1//Becca

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"grazie, ma ora vado"

"hai appena finito di vomitare, riposati, poi ti porto a casa io amore"

"non chiamarmi amore, non sono la tua ragazza"

Mi rimisi il vestito della sera precedente, presi la borsa, uscii senza nemmeno salutare e raggiunsi a piedi il luogo della festa.
Presi le chiavi della mia auto, entrai e chiusi la portiera, premetti l'acceleratore e mi diressi verso quella che ormai era la mia casa da un tempo che non ricordavo neppure io.

***

Buttai la borsa a terra e mi lasciai cadere pesantemente sul vecchio divano.

"eccone un altro che credeva davvero che mi sarei messa con lui" pensai irritata da questo comportamento, che interessava tutti quelli che mi avevano portata a letto una volta.

Mi alzai dopo un'ora sbuffando e decisi che era il caso di iniziare a fare i compiti per il giorno dopo. Il lunedì avevo tutte materie importanti, e ci tenevo che la mia media fosse alta.

Verso le sei suonò il campanello, così corsi alla porta, ma non feci in tempo ad aprirla che Lea mi si parò davanti:

"UN ALTRO?" urlò con una voce acuta e squillante, senza preoccuparsi di quello che avrebbero detto i vicini.

"si..." risposi abbassando lo sguardo.

Lea entrò e si accomodò in cucina, riempiendo un bicchiere con del succo di frutta alla pesca, trovato sul tavolo.

"prima o poi devi smetterla, e lo sai bene: non puoi risolvere i tuoi problemi così."

"i miei problemi non possono essere risolti, e tu lo sai meglio di chiunque altro."

Ed era così, Lea mi conosceva meglio di tutti, e con tutti si intendeva veramente tutti, più della mia famiglia o dei miei amici, se così si potevano chiamare.

"beh vado a farmi una doccia" mi disse svegliandomi dai miei pensieri, poi si diresse verso la porta della mia camera.

Spesso si fermava da me, ormai non serviva chiedere, usava i miei vestiti, il mio bagno, la mia cucina, la mia camera.

La vidi uscire con l'intimo che aveva trovato nei miei cassetti ed un asgiugamano e dirigersi verso il bagno.

Sapevo che si stava preoccupando per me, lo faceva fin troppe volte, ma io non potevo essere aiutata, e forse neanche volevo. Mi bastava poter dimenticare tutto, ma ancora non ci riuscivo, e mi sentivo sbagliata, dannatamente sbagliata. Forse per questo non ero me stessa: in pubblico, almeno, ero un'altra, lei solo sapeva com'ero davvero, e al momento mi andava bene perché per quanto fossi abituata nessuno puo' tenersi tutto dentro, e Lea era l'unica di cui mi fidavo.

***

5

Bello come numero, no?
ha spigoli, ha curve, e per pronunciarlo bisogna emettere suoni dolci e duri insieme, insomma, è un mix, un bellissimo mix.

05.00

am i wrong for...

spensi la sveglia prima che la canzone continuasse, si ero sbagliata, ma credo andasse bene così, almeno agli altri andava bene così, e io ne avevo bisogno.

Presi dall'armadio un top corto, dei pantaloni da calcio e una felpa e uscii di casa.

Appena fuori mi infilai le cuffie e feci uno chignon spettinato, mentre cominciavo a correre per le strade deserte.

mi divertivo a seguire le linee bianche, a saltare sui muretti, tanto chi mi avrebbe visto?

Arrivai in spiaggia e presi a camminare seguendo le curve tracciate dalle onde fino ad arrivare lì.

6

Non mi era mai piaciuto, tutte curve, banale no? E poi ha un suono così triste.

06.00

Era ora di tornare a casa e di smetterla di essere me stessa, per quel giorno era bastato.

Feci una doccia per sciaquarmi di dosso la vera me, e mi vestii diventando Becca, la troietta della scuola, quella super truccata a cui vanno dietro un po' tutti, chi non vorrebbe essere come lei?

Beh di certo non io.

"pronta?" chiese Lea entrando in cucina, già vestita e pettinata.

"non credo, c'è un'alta probabilità che tiri un pallone da basket in faccia al coach se osa rompere di nuovo" le risposi mentre finivo la mia tazza di cereali.

Era insopportabile, se saltavo un'allenamento era la fine, ma per l'amor del cielo, cosa sarà mai, mi chiedevo, ma ogni volta inutilmente, visto che lui doveva per forza ricordarmi quanto importante fosse vincere e blablabla.

Lo odiavo, a me non interessava vincere, amavo il basket, era credo l'unico momento in cui la gente mi vedeva per quello che ero, e non la puttanella della scuola che gira su tacchi vertiginosi sculettando.

Giocavo a basket perché era importante, era una cosa fondamentale per me, principalmente per il gioco di squadra, non mi interessava essere chissà quanto importante, mi bastava giocarci.

"si ultimamente è diventato abbastanza fastidioso, l'altro giorno mentre facevamo ginnastica è entrato dicendo che era sparito il suo fischietto, e non se n'è andato finché non ha controllato in tutti gli armadietti dello spogliatoio.
È stato un bene però, stavamo facendo addominali, ma abbiamo perso qualcosa come 45 minuti"
spiegò ridendo lei.

***

Arrivammo a scuola e la solita mandria mi impedì di scendere dall'auto, raggiunsi l'aula della prima lezione senza calcolare minimamente il mio seguito e mi sedetti da sola vicino alla finestra, occupando con lo zaino l'altra sedia.

Pochi minuti dopo entrò il prof con una faccia addirittura rilassata, si insomma, per i suoi standard, si sedette e ci squadrò dal primo all'ultimo, soffermandosi maggiormente su me e poi su James.
Noi due "ravvivavamo" le sue lezioni in un modo che credo non apprezzasse a pieno, o forse era semplicemente vecchio per le nostre battutine.

"avrete un nuovo compagno" esordì,
"si chiama Josh e viene dal New Jersey, arriverà tra pochi minuti" continuò leggendo alcune informazioni da un foglio
"ah e, per favore, fate almeno finta di essere una classe normale" concluse, carino devo dire, un prof veramente gentile.

Pochi minuti dopo arrivò il nuovo ragazzo. "Stranamente" la maggior parte delle mie compagne fece vari mugolii di approvazione, ma era scontato, quando vuoi che arrivi un nuovo compagno brutto?

Non prestai molta attenzione, anzi, mi misi a cercare una gomma in cartella, per niente interessata.

"È libero?" mi girai di scatto e notai il ragazzo nuovo indicare la mia cartella.
Diedi un'occhiata verso la classe e notai che il mio banco era l'unico libero, perciò spostai la cartella sbuffando e continuai a cercare una gomma alla menta.

"piacere, Josh" mi sorrise
"ho sentito come ti chiami" risposi fredda, non avevo bisogno di altri spasimanti.

self esteemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora