1. Per poco non fu l'ultimo giorno della mia vita

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'E il fumo del loro supplizio sale in eterno e non hanno più riposo, né giorno né notte, questi adoratori della bestia e della sua immagine e chiunque riceva il marchio del suo nome

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'E il fumo del loro supplizio sale in eterno e non hanno più riposo, né giorno né notte, questi adoratori della bestia e della sua immagine e chiunque riceva il marchio del suo nome.'
Questa era solo una frase dell'Apocalisse, ma la descrizione dei dannati all'inferno corrispondeva al mio modo di vedere la vita.
Da anni, il suono della sveglia era un tormento, non perché suonasse troppo presto, ma perché io non ero ancora riuscita a dormire, mi appisolavo di tanto in tanto, ma poi i miei occhi si aprivano e finivo per fissare il soffitto e rigirarmi tra le lenzuola.
Mi sporsi oltre il materasso per premere il tasto sul cellulare e arrestare la stridula suoneria che si propagava per la stanza.
Mi misi a sedere e sospirai.
Da adesso cominciava la mia recita.
Inforcai gli occhiali, mi alzai in piedi e aprii le tende per illuminare la stanza, il sole era sorto solo da un'ora, il cielo era nuvoloso, ma i pochi raggi bastavano a illuminare l'ambiente del monolocale in cui abitavo.
Costrinsi i miei piedi a trascinarmi fino al bagno.
'È solo la tua testa', mi dissi, 'puoi farcela anche oggi, un'ultima volta'.
Mi guardai allo specchio e abbozzai un sorriso per controllare quanto risultasse veritiero.
'Non posso farcela'. Constatai.
I miei occhi si inondarono di lacrime, come ogni mattina, li strofinai per cacciarle via e abituarmi al mio viso sorridente, ma più mi guardavo con quell'espressione che non mi apparteneva, più le lacrime uscivano dai miei occhi.
Mi lavai il viso, così da confonderle con l'acqua fredda e tentai di camuffare le occhiaie con del correttore aranciato.
Il trucco fa miracoli. Pensai.
Indossai dei jeans comodi e un maglione, afferrai la borsa e mi lasciai casa alle spalle per dirigermi all'università di Edimburgo.
Non era molto lontana da dove vivevo, la raggiungevo in autobus in pochissimo tempo.
Mentre camminavo verso la fermata mi godevo la vista sugli alberi arancioni e il tappeto di foglie su cui camminavo, era una delle poche cose di cui ancora riuscivo a bearmi.
Alla fermata del bus mi sedetti su una panchina e mi guardai intorno, la gente non si fermava mai a farlo.
Una signora dai capelli biondi passava di lì tutte le mattine, con un caffè fumante in mano, il giornale chiuso tra le dita della stessa, il guinzaglio con cui portava a spasso il cane con l'altra e il cellulare tra l'orecchio e la spalla.
«Le ho detto che deve trovare subito una soluzione» urlava quel giorno.
Ogni mattina discuteva animatamente con qualcuno per motivi diversi. «Non m'interessa se sono tutti impegnati, a me serve qualcuno che...»
Decisi di abbandonare la signora e spostare la mia attenzione sul postino che, come sempre, passava di casa in casa a riempire le buche delle lettere.
A volte doveva consegnare le buste personalmente e suonava il campanello.
«Buongiorno» un uomo la salutò abbassando il finestrino dell'auto.
Il postino si vitò a guardarlo come se già sapesse il motivo per cui avesse attirato la sua attenzione.
«Attendo un pacco, potrei averlo adesso?» urlò.
«Mi dispiace, devo seguire il mio itinerario e consegnare i pacchi direttamente all'indirizzo di consegna, non posso fare eccezioni» il postino parlò come se avesse già avuto quella conversazione centinaia di volte.
«Ma come può vedere io non sarò in casa» continuò l'uomo.
«Questo non è un mio problema» il postino s'innervosì.
Possibile che la gente non lasciasse mai gli altri fare il proprio lavoro?
L'uomo continuò la sua discussione con il postino, ma io mi disinteressai anche di quella.
Il bus arrivò puntuale come sempre e io presi posto sulla prima sedia libera che trovai, accanto al finestrino.
Per fortuna nessuno era seduto alla mia sinistra.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca, trovai un messaggio da sua nonna.

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