Blue Jean ha 21 anni, è figlia di un discografico e della depressione.
Passa le sue giornate da ribelle solitaria come commessa in un negozio di dischi a Londra e le notti tra locali, eccessi e uomini, in cerca di qualcosa che la possa riscattare d...
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«Che cosa ci fai qui?» Lo guardo di nuovo negli occhi. Mi faccio da parte per farlo entrare dato che sta continuando a bagnarsi. Chiudo la porta quando entra.
«Hai paura.» Inarco un sopracciglio. È fatto? «Cosa?»
Mi guarda. Sì, è decisamente strafatto. Da cosa lo capisco? Dalle pupille ridotte a due spilli. Si inumidisce le labbra prima di rispondere. «Hai paura dei tuoni.» «Sì, e quindi?» «Quindi sono venuto a farti compagnia», dice con un'alzata di spalle.
Apro e chiudo la bocca svariate volte. È pazzo? «Ti sei presentato a casa mia per questo?» Annuisce. «Sì.» Sento le spalle afflosciarsi. «Perché?» Non ha per niente senso.
Si passa una mano fra i capelli scacciando via un po' d'acqua. Continua a tremare. «Te l'ho detto: hai paura e io sono venuto qui per stare con te.»
«Io non te l'ho chiesto.» «Lo so!» Sbotta.
Oddio, perché deve comportarsi sempre in questo modo? Io non lo capisco più.
Passo una mano tra i capelli e sospiro. «Stai tremando, levati quei vestiti.» Mi guarda negli occhi senza dire niente. La stanza si illumina nuovamente in un lampo di luce, seguito poi dal tremendo schianto di un tuono. William continua a non muoversi. Per un momento temo che si senta male. Non saprei che fare sinceramente.
Mi avvicino a lui e gli prendo la mano non fasciata nella mia. È freddo come il ghiaccio. «Will?» lo richiamo.
Lui abbassa lo sguardo su di me, mi guarda ma non dice niente.
Sollevo una mano e gli tocco il viso gelido. «Stai bene?» Annuisce. Inumidisco le labbra. «Devi levarti questa roba, fa freddo.»
Annuisce, di nuovo. Cerco di capire che cos'ha guardandolo negli occhi. Ma sono criptici come sempre.
Allora decido di spogliarlo io. Non batte ciglio quando gli levo il maglione che indossa. Nemmeno quando gli sbottono i pantaloni e glieli abbasso.
Mi raddrizzo e lo guardo di nuovo negli occhi. «William», mormoro. Mi guarda di nuovo. Solleva la mano fasciata e se la passa sul viso. «Blue, non mandarmi via. Non stanotte.»
Le sue parole mi stupisco al tal punto da sbattere le palpebre almeno cinque volte di seguito. Non lo capisco, davvero. «Non lo farò», mormoro.
A quanto pare ha bisogno di sentirselo dire. Non è la prima volta che lo vedo in questo stato, sballato intendo, ma c'è qualcosa che non va nel suo sguardo. Questa parte di lui raramente esce fuori. Gli afferro la mano. «Vieni con me.» Non opporre resistenza quando lo trascino in bagno. Compie i movimenti in modo quasi robotico.