Capitolo 5

1 1 1
                                    

30 Maggio 2019 – Istanbul, Turchia

Ore 6.02
Continuo a camminare. Da quando sono uscito dal mio residence non mi sono voltato una sola volta e non ho
mai alzato lo sguardo. Lo tengo a un'altezza sufficiente
per non andare a sbattere contro qualcuno o qualcosa.
Ho un'unica immagine costante nei miei pensieri, i suoi
occhi fissi, senza espressione, che guardano in alto. Il
mio passo è veloce, sento il mio respiro, sono così
agitato che ho le orecchie ovattate, mi giungono pochi
suoni dalla città che si sta destando.
La gente inizia ad affollare le strade, mi ritrovo davanti
a un'alta scalinata e inizio a percorrerla; da entrambi i
lati ci sono tante piccole botteghe, le più disparate. La
gente ti ferma in strada cercando di venderti qualsiasi
cosa, dal vestiario alle scarpe ai gadget tecnologici.
C'è un continuo strombazzamento di camioncini aperti
tipo Ape, quelli che da noi andavano negli anni
Settanta.
Malgrado ancora molto provato emotivamente, mi
accorgo della grande quantità di ragazzini che affollano
le strade; lavorano non giocano.
C'è chi trasporta materiale da vendere, chi va in giro
con dei carretti per raccogliere la plastica o il cartone,
chi porta pesi sulla schiena più grandi di sé. Tutti
sporchi, affaticati e di corsa. Qui la vita deve essere più
faticosa, a dispetto della nostra nuova generazione
"digital-tecnologica" di fannulloni.
Mi dispenso da ogni commento e procedo con passo
ancora più svelto; finalmente sono alla fine della salita,
è stata dura.
Mi trovo in una piazza tagliata in due dai binari di una
metro di superficie; sono circa le 6.30 della mattina e il
posto è già affollato. Attraverso la strada, in
continuazione mi si avvicinano dei giovani che, in un
inglese un po' basico, cercano di vendermi qualcosa.
C'è una stradina stretta che va verso nord e la percorro,
da entrambi i lati vedo bancarelle che vendono
abbigliamento griffato, di sicuro contraffatto; guardo
verso destra e vedo la scritta: Kapalı Çarşı, poi sotto
vedo la traduzione in inglese "Gran Bazaar", l'occhio
mi cade su una guardia che sta mettendo in funzione il
metal detector all'ingresso del Bazaar e mi guarda
anch'egli. Mi mette in soggezione, sembra che stia per
parlarmi, vedo che fa un gesto con la mano, volgo lo
sguardo avanti, sento che inizia a parlare in turco ma
non capisco cosa dice. Sono spaventato, accelero, la
psicosi è sempre più acuta.
In un secondo mi passano in testa mille idee, ma
quando sono ormai allo stremo delle forze un ragazzo
vicino a me risponde al saluto della guardia e la nevrosi
si attenua.
Mi ritrovo in un vicolo ancora più piccolo e continuo a
zigzagare per le strade di Istanbul.
Sono quasi le 7.00 e finalmente arrivo nella zona del
porto, dove appare la vista stupenda della Torre di
Galata, dall'altra parte del Corno d'oro.
Finalmente una discesa, la città turca è tutta su colline,
sempre sali e scendi. Arrivo rapidamente al porto,
decido di attraversare il Ponte di Galata.
Sul ponte sono già al lavoro bancarelle improvvisate,
dove già di mattina presto si cuoce il merluzzo alla
piastra condito con una salsa al limone, che va a farcire
uno dei panini più buoni che abbia mai assaggiato, il
balık-ekmek.
Ne ho mangiato uno anche ieri pomeriggio con Ayla,
prima di andare a cena, a volte forse esagero.
Attraverso il ponte e giungo nella zona al di là del
Corno d'oro.
Dove sto andando? Mi accorgo ora di aver camminato
per diversi chilometri, senza una meta e senza un'idea.
Ma che uomo di merda che sono! Trovo la mia
compagna morta in camera mia e anziché chiamare
aiuto scappo come un bambino. Mi giro di scatto, ho i
brividi malgrado ci siano già 23 gradi.
Non so cosa fare, forse non sono proprio l'uomo fermo
e deciso che credevo di essere.
Forse gli altri hanno questa idea di me perché sono
riuscito a crearmi questa immagine, ma è finta, finta
come tutta la mia vita.
Greta aveva forse ragione?
Decido di tornare sui miei passi, non posso lasciare
Ayla in quella stanza, sola, ad attendere che qualcuno
la trovi già in stato di decomposizione.
Devo essere uomo, non scappare, devo fare subito
ritorno.
Riprendo il cammino verso il mio residence, passo
attraverso il bazar e le strette stradine e sono ormai le
8.00 quando mi trovo davanti all'enorme scalinata
dell'andata; la faccio tutta correndo, rischiando anche
di cadere più e più volte.
Arrivo alla fine e una musica avvolge le mie orecchie.
E strana, sembra una musica militare, molto pomposa,
con voci che cantano come in un coro lirico solenne.
Giro l'angolo e mi trovo tanti bambini tutti sull'attenti
insieme ai genitori davanti a quella sembra essere una
scuola.
Sono tutti immobili ad ascoltare l'inno solenne della
nazione mentre un operatore scolastico issa la bandiera
turca.
Non appena l'inno finisce tutti ripartono, i bimbi vanno
verso la scuola e i genitori per la loro strada.
La cosa strana è che vedo bimbi fermi anche lontano
dalla scuola; evidentemente all'attacco dell'inno tutti si
devono fermare, indipendentemente da dove si trovino.
Procedo ancora per qualche minuto e mi trovo davanti
il residence dove si trova Ayla.
Rimango fermo a guardarlo per un tempo indefinito,
poi trovo il coraggio e infilo la chiave nella toppa del
portone principale. Non faccio in tempo ad aprire che
la maniglia si abbassa e da dentro emerge il gestore, un
certo Ümit. Mi guarda, sorride e in un inglese un po' tragico mi
augura buona giornata.
Rispondo con un finto sorriso e un vago gesto con il
capo. Salgo nella mia stanza e ogni gradino della scala
in legno risuona come una fitta nella testa, ogni cigolio
è un colpo diretto al cuore, l'ansia sale, sto già cercando
una strategia, entrerò e inizierò a urlare, così Ümit mi
seguirà e troverà con me il cadavere di Ayla e avrò un
alibi. Non credo siano molto indulgenti qui nei
confronti degli assassini.
Guardo la porta, mi fermo a riflettere un attimo, forse
due... Dannazione, devo trovare il coraggio di infilare
la chiave, la mano mi trema e ho bisogno di
accompagnarla aiutandomi con l'altra.
La chiave finalmente entra nella toppa, la giro e la porta
si apre.
Vengo inondato dalla luce bianca che entra dalle
finestre del soggiorno, lascio la porta spalancata dietro
di me, i miei passi sono lenti e brevi, come un
funambolo sul filo che sta percorrendo su un precipizio
dove cadere per sempre.
Entro nel corridoio, la camera è ora di fronte a me;
riesco già a vedere una parte del letto, arrivo sulla
soglia e mi sembra che sia trascorsa una vita. Mi siedo
sul letto e comincio a ruotarvi sopra, sempre seduto, e
giungo sul lato di Ayla con gli occhi chiusi per il terrore.
Li apro e lei non c'è più!
Mi parte un grido e cado di nuovo per terra.
"Mio Dio, dove sei? Dove sei?", strepito, quasi senza
rendermi conto che sono seduto per terra e lei non c'è
più. Sento sbattere la porta e nel giro di un attimo vedo
sulla soglia della stanza Ümit che mi fissa e mi dice
qualcosa in turco, si avvicina, mi guarda, mi prende
sotto le ascelle con le sue braccia e mi tira su. I nostri
occhi si incrociano.
"Where is Ayla? Where is she?", chiedo tremando.
Lui mi guarda con una faccia leggermente stupita e
pronuncia con voce ferma e fredda: "Who is Ayla?".

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 23 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

I vortici dell'anima Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora