13. Vita - Velaj

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«Vostra Iridescenza, aspettate!»

Velaj ignorò il richiamo di Zur e si chinò per oltrepassare le fronde spoglie del salice, facendo crollare la neve che si era depositata sui rami pendenti mentre si faceva strada oltre il fitto del bosco. Il suolo innevato era così morbido che gli stivali affondavano a ogni passo, ma lei tirò su l'orlo della pelliccia e tentò comunque di accelerare, il battito del cuore impaziente che pulsava tra le orecchie. Il gelo dell'inverno appena iniziato l'aveva costretta a nascondere i capelli bianchi sotto un cappello e ad avvolgere il collo con due giri di lana bianca, ma adesso sentiva la pelle bruciare sotto la tunica e le sferzate di vento freddo sul viso non la infastidivano neppure, così come i fiocchi di neve che continuavano a cadere.

Di fronte a lei si stagliavano montagne imponenti, dai versanti irregolari e la roccia scura in contrasto con il candore della neve. Nuvole grigie sfioravano le cime più alte, sfumando le figure di quelle più distanti, ma la forma era quella che ricordava, orientata a ovest come se il vento avesse soffiato così forte da inclinare l'intera catena montuosa. Una distesa di alberi dai tronchi sottili guidava l'occhio fino a valle, un nido protetto tra le alture spaccato a metà dal placido scorrere di un fiume.

«Dunque? È questo il luogo?» domandò Snezhana, oltrepassando i rami con cautela. Balzò all'indietro quando un blocco di neve più grosso venne giù dal ramo più alto e quasi le cascò in testa, lanciando un urletto acuto che fece ridacchiare Velaj. «Avresti potuto avvertire...»

«Non vedo costantemente ciò che succederà» si giustificò lei, affondando le mani nella borsa che aveva a tracolla. Tirò fuori una delle sue pergamene mentre Zur le raggiungeva, affiancando Snezhana tra i borbottii di un ammonimento che Velaj non si preoccupò di ascoltare. Udì distrattamente la compagna spiegare che l'Iridescente aveva già visto che non correva pericoli in quella zona – non era vero, ma il suo tono solenne l'avrebbe spinta a mettere in dubbio persino se stessa – e lasciò che si occupasse lei del Vakt, srotolando la pergamena davanti ai suoi occhi.

L'immagine coincideva. Velaj controllò ogni dettaglio più volte, nel timore che il suo entusiasmo potesse ingannarla, ma ogni dettaglio corrispondeva a quello che aveva disegnato ormai dieci anni fa. Non sapeva bene perché fosse importante, ma doveva esserci una ragione se Beyled le aveva inviato quella visione quando il suo Naru si era manifestato la prima volta. Aveva visto lei, la sua statua di mille specchi sfaccettati che brillava di arcobaleno, e alle sue spalle quel luogo, un'immensa distesa innevata che mutava nel rapido scorrere del tempo fino a diventare qualcosa di così meraviglioso che la sua mente riusciva a malapena a concepirlo. L'aveva scambiata per un'allucinazione finché le visioni non erano tornate, ma col tempo aveva imparato che riusciva a vedere nel futuro solo ciò che aveva davanti agli occhi – tranne quel luogo. Quel luogo non aveva idea di dove fosse, anche se qualcosa nel suo petto sapeva dove trovarlo, una solida consapevolezza che non era svanita nel corso degli anni. Lo stesso istinto le aveva suggerito di aspettare per cercarlo, in attesa del momento giusto per vedere ciò che quel luogo le avrebbe mostrato, e quel giorno era arrivato.

Lo sapeva. Lo sentiva. Alla vigilia della sua incoronazione a zarina, i piani di Beyled per quel luogo sarebbero divenuti chiari ai suoi occhi.

Strinse la pergamena al petto, trattenendo l'istinto di urlare. Le gambe formicolavano, brucianti per il desiderio di muoversi e saltare, il cuore si agitava incontrollabile e quando tentò di parlare le venne da ridere. Decise di concedersi almeno quello: i suoi seguaci si aspettavano che mantenesse un comportamento solenne, misurato e composto in ogni situazione, ma lì c'era soltanto Zur e non avrebbe perso la sua fede in Beyled per una semplice risata.

«È questo, Snezhana. L'abbiamo trovato!»

Velaj sistemò la pergamena nella borsa e percepì il sorriso farsi più ampio quando incrociò lo sguardo della compagna. Era così graziosa con le gote arrossate dal freddo e i ciuffi color pesca che il cappello schiacciava sulla fronte, ma non poteva baciarla come desiderava; quello sarebbe stato troppo persino per Zur, così si accontentò di afferrarle una mano. La strinse con vigore mentre tornava a guardare le montagne, poi schiuse le labbra e lasciò che il Sihir si riversasse dentro di lei.

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