Capitolo 3

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30 Maggio 2019 – Istanbul, Turchia

Ore 5.45

Sono lì, seduto davanti al cadavere della donna che mi
aveva fatto tornare la gioia di vivere, di esplorare e di
divertirmi.
L'avevo conosciuta da poco, vero, ma da subito avevo
capito che era diversa.
Poco interessata alla moda e a tutte quelle cose che
ritenevo frivole, come me amava viaggiare e conoscere
nuove culture, diceva sempre: "Diversity is strength!".
Parlava un ottimo italiano, era arrivata nella penisola
nel cuore del Mediterraneo dalla Turchia per un
Erasmus e da lì non era più ripartita, facendo avanti e
indietro con la madrepatria per lavoro. Era molto più
giovane di me, aveva da poco festeggiato i suoi
trentacinque anni, e in me forse vedeva una guida forte
e matura che poi, in fondo, non sono mai stato.
Adesso lei è lì che fissa il soffitto, inerme. Io ho la testa
tra le mani, sono in quel borderline dove stai per
precipitare, non so cosa fare, se gridare nuovamente e
chiamare qualcuno in aiuto o tacere e cercare una
spiegazione.
Sono l'unica persona nella stanza con lei, la porta e le
finestre sono apparentemente chiuse, verosimilmente
nessuno è entrato.
La sera prima abbiamo fatto tardi in un ristorantino a
Sultanahmet e forse il rakı, bevuto in modo eccessivo,
mi ha fatto scordare cosa è successo.
"Mio Dio, ma cosa è successo?"
Sussurro la frase più volte, avendo paura della mia
stessa voce. Ho le mani bagnate, la fronte gronda gocce
di sudore sul pavimento, faccio di tutto per tenere fermi
pianto e isteria.
Il padrone di casa, che abita al piano di sotto, sarà già
sveglio anche lui per pregare... Avrà sentito tutto?
Forse penserà che dei turisti facciano baccano a
qualsiasi ora, noi italiani siamo conosciuti nel mondo
per la nostra goliardia.
Provo ad alzare lo sguardo di nuovo su di lei, indossa
ancora il vestitino che aveva su la sera prima, molto
scollato, con fondo bianco su cui spiccano i girasoli di
Van Gogh.
La collana rossa e le scarpe... Che strano, le ha ancora
addosso... Mi distraggo così dal momento, però
repentinamente rientro nel mio piccolo inferno, quella
colorazione bluastra intorno alle orecchie e sulla fronte,
mio Dio! Vicino a lei c'è il cappello che io stesso le ho
comprato a Roma, al mercato di Trastevere. Sembra
che non sia mai arrivata nel letto, ma com'è possibile?
Come mai non me ne sono accorto? Mi alzo facendo
presa con le mani sulle ginocchia e la mia schiena, da
sempre deformata, non mi lascia molta speranza.
La osservo dall'alto, non sopporto più quello sguardo
fisso, mi vesto con furore e mi avvicino alla porta
d'ingresso, che è ancora chiusa a chiave. Dannazione
sono davvero stato io a ucciderla?
Faccio girare velocemente la chiave nella toppa,
abbasso la maniglia e mi affaccio al ballatoio; non c'è
nessuno, esco e mi tiro la porta dietro.
Inizio a scendere le scale in legno piano piano, passo
dopo passo, ma ogni singolo gradino emette, alle mie
orecchie, un suono lugubre di legno che sta per
squarciarsi.
Continuo con andatura lenta, sento dei rumori
provenire dalla porta del vicino, evidentemente la mia
fuga è stata scoperta, o forse è solo la mia psicosi. Inizio
a scendere le scale di corsa, due a due.
Arrivo al piano terra e per poco non mi sfracello contro
il muro su cui sono attaccate tutte le locandine e i flyer
dei vari locali e degli eventi a Istanbul del periodo.
Cambio direzione repentinamente e vado verso il
portoncino d'ingresso del residence.
Faccio scattare l'elettroserratura della porta e la apro.
La luce invade il corridoio senza finestre; a Istanbul è
l'inizio di un nuovo giorno, ma forse è anche l'inizio
della mia fine.

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