4. C'è tormento e tormento

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Il mio malessere era un tormento, la cosa che più odiavo al mondo, perché quando sei triste non vedi l'ora di tornare a respirare un po' di gioia, prendere una boccata d'aria fresca e aprire le labbra in un sorriso

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Il mio malessere era un tormento, la cosa che più odiavo al mondo, perché quando sei triste non vedi l'ora di tornare a respirare un po' di gioia, prendere una boccata d'aria fresca e aprire le labbra in un sorriso.

Quando sei apatica è molto peggio, perché daresti qualsiasi cosa pur di provare lo stralcio di un sentimento, uno qualsiasi.

E forse dovevo essere grata alla faccia si Joyce che riappariva nei miei sogni, perché per la prima volta, ero concentrata su qualcosa che non fosse il mio umore nero.

Mi aveva detto che avrebbe voluto tormentare la mia anima per seguirmi, poi aveva aggiunto che stava scherzando, ma a suo modo era lì, non usciva dalla mia testa. Quando chiudevo gli occhi per provare a dormire, l'immagine del suo volto squadrato, con la mascella spigolosa, le labbra rosee, i folti capelli rossi e gli occhi lucenti, mi raggiungeva.

Affondavo la faccia sul cuscino, stanca di lottare contro il sonno che non arrivava. Nonostante fossi stanca per quella nottata mi ero rigirata tra le lenzuola per tutto il pomeriggio.

Mi ero convinta che non avrei più ripreso quelle pillole senza una prescrizione medica e così avevo abbandonato l'idea di dormire e mi ero messa a studiare.

Dovevo ancora trovare un argomento che andasse bene al professor Miller per il suo elaborato.

Lo schermo del mio cellulare, poggiato sulla scrivania, s'illuminò.

Meg: Eveee, sei pronta per domani sera? Giuro che sarà la miglior serata della tua vita.

'Mai pronta quanto te.'

Digitai.

Meg: Hai già scelto il tuo costume?

'Nessun costume per la sottoscritta, è già tanto che verrò'

Alzai gli occhi al cielo.

Meg: Come immaginavo... per fortuna ci ho già pensato io. Verrò da te con Johanna, domani sera alle 9:30 , non devi preoccuparti di nulla.

Decisi di ignorarla, non avevo alcuna intenzione di indossare strani costumi, e da una come Meg c'era da aspettarsi di tutto.

Tornai ai miei appunti, ma la mia mente non stava collaborando come avrei sperato.

Le immagini che avevo visto riaffioravano tra i miei ricordi. Quella che mi destabilizzava più di tutte era il corpo senza vita di Joyce, scosso dalle convulsioni, ai piedi di quel, tanto familiare, pianoforte.

Afferrai il mio cellulare e digitai il nome di quell'uomo su google.

Tra le ricerche trovai un link.

"Serial killer. Casi irrisolti: l'Ombra di Edimburgo, il misterioso killer che uccise un detective"

La foto di due vecchi articoli di giornale che riportavano:

"Joyce Aubert: finito nella trappola del killer"

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