3. Ci sono cascata di nuovo

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Per quanto ne so, secondo gli astrofisici, un buco nero è un corpo celeste dal campo gravitazionale così intenso che nulla può ritornare indietro dopo essere stato risucchiato al suo interno

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Per quanto ne so, secondo gli astrofisici, un buco nero è un corpo celeste dal campo gravitazionale così intenso che nulla può ritornare indietro dopo essere stato risucchiato al suo interno.
E io, seduta sul divano della stanza-libreria dell'hotel, sentivo di avere un buco nero al centro del petto, che aveva risucchiato via ogni spiraglio di luce dal mio cuore e dalla mia mente.
Mentre tutti dormivano, io fissavo la compressa tra le mie mani, incerta se ingoiarla o meno. Alla fine ne avevo già prese due, in attesa che quella sensazione di vuoto apatico sparisse come per magia, ma non era accaduto.
Forse quello era l'unico modo per non sfuggire al destino che avevo decretato per me stessa, non avrei potuto avere paura di andarmene per semper mentre ero stordita dai farmaci, era il giusto compromesso.
Afferrai il bicchiere d'acqua con le mani tremanti, le palpebre si facevano già pesanti, forse non ce ne sarebbero volute molte, così misi la compressa tra le labbra e presi un lungo respiro.
«Fermati!» L'urlo di una voce profonda e risonante mi fece sussultare e la compressa che tenevo ancora tra i denti volò via sul pavimento.
Mi voltai, alla ricerca della persona a cui apparteneva la voce, solo allora la sentì, Claire de lune, suonava leggera tra le pareti della stanza, ma nessuno era seduto al pianoforte, ero da sola.
Afferrai il blister per scartare un'altra compressa.
«Ti ho detto di fermarti»
Ero fuori di testa o i farmaci mi avevano fatto venire le allucinazioni?
Ignorai la voce.
Anche se era solo la mia immaginazione, l'idea di morire tra le note di quella canzone non mi dispiaceva, era un modo molto elegante di salutare il pianeta Terra.
«Evangeline» mi richiamò mentre riafferravo il bicchiere d'acqua che avevo poggiato sul tavolino di fronte a me. «Questa non è la soluzione»
Fu allora che la musica si zittì e lo vidi, la figura imponente di un uomo dai capelli rossi si stagliava di fronte a me.
Non riuscivo a vederlo nitidamente senza occhiali, era sfocato, come incorporeo e intangibile, ma ero certa che fosse lì.
«Chi sei? Come conosci il mio nome?» Gli chiesi. Non avevo idea di chi fosse, non era un cliente dell'hotel, sapevo i loro nomi e conoscevo i loro volti, a meno che non fosse un uomo di passaggio che voleva prenotare una stanza all'ultimo minuto nel bel mezzo della notte.
Considerando il suo forte accento francese, quella era la spiegazione più plausibile.
Mi schiarì la gola e mi sollevai in piedi.
«Mi scusi, stavo solo prendendo una compressa per il mal di testa» nascosi il blister dei farmaci in tasca «mi segua, vuole prenotare una stanza?» Lottai contro la gravità per non cadere, mentre la testa vorticava.
«Evangeline, so che non si tratta di paracetamolo e ne hai già prese due» osservò camminando verso di me.
«Mi stavi spiando?» Sussultai e sgranai gli occhi.
«Io vivo qui» si guardò intorno e mise le mani nelle tasche dei pantaloni neri dal taglio elegante.
Io risi, era da tanto che non sentivo quel suono uscire dalla mia bocca, ma in quel caso non era una risata di divertimento, bensì di disperazione.
«Si da il caso che io conosca tutti qui» biascicai.
Lo vidi nascondere un sorriso di scherno e, per quanto fosse possibile dato il mio stordimento momentaneo, sentii i nervi tendersi.
«In realtà io non ho idea di come tu stia sentendo la mia voce» osservò «ogni tanto qualcuno ha giurato di sentirmi suonare, ma non mi era mai capitato che intavolassero una conversazione con me»
Dalla mia bocca uscì un'altra risata amara.
«Sei qui di fronte e, se mi parli, io rispondo. Forse sono quasi drogata dai farmaci, ma non sono una maleducata» sollevai le sopracciglia per sottolineare l'ultima affermazione.
«Tu puoi vedermi?» Sgranò gli occhi come se se ne fosse appena reso conto e avvicinò il suo volto al mio.
Io indietreggiai e inciampai sul tavolino alle mie spalle, finendo rovinosamente col sedere sul pavimento.
Lo sentii ridere di me e quel suono mi diede sui nervi come non mai.
«Ti sembro cieca o bendata? Certo che ti vedo» mi sollevai a fatica, massaggiandomi la coscia dolorante, mentre tutto attorno a me sembrava scorrere lento.
«La gente di solito non vede i morti» strinse la mascella.
Stavolta a ridere fui io, risi di me e di quella situazione fuori dal comune.
«Forse mi prendi in giro o forse ho le allucinazioni... cosa plausibile, visto che mi capita spesso ultimamente, questa musica risuona nell'aria nei momenti più bizzarri» mi sedetti sul divano quando mi resi conto di parlare a raffica e poggiai una mano sulla fronte. Fui colta da un capogiro, forse sarebbe stato più saggio addormentarsi.
«Tu mi senti suonare?» Si sedette accanto a me, interessato all'argomento, ma non era sconvolto da quest'ultima affermazione.
«Ascolta» cominciai avvicinandomi a lui «Sono certa che tu non esista davvero, sei solo uno scherzo della mia mente corrotta dalle benzodiazepine, quindi chiuderò gli occhi, dormirò, e tu domani sarai sparito» mi poggiai al bracciolo e quasi non mi addormentai all'istante.
«Può darsi che sparirò, ma non sono un'allucinazione» lo sentii allontanarsi senza produrre alcun rumore, ma il freddo glaciale che emanava il suo corpo, di cui non mi ero resa conto fino a quel momento, sparì, e io caddi in un sonno profondo e senza sogni.

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