Alcune persone restano spezzate.
Altre raccolgono i cocci e li rimettono insieme
con tutti i bordi taglienti
bene in vista.Dot Hutchison
-Dai amore alzati, dobbiamo andare che è tardi!-
Le ordinò la madre sussurrandole, vicino ad un orecchio, scuotendo leggermente il suo piccolo corpicino ancora dormiente. Un puzzo di caffè e fumo le piombò dritto nel naso, i lati della bocca si piegarono nauseati facendole assumere automaticamente un'espressione di disgusto.
Guardando fuori dalla finestra la luna splendeva alta nel cielo, immersa ancora nel buio delle ultime ore della notte. Nella cameretta invece, la luce debole della lampada sul comodino emanava, soffocata, un sensibile bagliore giallognolo.
Lei faticava a sollevare le palpebre ancora troppo stanche, pareva fossero passati due minuti da quando si era addormentata.
Aveva passato una notte agitata.
Incubi ricorrenti trascorrevano con lei le ore notturne. Ci aveva quasi fatto l'abitudine. Un cupo rituale a cui però desiderava con tutta se stessa non farne parte.
Si ricordò poi di suo padre, il quale ancora dormiva. Un brivido amaro di terrore percorse la sua pelle e per paura di svegliarlo si decise ad alzarsi.
Appiccicata dal sudore della tachicardia notturna spostò di poco le vecchie coperte rovinate dal tempo, i bordi bucati, sembravano quasi mangiati dai suoi mostri notturni o forse strappati dalle sue dita in preda al terrore. Pallini di vecchiaia e trascuratezza ricoprivano il tessuto.
Minuscolini granellini di polvere si levarano insieme a lei, danzando. Muovendosi, osservò con stupore quella strana "danza della polvere", così la definiva lei e poi, al debole chiarore della luce si mise a sedere sul bordo del letto.
Trattenne un colpo di tosse, sapeva che non poteva permetterselo e con fatica si alzò in piedi.
Un senso di stanca vertigine la travolse.
Guardò l'ora che lampeggiava agitata sull'orologio, sembrò sgridarla per averci messo così tanto tempo ad alzarsi.
In guerra sarebbe già dovuta essere dritta in piedi, sull'attenti!
I numeri rossi urlavano lampeggianti segnando le 5:20.
Camminava in punta di piedi, non voleva fare nessun rumore, anche il più piccolo suono le sarebbe stato punito.
Con tutta la rallentata velocità che poteva permettersi in quel momento, svogliatamente e ancora tutta sudata si vestì, indossando le prime cose che le passavano per le mani.
Nel suo cassetto non c'erano molti indumenti e i primi che le capitarono tra le mani furono una grossa felpa di qualche taglia più grande e dei pantaloni che parevano ormai troppo piccoli per la sua età, a lei non importava. In quel momento la cosa più importante era vestirsi in fretta e lasciare la stanza.
Mettendosi la felpa un leggero odore di muffa la avvolse, non le importava nemmeno quello.
Le palpebre continuavano a chiudersi, voleva ficcarci due stuzzicadenti in verticale, conficcati nella pelle, bucandola, almeno sarebbero rimaste aperte.
Non le sarebbe importato del sangue o della cecità.
Ondeggiando dalla stanchezza fece per scendere in cucina. Raccolse da terra le scarpe, rovinate ormai da un pezzo, la terra e il fango avevano creato macchie permanenti e la parte anteriore si apriva leggermente come la bocca di un coccodrillo.
La facevano sorridere, a volte parlava con loro creando veri e proprio discorsi.
Altre volte chiedeva a loro un consiglio, ma in quel caso non sapevano mai come rispondere.
Fece per indossarle, tremante, si appoggiò con una mano all'armadietto li a fianco, ma appena si abbassò per infilarsi una scarpa un senso di mancamento corse verso di lei e dei puntini bianchi iniziarono a correre sparsi davanti ai suoi occhi. Inchiodò la presa, appoggiandosi più forte e l'armadietto iniziò a tremare insieme alla sua mano, dio solo sa la furia se qualche oggetto fosse caduto di colpo e avesse svegliato suo padre.
Stando attenta a non cadere dalle scale a chiocciola, arrivata in cucina, vide sua madre già pronta con la borsa in spalla ed il mazzo di chiavi in mano.
-Dai andiamo! È tardi! Tanto non hai bisogno di fare colazione, ci hai messo troppo ad alzarti! E fai piano, capperi!- sua mamma diceva raramente parolacce, quando ne voleva dire una la sostituiva con parole divertenti.
Certe volte alla bambina facevano ridere, ma spesso le facevano abbassare la testa.
Preparò il suo zainetto frettolosamente, sperando di mettere dentro tutto l'occorrente e nel modo corretto, altrimenti le maestre e la mamma si sarebbero arrabbiate.
Lei non voleva che gli altri si arrabbiassero.
La paura della furia l'avrebbe uccisa.
Non voleva neanche deludere gli altri.
La delusione le avrebbe serrato con una morsa sia lo stomaco che la gola, uccidendola lentamente.
Poi, dietro sua madre ripercorse in salita le scale a chiocciola e uscirono dal portone che dava sulla strada.
Era fatto di un legno vecchio, leggermente consumato dall'umidità e dal tempo. Doveva stare attenta a come toccarlo, altrimenti le regalava qualche spina che si conficcava con infamia nei piccoli polpastrelli delle dita e poi la mamma gliele doveva togliere con l'ago.
Quando le bucava la pelle sentiva un pizzico di dolore, ma resisteva con audacia, non voleva dare segni di debolezza. Quindi rimaneva impassibile. Tanto quel male era così estremamente sopportabile rispetto al dolore che tuonava al suo interno.
La vedevo trascinarsi i piedi, il freddo la circondava e il sudore accoglieva ancora meglio il gelo mattutino.
Prima di salire in macchina sbandò ancora un attimo, poi si riprese, quel poco che bastava per non svenire in terra.
Riuscì a fatica ad aprire la maniglia della macchina che sembrava solidamente incollata e dopo la terza prova ci riuscì, piombandosi con un salto sul sedile anteriore.
Finalmente era seduta, l'ansioso sollievo la fece sospirare.
Un tremore di sonno, freddo e sudore percorse il suo corpicino.
E ancora nell'oscurità, sua madre azionò la macchina e partirono.-Driin- un brevissimo colpo di campanello e la serratura della porta a vetri scattò.
-Ciao mamma- le disse la bambina con il cuore addolorato per l'abbandono.
-Ci vediamo stasera- rispose la madre frettolosamente, la guardò di sfuggita, non incrociando appositamente gli occhi con i suoi e agitata se ne andò, scappando.
Una breve fitta di dolore trapassò la bambina.
Ma ormai si stava abituando anche a quello, al dolore intendo.Altre scale.
Sentì le lacrime salire e voler scendere a cascata; e con la disperazione dietro agli occhi percorse anche quella scalinata, pregando alle gambe di non cedere.
-Ciao pasticciona- aveva gli occhi gioiosi la nonna, era scherzosa, usava nomignoli particolari per chiamarla ma lei ne era felice perchè sapeva che li mischiava con l'affetto.
-Ho tanto sonno nonna- le rispose esausta la bambina, con la bocca leggermente impastata dalla sete e dalla stanchezza.
Osservandola, mi parve che il suo cuore si rilassò un attimo al calore che emanava la sua bizzarra nonnina.
-Corri nel lettone, c'è il nonno che ti aspetta, dormi tranquilla che dopo ci penso io a svegliarti-.
Non se lo fece ripetere una seconda volta, gettò lo zaino sulla sedia e, con passi ampi e veloci, camminò fino al lettone dei nonni.
Il nonno le sorrise.
Il materassino era rimasto acceso per il suo arrivo e mettendosi sotto le coperte un profumo di pane, pulito e dolcezza l'abbracciò, facendola finalmente riaddormentare.
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FENICE | Storia Di Un'anima
شِعرUn anima distrutta. Un viaggio disturbante. Fino a che punto può resistere un'anima?