Prologo🌑

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Scagliai il mio pugnale più prezioso contro il piranha che mi ritrovai davanti al volto.

Mi dispiacque, dato che si trattava di un regalo che mi aveva fatto una signora, vedendomi per strada a mendicare per del pane quando ero ancora una ragazzina incapace di difendersi.

Il gorgoglio che produsse il pesce quando affogò con la lama in gola, però, mi risollevò l'umore.

Per quanto l'umore potesse essere risollevato quando ti trovavi in un fiume ghiacciato con centinaia di pesci carnivori sotto di te.

Vedevo circa una ventina di persone intorno a me. Eravamo più del solito, ma il trovarci in acque movimentate ci impediva di avvicinarci e aiutarci a vicenda.

Le alleanze non sarebbero state utili a nessuno, in questo contesto. Avremmo dovuto badare ognuno a sè stesso. O uccidevi quei dannati pesci che ti si attaccavano su tutto il corpo, o morivi.

Per me, la seconda opzione non era ammessa, almeno per oggi.

Ero quindi impegnata ad agitare la mia spada sott'acqua, alla cieca, sperando di infilzare qualche mostro.

Non sapevo da quanto tempo ci trovavamo lì. Era impossibile calcolarlo o anche solo pensarci, ma mi sembrava passata un'eternità.

I muscoli delle gambe mi dolevano, e le fitte di dolore causate dai morsi dei piranha si aggiunsero ai brividi di freddo.

Avevo provato di tutto. Avevo provato a combattere col viso in acqua, ma dopo che un piranha aveva provato a staccarmi un occhio a morsi avevo deciso che non ne valeva la pena. Mi ero quindi rassegnata a combattere col viso fuori dalla superficie.

Non potevo vedere nulla di ciò che si trovava nelle acque scure da cui ero circondata, ma almeno potevo respirare.

Avevo provato a raggiungere le rive del fiume, prima quella alla mia sinistra, poi quella a destra, ma ogni volta che vedevo la terra ferma avvicinarsi, dopo un attimo diventava ancora più distante. Il fiume doveva essere magico, così come i suoi confini. Eravamo quindi tutti costretti ad avere davanti a noi l'immagine della nostra salvezza, che sembrava raggiungibile ma non lo era.

Al morso sul polpaccio di un altro piranha, liberai un verso di dolore e frustazione.

Nivor, dove cazzo sei?

Ogni volta che appariva una persona nuova nel contesto, il suo destino si decideva in pochi secondi. Se veniva raggiunta dalla propria corsa, ossia gli animali di cui era padrone, poteva volare via, se no sarebbe rimasta in acqua insieme agli altri. Chi volava via con il proprio animale non si arrischiava neanche a provare a salvare qualcuno portandolo in groppa insieme a lui. Il rischio che ci rimanessero secchi era troppo alto.

E in questo mondo, l'altruismo esisteva solo quando ti faceva comodo.

Ignorai il freddo che mi congelava le vene e continuai a menare fendenti a destra e a manca. Ogni tanto sentivo un peso sulla spada che mi avvertiva che ero andata a segno, ma la maggior parte della volte semplicemente spostavo l'acqua, come se stessi giocando con la corrente.

Subivo le conseguenze di ogni colpo andato a vuoto con uno o più morsi lungo le gambe, i fianchi, le braccia e ogni parte che fosse possibile raggiungere.

Ad un certo punto la mia attenzione si spostò da un piranha che non smetteva di puntare alla mia coscia sinistra, ad una figura che vidi davanti a me e che prima non si trovava lì.

Strabuzzai gli occhi quando mi accorsi che stavo guardando un cervo. Seguendo lo sguardo disperato dell'animale, capii che stava cercando di raggiungere il proprio padrone, in quel momento intento ad agitare un'ascia e a cercare di non affondarci con il suo peso.

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