𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟏𝟕

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— Leggete perfavore l'angolo autrice in fondo, è molto importante.

Come previsto, venni chiamato nell'ufficio di mia madre

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Come previsto, venni chiamato nell'ufficio di mia madre. La tensione nell'aria era palpabile prima ancora che aprisse bocca. Quando lo fece, il suo tono era acido, molto più del solito.

«Cosa pensavi di fare, Malachi?» disse con un ringhio soffocato. Di solito era fredda anche con me, ma quando parlava così, sapevo che era veramente furiosa.

La fissai negli occhi, occhi taglienti e impenetrabili, così simili ai miei. «L'avrebbe uccisa senza una giustificazione,» risposi con durezza, senza lasciarmi intimidire.

«Se la doveva cavare da sola,» replicò, il suo tono ancora più glaciale. «Ti avevo detto di starle alla larga, e mi avevi promesso che lo avresti fatto.»

Non distolsi lo sguardo. «Non lo farò.» dissi, il tono annoiato e fermo. «Non starò alla larga da lei.»

Mia madre si irrigidì, e i suoi occhi si ridussero a fessure. «Scusami? Ripetilo, Malachi.» ordinò, ma non c'era più paura in me, non come quando ero un bambino. Ora sapevo esattamente a cosa andavo incontro, e per quanto mi costasse ammetterlo, l'idea non mi faceva piacere. Ma non avrei ceduto.

«Hai capito bene, madre. Non importa che lo ripeta.» risposi, senza un filo di esitazione. La sua rabbia era palpabile, ma anche quella calma glaciale che precedeva sempre qualcosa di molto peggio.

«Sai cosa succede a chi disubbidisce alle regole dell'Accademia, vero?» sibilò, alzandosi dalla sua poltrona di pelle. «Solo perché sei mio figlio non significa che sarai immune dalle conseguenze.»

La fissai negli occhi, sapendo benissimo cosa intendesse. Il freddo che mi attraversava le vene mi ricordava la stanza blu. Ci ero già stato una volta, e sapevo che nessuno esce dalla stanza blu come c'era entrato.

Questa sarebbe stata la mia seconda volta. La paura si insinuò dentro di me, lo ammetto. La stanza blu era un incubo che mi tormentava ancora, ma non avrei mostrato debolezza. Annuì, anche se un tremito quasi impercettibile tradì la mia calma.

«Sei ancora sicuro di non volerle stare lontano?» domandò autoritaria, gli occhi fissi nei miei come lame. Annuì di nuovo, stavolta con più convinzione.

«Bene.» Premette un pulsante sul piccolo citofono sulla sua scrivania. Un bip sordo risuonò nell'aria. «Carlos, Cesare, venite nel mio ufficio.»

Pochi minuti dopo, i due uomini della sicurezza di mia madre entrarono. Erano massicci, i volti impassibili. «Scortatelo alla stanza blu.» ordinò mia madre. «Deve riflettere sulle sue azioni.»

Carlos e Cesare non persero tempo. Mi afferrarono per le braccia, ma non feci resistenza. Mentre mi scortavano verso il seminterrato, il mio cuore batteva più forte. Ogni passo era un colpo sordo che mi portava più vicino a quella stanza maledetta. Sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 07 ⏰

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