7//Becca

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Mi faceva male guardare quella ragazza bionda abbracciare Ben e riuscire a calmarsi, mi ricordava il mio perenne silenzio, mi ricordava ciò che non potevo fare, ma quel giorno Ben non c'era e lei stava forse più male del solito, così l'avevo abbracciata.

Tutti mi stavano guardando straniti, come se non fossi io.

La aiutai ad alzarsi e la accompagnai al bagno.
Si sciacquò la faccia e si girò intimorita.

"Non devi aver paura di me" le dissi tranquilla.
"I-io, cioè t-tu, tu m-mi odi" disse tremando ancora.
"Non ti odio, non mi sono comportata bene lo so, ma ora hai bisogno di aiuto, e tuo fratello non c'è, stai tranquilla."
"Mi dispiace" disse lei indecisa.
"Ti dispiace per cosa?" Chiesi stranita.
"V-vi rovino spesso, i-il p-pranzo, n-on lo faccio apposta"
"Non preoccuparti, senti sistemati, poi vieni con me."

Obbedì, poi uscimmo dal bagno e la accompagnai alla mia macchina, sotto gli sguardi stupiti di Shawn e Josh.
Lea invece era tranquilla.

Entrammo in auto e ci sedemmo entrambe sui sedili posteriori per stare più comode. Appoggiai la schiena al finestrino, e così fece lei con l'altro.

"Sam sta per Samantha?" Chiesi accennando un sorriso.
"Si" rispose timida.
"Sei più piccola di Ben" constatai "Quanti anni hai?"
"15, lui 17" disse fissando le punte delle scarpe.
"Di cosa hai paura?" Chiesi osservandola.
Ebbe un sussulto "i-in che senso?"
Mi avvicinai a lei e le accarezzai una spalla "scappi, quando arrivi da noi stai scappando, si scappa quando si ha paura, tu di cosa hai paura?"

Alzò lo sguardo verso al mio, il suo corpo non tremava più, ma gli occhi lo facevano al posto suo.

"Non sono mai stata accettata, non c'è un momento in cui qualcuno mi guarda e mi dice che vale la pena salutarmi, o parlarmi, che non mi dica che sono inutile, solo inutile, e per questo mi rifugio da Ben, c'è sempre."
"Loro non ti ignorano e basta, ti prendono anche in giro, ti rubano le cose, vero?"
I suoi occhi vacillarono e le scese una lacrima.
"Lo facevano anche con me" tornò a guardarmi, la faccia un misto tra lo sconvolto e l'incredulo.
"Sai mi infastidivi perché io questo lo sapevo già, sapevo il motivo per cui spesso venivi da noi e ti comportavi così, e avevi sempre tuo fratello a proteggerti. Io lo sapevo e avevo voglia di aiutarti, ma poi ti vedevo con tuo fratello e mi facevi arrabbiare talmente tanto. Io ero come te, solo senza un fratello. Non ho mai avuto nessuno ad aiutarmi, mai. Nessuno che mi abbracciasse o mi accompagnasse a casa. E mi facevi arrabbiare perché ti invidiavo cio' che io non avevo avuto. Ma la colpa non è tua, e me ne sono accorta, quando nei tuoi occhi si è letto che ti sei sentita persa senza di lui, e non avevo il diritto di lasciarti crollare."

Mi abbracciò forte e mi sussurrò un "grazie" all'orecchio, poi la riaccompagnai a casa.

Forse avevo sbagliato a mostrarmi così agli occhi degli altri ma effettivamente lei non aveva nessuna colpa se la mia vita non era come quella di una qualsiasi ragazza normale, e non avevo il diritto di trattarla male.

***

Dentro uno sgabuzzino.
Chi era il pazzoide malato di mente che poteva avermi rinchiuso in uno sgabuzzino?

"Becca"
Josh, giusto, solo lui avrebbe potuto.

"Perché hai messo un giorno a diventare amica di Sam e me mi eviti il più possibile?" Domandò, il tono leggermente irritato.

"Non mi interessi, tu"
"E lei ti interessa?"
"Lei ha bisogno di aiuto, tu mi sembri abbastanza grande e grosso da poter cavartela da solo." Tentai di concludere, infastidita.

Aprii la porta e uscii ma venni fermata dal suo braccio, che mi trascinò fino alla sua moto.

10 minuti dopo eravamo in spiaggia, sotto la postazione del bagnino.

"Perché mi hai portato qui?" Lo fissai stranita.
"Perché qui mi hai parlato." Rispose ovvio.
"Ti parlo tutti i giorni."
"Okay, allora specifico, qui ti sei confidata, in piccola parte, con me." Disse alludendo ad una sera di quasi un mese prima.

"Te lo chiederò di nuovo, perché ti interessa tanto questa cosa del "conosciamo meglio Becca" ?"
"Perché Sam non è l'unica che ha bisogno di aiuto."
Tre parole: "bisogno di aiuto".

Tante volte Lea mi aveva detto che mi serviva, e tante volte non le avevo dato ascolto.
Eppure ora detto da lui sembrava così diverso.
Sembrava così vero.

Mi abbracciò e all'inizio rimasi rigida, non abituata a quel contatto, ma mi era mancato così tanto che decisi di non ascoltare il mio cervello che mi diceva di staccarmi, e mi lasciai andare.
Ora che lo riavevo mi sembrava la cosa più bella e più brutta. Più giusta e più sbagliata. Sentivo che potevo vivere senza, ma sentivo anche che non volevo.
O forse il contrario.

Non si aspettava che ricambiassi, lo sapevo. E quando stava per allontanarsi mi aggrappai al suo petto, lui rimase stupito, poi mi strinse più forte e rimanemmo abbracciati in silenzio per davvero molto tempo.

"Non voglio forzarti" sussurrò lui, sempre timoroso di rompere il silenzio.
"Credo che prima o poi qualcuno debba conoscermi" lo sentii accarezzarmi l'addome in un moto circolare.
"Se non vuoi, o non vuoi che sia io..." Sospirò facendo una breve pausa "va bene, è giusto."
"Non c'è niente di giusto" mi voltai a guardarlo in volto "fin da piccola ho avuto paura, da, da, beh da un certo punto ho deciso di nascondermi ma tu sei arrivato e anche se abbiamo parlato seriamente solo un paio di volte in quasi un mese ti sei accorto di cose che solo Lea conosce, perché è cresciuta con me. Perciò se proprio devo mostrarmi a qualcuno quello sei tu."

Non mi ero mai fidata di nessuno neppure dopo mesi, ma con lui sapevo che potevo, e sopratutto lo volevo, perché finalmente qualcuno che non mi conosceva per quello che mi spacciavo, aveva rotto il mio silenzio.

"Vieni, ho voglia di presentarti una persona" mi alzai, lui si tirò su, e io gli strinsi la mano. Per niente sicura di quello che stavo facendo.

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