Cap. VII

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La colazione a casa Mirren, veniva servita alle sette in punto.
I fratelli maggiori, si recavano nei rispettivi posti di lavoro puntualmente alle otto, non un minuto dopo, ne un minuto prima. La cuoca della villa preparava sia dei pasti salati, che dei pasti dolci. Le uova in camicia erano ormai una tradizione, nelle famigerate famiglie dell'alta società di Londra, venivano serviti insieme a del pane imburrato e ai bubble and squeak, patate e cavoli saltati in padella. Come dolce invece, venivano preparati dei semplici biscotti con delle gocce di cioccolato fondente, insieme ai waffle o i pancake, a seconda delle richieste dei padroni di casa. Quella mattina vennero serviti solo i biscotti, insieme ai waffle, e del succo d'arancia. Oppure il caffè, quando lo chiedevano. Bessie aveva chiesto alla cuoca di non abbondare, Jacob sicuramente non si sarebbe svegliato prima delle undici, e per Henry non era solito mangiare in modo abbondante la mattina. Margaret aveva già apparecchiato il grande tavolo posto nella sala da pranzo, era una tavola che ospitava ben 9 persone, ma loro erano solo in tre. C'era sempre un gran silenzio a casa Mirren, un silenzio incontestabile che non rinunciava mai ad essere spezzato. Da quando i signori Grace e Robert Mirren, scelsero di abbandonare i figli piccoli, nel modo peggiore in cui un genitore può abbandonare le proprie creature, in quella casa regnava il silenzio più assoluto. Con loro andarono via le risate dei più piccoli, i momenti felici durante le festività natalizie, le grandi feste organizzate ogni stagione dai più invidiati signori di Londra, e infine, la complicità tra fratelli. Quei fratelli ormai diventati dei ricchi signori, conservavano ancora il ricordo delle loro vite piene di felicità, quando ancora tutti e quattro giocavano a nascondino, o quando andavano a caccia col padre, eccetto Bessie, che piangeva alla sola vista di un cervo che veniva catturato e poi macellato dai macellai di famiglia. La piccola Giselle, era stata motivo di grande gioia e festeggiamenti in quella villa, era una creatura così adorabile, e così amata dai fratelli e dai domestici. I suoi compleanni erano i più attesi, la madre organizzava grandi banchetti con altri bambini, venivano invitati anche i figli dell'onorevole e ricordata per sempre Diana Spencer. In particolare Henry, il primogenito della famiglia, era affezionato a quella sorellina come non lo era mai stato, nemmeno con la sorella Bessie.
Certo caro lettore, ovviamente nutriva molto affetto per Bessie, ma con la sorellina Giselle, era tutta un'altra cosa. Quando la piccola venne a mancare a causa di una brutta leucemia, vennero a mancare anche le feste, la gioia dei domestici, le risate dei bambini e ovviamente, cosa peggiore, la lucidità di Grace Mirren.
Il medico di famiglia le aveva da poco diagnosticato una depressione cronica. Inizialmente, si pensò che attraverso medicinali o cure mediche, la salute della signora sarebbe migliorata in qualche modo. Ma così non fu. I segni incolmabili della depressione furono presto evidenti anche sul corpo della donna, aveva iniziato a mutilarsi, a farsi del male tramite ustioni, graffi, e poco altro. Fu ricoverata nell'ospedale psichiatrico più modernizzato del paese, ma non servì praticamente a niente, perché la signora si suicidò pochi giorni dopo. Un coltellino che aveva nascosto sotto la veste, dicevano i medici. Non riuscendo a sopportare il peso di due lutti, Robert, il capofamiglia di casa Mirren, si tolse la vita. Questa volta Barney e altri due domestici lo trovarono senza vita, appeso ad una corda e con il collo rotto, dentro la stalla poco distante dalla villa, sempre appartenente ai Mirren.
Il signore aveva da poco iniziato a sfogare il suo dolore proprio sui figli.
Quello che più subì la pena del padre fu proprio Henry. Portava addosso ancora i segni indelebili del comportamento martirio del padre, che lo aveva colpito, con tutto il suo dolore. L'anima innocente di quelle tre creature, che si toglievano pochi anni ciascuno. Henry, diciotto anni, Bessie ne aveva tredici, e Jacob appena nove, fu macchiata irrevocabilmente dagli avvenimenti terribili che colpirono quella famiglia senza alcuna pietà. Da quel giorno, nessun bambino rideva giocando ad acchiapparella, o si divertiva in giardino, o sorrideva dalla felicità mentre scartava i regali di Natale. Henry non andava più a caccia con suo padre, non portava più le sorelline a fare un giro nella sua mini automobile, non studiava più con la stessa costanza di prima per poter prendere il posto del padre, un giorno. Le anime accese e brillanti di casa Mirren, erano morte insieme a quelle dei genitori. Adesso erano diventati adulti prima del tempo. Margaret e Barney, si impegnarono con tutte le loro forze a crescere al meglio gli orfanelli a cui erano tanto affezionati. Hanno visto nascere ognuno di loro durante i loro anni nell'ex villa dei Windsor, erano come degli zii che si prendevano cura dei nipoti abbandonati. Bessie si era appena seduta a tavola, e si stava servendo da sola. Non volevano essere trattati da nobili, anche perché non lo erano affatto.
<<Buongiorno.>> Henry si sedette di fronte alla sorella. Ella non ricambiò il saluto, ancora un pò stizzita della serata prima. Anche Henry si servì solo, ma non mangiò molto, come era suo solito fare. <<Stai andando in sede?>> chiese con un tono molto pacato mentre si serviva del caffè. <<Sì. Tu stai andando a Scotland Yard?>> disse tenendo lo sguardo basso sul suo caffè, non volendo degnare il fratello nemmeno di uno sguardo.
<<No, oggi devo occuparmi di questioni con la banca, fare dei resoconti degli ultimi acquisti e altre cose inerenti all'impresa.>> non aveva proprio voglia di restare a casa a fare tutte quelle cose, ma era suo dovere.
<<Bene. Ho capito. Vado a vedere com'è la situazione in sede, dobbiamo occuparci di tante cose.>>
<<Fammi sapere se c'è qualche problema.>>
Bessie si alzò senza nemmeno aver finito il suo pasto, e si allontanò senza guardarsi indietro. Il rumore dei suoi insuperabili tacchi a spillo si faceva sempre più lontano.
Margaret le aveva preparato la borsa nel sedile posteriore della sua automobile, guidata da un fedele autista, che ogni giorno si occupava di accompagnarla ovunque lei chiedesse.
Henry finì di consumare la sua colazione prima del previsto, decise di iniziare subito ad occuparsi delle infinite carte che lo attendevano nella scrivania del suo studio, appartenente molti anni prima al padre, che fece arredare al primo piano della villa.
Bessie, era quasi arrivata in sede, e non faceva altro che pensare alle dure parole che il fratello le riservò la sera prima. "Sei una disgraziata", "ti ho permesso di avere un piccolo controllo sugli affari dell'impresa, e ti permetti di parlarmi così?".
La cosa che più di tutti la feriva, non era tanto la poca gentilezza e la poca delicatezza che suo fratello maggiore utilizzò per ferirla, ma il fatto che egli parlasse come se lei facesse il minimo e indispensabile per l'impresa di famiglia. Chiunque avrebbe obiettato alle affermazioni di Henry Mirren, persino Luna, che odiava l'atteggiamento duro di Bessie più di chiunque altro al mondo. Da quando il fratello decise di accettare l'incarico che gli era stato offerto come capo di Scotland Yard, ella decise di mettere anima e cuore a quell'impresa, poichè negli anni aveva visto il fratello impegnarsi duramente negli studi, per diventare un ottimo poliziotto. Ma non lo fece solo per questo, ma perchè Bessie sapeva quanto i suoi bisnonni ebbero lavorato duramente per costruire quell'impero, quanto i suoi nonni l'abbiano migliorato, quanto i suoi genitori l'abbiano reso una vera e propria colonna dell'economia inglese, e di quanto a lei e ai fratelli spettasse renderlo più che un impero: un regno tutto nelle mani dei Mirren. Lei si occupava duramente dell'immagine dell'azienda, partecipava attivamente alle conferenze stampa, alle riunioni, agli eventi importanti, anche quelli di poco conto. Potrebbe essere difficile crederci, ma Bessie si premurava di trattare al meglio i suoi dipendenti, aveva concesso dei turni abbastanza flessibili, delle lunghe e giuste pause di lavoro, una mensa gratuita per i dipendenti, oltre che a tutti i diritti che gli spettavano per legge. Ti starai chiedendo, caro lettore, "ma se Bessie faceva tutte queste cose positive, perché era tanto odiata dai dipendenti?" semplice. Ella agiva senza dare notizia, se faceva qualcosa per i propri impiegati, o per chiunque altro, non lo sbandierava nei social, o in qualche altro ridicolo modo. Non le serviva farsi pubblicità, non le serviva essere venerata da tutti. Lasciava che i giornali lo venissero a sapere, e che fossero loro a comunicare al paese intero la notizia. Chi lavorava per lei di conseguenza, si limitava a giudicare il suo comportamento esteriore, compresa Luna. Bessie era una donna buona e sapeva essere umile, ma allo stesso era una donna potente, temuta o amata che fosse, a lei andavano bene entrambe le cose.
Quella mattina sarei dovuta recarmi molto presto negli uffici dove il Daily Mail, attendeva con icontatezza un nuovo e succulento articolo da stampare. Indossai una gonna lunga in pelle, un maglione a dolce vita, color caffè proprio come la gonna, e degli stivali del medesimo colore, o per lo meno avevano un colore simile. Conclusi il mio look da giornalista nel fiore della sua intrepida carriera con il mio amato cappotto beige oversize. Creai uno chignon un po' scombinato, ma fortunatamente venuto bene, presi il mio piccolo taccuino rosa insieme alla mia penna a gel nera che infilati nella borsa, e uscì di fretta addentando un toast che non avevo avuto il tempo di mangiare. Fortunatamente gli uffici si trovavano a poco più di dieci minuti da casa mia, Luna era già andata via, quindi le risparmiai i miei vani tentativi di sbrigarmi in bagno, in preda alla paura che mi avrebbero licenziato. Per fortuna ritardai di solo cinque minuti e non mi fecero alcun problema, all'inizio. Poi arrivai dal direttore.
<<Feyer, sei in ritardo.>> il direttore dall'aria invecchiata mi rimproverò appena oltrepassai il confine. <<Dovrei licenziarti.>>
<<La prego direttore, mi perdoni, ho avuto un problema per strada.>>
<<Di nuovo? Come ieri, l'altro ieri e ancora l'altro ieri, Feyer?>> quel vecchietto ringhiava come un leone. <<Ha ragione, scusatemi, non accadrà più.>>
<<Sarà meglio. La prossima volta sei licenziata.>> Avevo la brutta mania di arrivare in ritardo agli appuntamenti, ma giuro che non era una cosa che controllavo. Comunque mi sedetti in una delle due sedie dell'ufficio del direttore, attendendo controvoglia che mi desse delle direttive. <<Mi aveva detto al telefono che Josephine è malata, e che avrei dovuto fare quell'intervista al posto suo.>>
<<Sì hai ragione. Mi raccomando, fai un buon lavoro e portami qualcosa di interessante. Non le solite scioccherie.>> come se avessi il tempo di portare cose molto più elaborate, maledizione. <<Allora, cosa devo fare?>>
<<Vai nella villa dei Mirren, abbiamo avuto il permesso del capo di Scotland Yard per avere una sua esclusiva. Comportati bene, non mettere in imbarazzo questo ufficio, voglio quell'intervista entro stasera, vai di corsa.>> Un'intervista. Ad Henry Mirren.
No. Non potevo incontrare quell'uomo.
<<Direttore, non potrebbe occuparsene qualcun altro?>> chiesi anche fin troppo spedita, e a quella richiesta il mio capo, mi rivolse un'occhiata nociva. <<Feyer, se non mi porti qualcosa entro stasera, sei licenziata.>> non alzò la voce, ma in ciò che mi disse percepii una piccola ombra della sua perfidia. Non potetti far niente, così varcai la porta e mi sentì come se mille aghi stessero penetrando la mia pelle. Il destino sembrava giocare dei brutti scherzi, più dovevo stare lontana da qualcosa, o in questo caso qualcuno, più l'universo trovava qualcosa per spingermi con fare barbaro ad agire in un certo modo per ritrovarmi il problema davanti. Maledetta Josephine, quanto meno avevo alcune delle sue domande scritte in un foglio di carta che mi sarebbero state abbastanza d'aiuto. Non sapevo minimamente cosa chiedere a quell'uomo, dato che ritrovarmi faccia a faccia con lui era l'ultima cosa che desideravo. Almeno, fu così solo quel giorno.
Il taxi che ebbi fermato nella strada di Great Portland, mi portò in una mezz'ora scarsa in periferia. Non ebbi nemmeno il bisogno di comunicare il mio indirizzo all'autista, bastò dire "mi porti a villa Mirren" e subito dopo, partì.
Scesa da quel taxi, mi ritrovai dinanzi al maestoso cancello di ferro nero che si inalzava fuori dalla proprietà. Una delle guardie mi si avvicinò chiedendo chi fossi, <<Sono Jane Feyer, giornalista del Daily Mail. Ho un appuntamento con il signor Mirren.>> mi faceva un effetto così strano pronunciare quel nome. La guardia mi scrutò con discrezione, così apri il cancello facendomi in conclusione entrare. Non staccai gli occhi di dosso da quel sontuoso e grande palazzo che si trovava proprio di fronte a me. Camminavo senza nemmeno stare attenta alla strada, cosa che mi causò quasi una scivolata al gradino del piccolo marciapiede che si trovava poco prima della grande porta d'ingresso.
Arrivata lì, mi avvicinai al grande portone nero, e notai che a destra si trovava una specie di campanello classico, con l'aggiunta però di una piccola telecamera che permettesse di vedere chi vi fosse all'esterno. Sbuffando, mi decisi a suonare.
<<Chi è lei?>> rispose qualcuno, una donna, dalla voce attempata. Sembrava essere la voce di una persona abbastanza anziana. <<Sono Jane del Daily Mail, il giornale, ho un appuntamento con il signor Mirren.>> seguirono degli istanti di silenzio, ma la signora non si decise a rispondere. Poco dopo, udii il rumore di una porta che veniva aperta.
Entrai, e sull'altrio mi guardai intorno, lasciando il cancello socchiuso.
Le mie aspettative sugli spazi interni della villa non mi delusero, la villa era molto grande anche dentro. L'interno era molto semplice e raffinato, un arredamento in stile classico, con mobili in legno puro, e le pareti bianco panna decorate in modo fantasioso da sculturine in stucco pregiato. Le tende di seta erano luminose, erano dello stesso colore delle pareti, ornate e abbellite da dei particolari in oro bianco. Le poltrone sembravano essere rivestite anch'esse in seta, e i tappeti contribuivano a rendere quel luogo una piccola reggia di Versailles, ma con molte meno sfarzosità e un gusto molto più all'inglese.
Rimasi ferma al centro di quella grande sala, e attesi. Qualcuno prima o poi, sarebbe venuto a dirmi qualcosa? O ero libera di esplorare quel posto che sembrava la dimora di un principe? <<Siete la signorina del giornale?>> una graziosa donna sulla mezza età venne a darmi il benvenuto. Fu allora che conobbi Margaret. <<Sì, sono io. Il signor Mirren può ricevermi?>>
<<Posso chiedere signorina, voi accomodatevi pure in salotto.>> mi indicò la direzione della stanza. <<Gradisce del tè? o del buon caffè?>>
<<No grazie, non voglio disturbare.>>
<<Non disturba affatto. Posso portarglielo, se volete.>>
<<No grazie, è molto gentile da parte sua.>>
<<Va bene, va bene, non voglio insistere. Vado a chiedere se potete subito andare nello studio del signore.>> I domestici sembravano portare molto rispetto ai padroni di casa.
La signora dalla bassa statura, sparì dopo qualche metro, e il rumore dei suoi passi si fece sempre più lontano. Difficilmente ammisi, quanto fossi a disagio, non ero abituata a quell'ambiente così elegante, e non avevo nemmeno mai fatto un'intervista.
La signora dai piccoli passi tornò, facendomi un cenno. <<<Mi segua, prego.>>
Mi alzai e m'incamminai con la gentile signora, salimmo le bellissime scale che collegavano i due piani, e dopo una breve passeggiata passando davanti ad altre stanze, che erano un pò salotti e un pò sale destinate ad altro, arrivammo davanti l'arguto studio del padrone di casa. Margaret bussò due volte, e dopo aver udito un segnale di approvazione dall'altro lato, <<Avanti>>, potei entrare. E Margaret tornò indietro.
Quegli occhi che sembravano rivestiti da un fulgente strato di ghiaccio, mi stavano esaminando dalla testa ai piedi.
E quando me ne accorsi, mi mancò un battito.
<<Posso aiutarla?>> l'uomo dalle iridi ghiacciate mi rivolse un'ultima occhiata, e dopo tornò a leggere le sue numerose carte.
<<Sono Jane. Lavoro per il Daily Mail, avevo un appuntamento con lei per un'intervista.>> la mia voce uscì a malapena. Quell'uomo, indirettamente, mi incuteva un leggero timore.
<<Non ricevo giornalisti. E' mia sorella che si occupa di queste faccende.>> non staccò un attimo gli occhi da quei fogli bianchi, nemmeno per rispondemi.
<<Beh, sua sorella non c'è, ma c'è lei.>> non so da quale misteriosa parte ignota del mio subconscio uscì quella frase, ma ad oggi posso dire che la dissi in maniera spontanea.
Fu a quel punto che l'uomo che più di tutti temevo di incontrare, mi offrì uno dei suoi sguardi folgoranti. <<Come dite?>> indirettamente mi diede del voi, com'era solito fare tra uomini e donne del suo rango. <<Scusate, se disturbo, tornerò quando vostra sorella sarà in casa. Arrivederci.>>
<<No, fermatevi.>> il suo tono autoritario suscitò in me del leggero, e inspiegabile, imbarazzo. <<Avete fatto tanta strada per venire qua. Prego.>> con un cenno mi invitò ad accomodarmi su una delle due poltrone di velluto. E io accettai, senza obiezione. Henry Mirren ti metteva nella scomoda posizione di non poter obiettare, perché ciò che ti chiedeva, diventava un involontario invito ad eseguire il suo ordine.
<<Come avete detto di chiamarvi?>> il padrone di casa abbandonò la sua poltrona, e fece il giro della scrivania, restando poi immobile proprio davanti a me, appoggiando i palmi della mano sulla superficie legnosa della sua postazione di lavoro.
<<Jane, signore.>>
<<Jane.>> seguì un silenzio imbarazzante, almeno per la sottoscritta. <<Non vi ho mai vista a Londra. Siete straniera?>>
<<Sì, sono tedesca, di Berlino.>>
<<E come mai lavorate per uno squallido giornale quotidiano? intendo, qui a Londra.>>
La figura alta e vigorosa del signor Mirren, mi intimidiva. I suoi occhi dalle sfumature cristalline, lasciavano una tale impronta nella memoria di chi li aveva guardati, irremovibile.
Era vestito come un vero signore, ma con una leggera aria da ragazzo ribelle.
La camicia bianca, esaltava accuratamente ogni curva della sua atletica corporatura, dando anche una non spiacevole veduta del suo torace. Il signore si era dimenticato di riaffibbiare i primi tre bottoni della camicia.
<<Perché a Berlino non ho trovato opportunità che mi allettassero, così ho cercato altrove. E ora eccomi qua.>> puntai lo sguardo sugli occhi del signor Mirren, che mi indagavano con tenue e nascosta maestria.
<<E' strano che non abbiate trovato niente che vi piacesse. Siete lontana, da casa.>>
<<La cosa non mi pesa, signore.>>
<<Dovrebbe. Passerete da sola le feste.>>
<<Non sono da sola. Ho un'amica.>>
<<Bene. Se la cosa non vi dispiace, allora, buon per voi.>>
Gli angoli della sua marcata mascella si fecero subito rigidi, e le sue sopracciglia scure si aggrottarono, in attesa di una mia risposta.
<<Ho delle domande da porvi, se non vi dispiace.>> avevo imparato la lezione in fretta. Mai, e poi mai, dare del lei ad un signore come Henry Mirren, mai.
<<Volete intervistarmi, signorina?>>
<<L'idea sarebbe questa, signore.>>
<<Come mai me, e non mia sorella?>> cosa cavolo ne potevo sapere io, che ero finita lì per puro caso. <<Non lo so signore. Al posto mio, sarebbe dovuta venire una mia collega.>>
<<Va bene, solo perché siete voi, questa volta ve lo concedo.>> "Solo perché siete voi", cosa voleva significare questa frase? <<Ma vi avverto, non rilascio mai interviste. E' mia sorella che si occupa di faccende del genere.>>
<<Perché, signore?>> un'altra domanda che uscì spontanea senza che io me ne accorgessi, cosa che visibilmente gli diede difficoltà nel rispondere.
<<Cosa?>>
<<Scusatemi. Volevo dire, intendevo chiedervi, come mai non rilasciate alcuna intervista.>>
<<Sono molto riservato. Non mi piace parlare della mia vita privata. Tutto qua.>>
<<Capisco. Motivo giusto.>>
<<Molto.>> seguì un momento di un silenzio smorzato, e il signore mi osservava afferrare il mio taccuino. <<Quando vuole, possiamo cominciare.>>
<<Sì, signore. Se solo trovassi la mia penna.>> non so come descriverlo, caro lettore, ma stavo disperatamente cercando la mia penna nera a gel.
<<Usate una di queste. Prego.>> girò il capo e sottrasse una matita inutilizzata dal suo portapenne personale, e me la porse.
Nel tentativo di prenderla, sfiorai le sue dita.
<<Grazie.>> dissi a bassa voce, mentre leggevo le domande che quella Josephine aveva in serbo per lui.
<<Allora. A proposito dell'inaugurazione della nuova clinica ospedaliera che si terrà a breve, perché parteciperete?>>
<<Perché voglio che i cittadini, sappiano quanto me e la mia famiglia, teniamo molto all'importanza della pubblica sanità. Pensiamo che non debba esserci un solo cittadino e non a Londra, che non abbia accesso alle cure sanitarie necessarie per la propria incolumità.>> scelse le parole da dire con accurata calma e quiete, e quel tono di voce così profondo che si rendeva più evidente nelle note più interne delle parole che esso selezionava, lo rendeva così attraente.
Nel mentre mi impegnai a scrivere tutto, parola dopo parola.
Proseguii con la seconda domanda.
<<La vostra è una famiglia unita, signor Mirren?>> lo guardai.
<<Molto. Siamo sempre uniti, lo siamo fin da bambini. In questa a casa, il valore della famiglia è il più importante.>>
<<Cosa mi dite di vostro fratello minore, il signor Jacob Mirren?>> gli porsi le prime domande che mi capitavano all'occhio, e fu un errore.
<<Cosa volete dire?>> da lì il suo sguardo si fece più sospetto.
<<Suo fratello è molto diverso da voi e vostra sorella. E' utile nella gestione dell'impresa?>>
<<Mio fratello è ancora un ragazzino, come tutti i ragazzi della generazione che mi segue, non riesce a staccarsi dalla continua voglia di divertirsi. Pensa solo a godere di ciò che rimane della sua adolescenza, ma presto potrete vederlo a lavorare come il resto della famiglia.>>
Io riportavo nel mio taccuino ciò che diceva, ma se avessi potuto, gli avrei riso in faccia per quelle squallide giustificazioni per conto del fratello.
<<Come descriverebbe i suoi attuali rapporti con la nota designer di moda Ivette Dubois?>> Ivette Dubois? Chi era questa donna? Sembrava una donna di una certa rilevanza, anzi, lo era, per averle addirittura dedicato una domanda nella sua intervista.
A quella domanda il padrone di casa iniziò ad innervosirsi, ma non volle subito esternare ciò che provava. <<Io e Ivette siamo rimasti in semplici e amichevoli rapporti. Tra di noi c'è puro rispetto reciproco.>>
<<Perché, la scorsa estate, avete deciso di mettere un punto al vostro matrimonio?>> Matrimonio? Quindi quell'uomo era sposato?
<<Niente che dovrebbe essere di dominio pubblico, signorina Jane.>> il suo tono si fece assai severo. <<Cosa sono queste domande?>> il suo rimproverò mi arrivò contro come una raffica di aria fredda in un gelido inverno.
<<Queste domande non le ho scritte io, signore.>>
<<Cos'è un tentativo di giustificarsi. questo?>> i suoi occhi riversavano una nota di fastidio contro i miei. <<Non ha letto le domande prima di venire qui?>>
<<No, signore.>>
<<Avete fatto male. Si vede che siete inesperta.>>
<<Cosa vi ha turbato?>> lo guardai con aria interrogativa.
<<E vi prendete pure la cortesia di chiedermelo?>> mi guardò come se fossi una bambina che non capiva quanto fosse critica la situazione. <<State scherzando, voglio credere. Ma da quello che leggo dai vostri occhi, non è così.>> ritornò a sedersi nella sua solita poltrona.
<<Potete andare.>> disse con un cenno abbastanza irritante, come dire "levati dai piedi."
Così feci. Mi alzai e mi diressi verso l'uscita, ma non riuscii a contenere il mio evidente fastidio. <<Se qualcosa vi ha turbato, o vi ha messo a disagio, ditemelo.>> l'ultima parola la scandii con inequivocabile fastidio. Henry Mirren mi rivolse nuovamente un'occhiata.
<<Siete stata avventata, dovreste pensare di cambiare strada. Non siete brava, nel giornalismo.>>
<<E perchè non lo sarei signore?>> mi avvicinai alla sua scrivania con un coraggio che venne fuori prima che me ne rendessi conto. <<Siete un poliziotto, o mi sbaglio?>> i miei occhi non si spostarono nemmeno un mezzo millimetro dalla sua possente figura, <<Siete un giornalista? Avete le competenze adeguate per poter giudicare il mio lavoro? Rispondete.>> alzai leggermente il tono della voce, cosa che non fece molto piacere al maggiore dei Mirren. <<Non serve avere delle competenze a proposito, signorina. Semplicemente, mi rifiuto di dare corda alle domande di una ragazzina che scambia il suo lavoro per una sessione di salotto e gossip con le amiche.>> Io? Una ragazzina che non svolge bene il suo lavoro? Quell'uomo aveva varcato il limite.
Lo guardai con un'espressione giocosa, che aveva come unico scopo quello di recargli irritazione.
<<Signor Mirren. Mi auguro di non avere più occasione di vederla.>>
Aprii la porta.
Chiusi la porta.
E camminai lontano, fino al di fuori della villa, lasciandomi alle spalle Margaret che mi richiamava <<Signorina! signorina!>> ma era come se il udito fosse offuscato dall'ira e dal leggero fastidio che il signore di quella villa, mi aveva provocato.
Non l'avrei più rivisto.
Non sarei più entrata in quella casa.
Non avrei più visto, lo sguardo metallico di Henry Mirren.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 2 days ago ⏰

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