi del suo contenuto.

Ad ogni metro percorso il battito accellerava di un grado e come un treno in corsa anche i battiti del mio cuore urlavano, sbattendo all'impazzata.
Il respiro si fece difficile e mi trovai quasi senza fiato.
Ancora una volta i miei polmoni stavano rimpicciolendo e nonostante l'aria sbatteva continuamente sulla mia faccia, schiaffeggiandomi lievemente, come un pesce alla deriva anche io mi ritrovai a cercare disperatamente l'ossigeno che sembrava non bastare mai.
Il vento mi colpiva forte la pelle e con lui anche l'elegante battito di quelle ali che ormai erano diventate parte integrante di me.
Goccioline di sudore colavano dalla mia fronte e scendendo rapide si mischiavano con altre gocce che invece cadevano dai miei occhi.

Tenebrose lacrime nere finirono per accarezzarmi il contorno delle labbra. Con la lingua le accolsi gentilmente al mio interno sperando potessero risanare quella parte danneggiata dentro me e far fiorire il seme della speranza.

L'ansia e la preoccupazione stavano prendendo possesso della mia mente, del mio corpo e anche se ne ero abituata già da tempo, quei sentimenti provocavano un fastidioso senso di inadeguatezza che accompagnandomi mi teneva per mano.
Insinuandosi prepotentemente nelle fessure più profonde delle mie membra, distruggendomi goccia dopo goccia come liquido velenoso.

Finalmente arrivammo a destinazione e il mio esile corpo privato dell'anima venne trasportato all'interno dell'enorme e cupo edificio.
Mura gialle e scrostate ne identificavano i contorni.
Corvi neri volteggiavano sopra la struttura, avvolta da un alone di tetro sconforto.

Mi fermai all'esterno e aspettai con tormentata pazienza di riprendere possesso del mio respiro.  Gradualmente, i battiti del mio cuore decelerarono di un poco dandomi la desiderata opportunità di avviarmi verso me stessa.
Ancora tremante avanzai.
Insieme a me una mano invisibile mi teneva salda la spalla.
L'angoscia mi accompagnava, incatenandomi alla sua ignobile presa.

Mi muovevo piano, tra una finestra e l'altra cercando con apprensione quella figura ormai spenta dalla vita a cui forse ho dato meno amore di quanto ne meritasse.
Quell'abbraccio caldo, aspettato con fiduciosa e illusoria speranza da tutta una vita.
Un calore desiderato con estrema pazienza e mai ricevuto, se non a minime dosi, il quale aveva creato freddo e vuoto dentro di lei.

Mi spostavo lentamente tra una finestra e l'altra dell'ospedale, osservando, con occhi lucidi l'interno delle misere stanzette bianche.
Rimasi tristemente sconcertata di quello che i miei occhi osservarono dietro quei sporchi vetri ghiacciati.

Un susseguirsi di sagome cupe, perse nella solitudine e nel dispiacere abitavano provvisoriamente quel luogo.
Anime rotte, sciupate, maltrattate.
Cuori lacerati, sanguinanti, disperatamente in cerca di calore e pace.

Occhi spenti guardavano con asfissiante desolazione il vuoto, cercando forse il modo di riempirlo con artificiali scenari di pura illusoria immaginazione.
Sguardi consumati dalla vista del tempo, privati della capacità di vedere veramente, fissavano pigramente lo schermo piatto di un televisore, sbattendo lievemente le palpebre stanche. Imploravano con urgente bisogno di entrare in altre apparenti vite le quali, per un momento, donavano a loro quella falsa idea di speranza e mera illusione di cui ne bramavano il bisogno.

Un signore anziano camminava zoppicando all'interno della sua piccola stanza.
Rughe profonde gli riempivano il volto, consumato ormai dagli innumerevoli avvenimenti della sua faticosa esistenza. Parlava animatamente, gesticolando con entrambe le braccia. Rughe profonde si contraevano sul suo viso, insieme alle numerose espressioni facciali date da quel discorso che pareva essere così sinceramente profondo per lui.
Discuteva lunghi discorsi di convinzioni, con il suo io immaginario, dei pentimenti della sua esistenza.
Il suo cuore pregava, anche se la fede l'aveva persa ormai da tempo.

Due donne bollivano di ottusa rabbia, forse in procinto di una lite.
Sangue corroso dalla loro anima ferita potevo osservare all'interno della loro forma infetta.
Logorato da una sudicia vita amara trascorsa in continui lamenti di aspra acidità.
Si guardavano con occhi glaciali ricoperti di un profondo odio astratto.

Una giovane ragazza dallo sguardo assente posava la sua attenzione sullo schermo del telefonino, immergendo completamente, diversi strati della sua mente, in quella tecnologia pericolosamente distruttiva.
Si sfregava violentemente il braccio passando poi alla coscia.
Un'escoriazione grande come un pugno si poteva notare sull'avambraccio e diverse cicatrici invadevano i suoi quadricipiti.
Come se volesse modificare il suo corpo, strato dopo strato e trasformarlo con un sadico incantesimo in uno diverso, bramando quel falso corpo dall'inutile  perfezione.
Alzò la maglietta e con due dita premette un rotolino di carne presente sull'addome.
Schiacciò forte e la pelle s'infuocò.
Più a fianco dal punto di collisione un'ematoma era comparso ormai da diversi giorni.

Gente svuotata di spirito, triste, arrabbiata con il mondo intero aggirava in quelle mura come se una mentale guerra apocalittica avesse tolto loro la forza di reagire e migliorarsi.

FENICE | Storia Di Un'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora