Capitolo 11

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Storicamente i bambini sono sempre stati
più ricettivi degli adulti
verso la comunità
degli spiriti.
La mente di un bambino non ha
tuttele barriere ricettive
che innalziamo
noi adulti.

Jason Rekulak




Finito di mangiare andarono nel giardino superiore della scuola.
Quel giorno il cielo era nuvoloso, ma la temperatura esterna permetteva comunque di rimanere all'aria aperta, prima di riprendere le lezioni.
E come carcerati si trovarono anche loro a respirare finalmente un pò di ossigeno incontaminato, in quell'unica ora d'aria a loro disposizione.
Il giardino superiore era enorme, cunette e alberi ricoprivano l'intero spazio dando quindi modo ai bambini di poter correre e giocare liberamente.

Lei si mise a camminare solitaria, il volto rivolto verso l'erba cresciuta selvaggiamente.
Con lo sguardo cercava qualcosa, nemmeno lei sapeva cosa.
Nella mente, voci infette iniziarono a sussurrargli parole.
Bisbigliavano complimenti, soffiavano elogi, facendola sentire importante per come si era comportata giù in mensa.
Si mise quindi a dialogare con loro.
Dalla sua bocca uscivano lievi parole.
Sussurri segretamente folli avvenivano in quell'angolo di giardino, tra lei e le sue ombre.
Stava nascosta dietro lo spesso tronco di un albero, quindi nessuno avrebbe potuto udirli.

Succedeva raramente che qualcuno volesse giocare insieme a lei; solitamente accadeva quando in un gioco di squadra i suoi compagni si trovavano in numero dispari.
Solo allora si ricordavano della sua esistenza.
Andavano a cercarla in gruppo e con sfacciataggine, avanzavano richieste.
Ogni volta lei rifiutava, disgustata da quella proposta così assurda in cui avrebbe dovuto trovarsi nel mezzo a dei ridicoli giochi, nei quali magari qualcuno avrebbe tifato falsamente per lei, con quel viscido obbligo di costrizione in cui sarebbe stata costretta a regalare il suo massimo impegno.
Sicuramente mai avrebbe dato il meglio di sé per quegli sciocchi sconosciuti.

Ad un certo punto la bambina di un'altra classe le si avvicinò chiedendole, con fare dubbioso, il motivo della sua particolare solitudine.
Le voci di colpo, disturbate dall'intrusione, interruppero di sussurrare e lei smise quel dialogo tanto affascinante che stava affrontando con loro.
Si sentì privata della sua riservatezza da quell'insolente sconosciuta che osava superare il suo spazio personale, senza nemmeno chiederle il permesso.
Una voce accarezzò il pensiero di darle uno schiaffone e prenderla a calci nello stomaco fino al momento in cui non avesse sentito anche l'ultima costola spezzarsi.
La bambina ci pensò un attimo, la cosa la stuzzicava, ma con il dolore che aveva nella testa non trovò la voglia di instaurare una lite, anche se l'idea del suono delle ossa rotte le entusiasmava la curiosità.
Si limitò quindi a guardarla di traverso, sollevando appena il mento, senza darle però la soddisfazione di guardarla con piena attenzione e rispose semplicemente con uno sbuffo, deridendo quella sua insignificante domanda.
Continuò poi la sua ricerca del nulla, come se niente fosse successo, facendo provare un senso di invisibilità a quella fastidiosa intrusa.
L'altra bambina tristemente delusa se ne andò.
Lei sospirò via l'angoscia dell'intrusione e riprese a respirare nel suo intimo spazio personale.

La testa le faceva ancora molto male, ma almeno adesso i polmoni avevano ripreso a funzionare, permettendole di respirare tranquillamente, senza essere schiacciata dal peso delle urla dei suoi fastidiosi compagni.
Nella sala da pranzo l'eco rimbalzava continuamente da un lato all'altro fiondandole sulla testa e come se le arrivassero una sfilza di spilli sentiva il cranio trafiggersi.
Il quale urlante di dolore, ributtava al suo esterno fitte sempre più acute.
Anche se lo stomaco dava sensazione di leggerezza non aveva mangiato quasi niente, la nausea saliva e scendeva facendole provare ribrezzo dal cibo.
Si era quindi limitata a spostare il mangiare nel piatto, schiacciandolo con la forchetta, finché non si era creata una poltiglia dall'aspetto terrificante.
Poi l'aveva avvolta nel tovagliolo, facendo riaffiorare nei suoi pensieri, giusto per un secondo, la scena del criceto spappolato con le viscere di fuori; e senza che nessuno la vedesse, aveva buttato tutto sotto la sedia del bambino che sedeva di fronte a lei.
Quando la maestra se ne accorse, gli strillò contro che era peccato sprecare il cibo, facendo saltare nella stanza un silenzio colmo di bisbigli e risolini.
Il bambino era rimasto privo di parole e lei gli disse che al rientro in classe l'avrebbe comunicato sul diario ai suoi genitori.
Ora quel bambino si trovava ancora nella sala mensa.
Gli occhi guardavano basso, seduto in solitaria su quella sedia nel mezzo della stanza vuota.
Un senso di angosciata tristezza aleggiava sulla sua testa.
Un sorriso di buia soddisfazione incurvò i lati della bocca della bambina.

Mentre stava calciando un sasso sentì un urlo provenire da una parte alta del prato e colta dalla curiosità, corse a vedere cosa stava succedendo.

Un suo compagno teneva un pezzo di legno in mano e sputava parole minacciose ad una bambina più piccola.
Ella impaurita supplicava lui di smetterla.
Lei si mise in mezzo e lo spinse via.
Il bambino iniziò a sputare minacce anche su di lei, tanto che le fece scattare qualcosa nel cervello.
Presa dall'istinto raccolse un sasso e lo tirò in direzione della mano colpevole.
Il legno, urtato dal colpo, cadde a terra.
Il bambino sguainò un urlo di dolore e preso dalla rabbia le diede un forte colpo sulle spalle con entrambe le mani.
Nell'atterraggio fu costretta ad appoggiare tutti e due i palmi, sentendo i polsi piegarsi di netto.
Nel momento della caduta sentì un dolore lancinante nel palmo della mano sinistra e quando la portò di fronte alla sua visuale vide che una lunga striscia orizzontale tagliava a metà il palmo della sua mano.
Del sangue caldo colava dalla ferita.
Si mise a socchiuderla leggermente e quando la riaprì, sentendo il taglio tirare, un fiume di sangue uscì da esso, colando sui suoi pantaloni.
In terra un grosso pezzo di vetro era conficcato nel terreno, artefice del danno provocatole.
Risplendeva luccicante nell'ombra della pianta.
Il sangue scintillava su di esso.
L'altra bambina spaventata scappò via, il bambino invece, sentendosi colpevole la supplicò di non dire nulla.
Lei guardò quell'insulso essere dritto negli occhi, nel frattempo, con l'altra mano si diede una spinta per alzarsi in piedi.
Si avvicinò lentamente al suo viso, sorridendo mostrò i denti e come un lupo morse la guancia della sua preda.
Premette, lentamente, con forza, cercando di affondare più in profondità possibile i suoi denti.
Strisce rosse iniziarono a colare dalla guancia fino al mento.
Lacrime di dolore scesero dagli occhi del bambino, il quale la spinse, terribilmente spaventato, lontano da lui.
La bambina lo guardò un'ultima volta.
Il suo sguardo rimaneva fisso negli occhi lacrimanti del compagno.
Spostò lo sguardo verso la sua mano e vide che il sangue iniziava a colarle dappertutto.
Lei allargò la bocca dando vita ad un sorriso impiastratato di sangue.
Lui rimase in silenzio, inorridito.
Ridendo si voltò e prese a camminare verso i bagni per lavarsi la ferita.
Mentre procedeva apriva e chiudeva il palmo della mano, osservando stupita quanto sangue potesse colarle dalla ferita.

Non arrivò in tempo al bagno che la maestra urlò a gran voce il suo nome.
Lentamente la bambina provò a girarsi, sentendosi come se fosse sotto l'effetto di un tranquillante.
Muovendo la testa sentiva una beata leggerezza che la fece sorridere come una tossica sotto stupecante.
Vide le labbra della maestra muoversi, le rughe della fronte corrugarsi e si accorse di non udire nessun suono.
Tutto iniziò improvvisamente a girare e lei scoppiò a ridere.

Poi vide nero.
Cadde all'indietro.
E sentì solo un colpo secco dietro la testa.

Dall'alto la vedevo.
Sentivo la sua disperazione.
Annusavo la sua follia.

L'anima lentamente le si stava macchiando.

FENICE | Storia Di Un'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora