18. NUDO COME UN VERME

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Una leggera brezza estiva accarezzava l'aria, mentre Frank spingeva con attenzione la carrozzina lungo il marciapiede. Attraversammo con passo lento il viale alberato che conduceva all'uscita principale dell'ospedale.

Il pomeriggio era un dipinto di serenità con il cielo tinto di un azzurro rassicurante.

Ethan stanco, ma con sguardo vigile, finalmente veniva dimesso dopo una settimana di ricovero e analisi infruttuose. Nel referto di dimissione, i medici avevano attribuito la sua condizione a uno shock emotivo, senza riscontrare anomalie fisiche rilevanti. Voci di corridoio sussurravano fosse caduto vittima di uno scherzo crudele tra amici, che era poi sfuggito di mano.

Quando lo andammo a prendere per riportarlo al Motel, il nostro passaggio tra le stanze dell'ospedale e nel viale esterno fu costantemente accompagnato dagli sguardi carichi di disprezzo di medici e infermieri. Cercai di ignorare quelle occhiate malevoli, così come fecero i miei compagni di sventura.

Il suono regolare delle ruote della carrozzina si mescolava al tenue cinguettio degli uccelli. Quando Frank si fermò vicino al pick-up parcheggiato, la sedia a rotelle fu posizionata con cura di fianco al veicolo. Con delicatezza aiutammo Ethan ad alzarsi e un senso di comune liberazione pervase l'aria, stavamo tornando alla normalità, o almeno a una parvenza di essa. Louise abbinò quella sensazione al tintinnio delle chiavi dell'auto che aveva estratto dalla borsetta.

C'era una convinzione silenziosa tra noi che la cosa migliore fosse rispedire Ethan in Alaska. Non potevamo continuare questa spedizione con lui, non dopo ciò che era accaduto.

Ma cos'è successo?

La domanda rimbalzava nelle mie tempie, simile a una pallina sfrenata nel flipper tra i pensieri, braccata da un'infinità di dubbi, ognuno di quali privo di risposta.

Non lo sapevo. Non lo sapeva nessuno, a parte Ethan che si era chiuso in un ostinato mutismo da allora.

Era cambiato molto in quei pochi giorni. Silenzioso e sfuggente, ogni volta che ero andata a fargli visita in ospedale mi aveva evitato con cura. Non ero mai riuscita a rimanere un attimo da sola con lui per poter affrontare in modo serio ed esaustivo l'argomento.

Adesso non mi potrai sfuggire, pensai accompagnandolo alla sua camera del Motel.

«Se vuoi, ti aiuto a fare la valigia» gli proposi.

«Perché dovrei farla?»

«Ho comprato il biglietto per il volo. Torni nella tua amata Alaska, contento? Avrai molte cose da fare, visti i preparativi per il matrimonio di tuo padre».

«Chi l'ha deciso?»

«Ethan... »

«Tu. Decidi sempre tutto tu, giusto?»

«Hai avuto un'esperienza traumatica. Forse, per te è meglio che... »

«So io cosa è meglio per me. Sono un uomo, non un bambino» sbuffò infastidito.

Lo fissai, mentre si sdraiava sul letto e mi sedetti accanto a lui sul bordo, abbastanza vicina da percepire il calore che il suo corpo emanava. Appoggiai una mano sulla sua, coprendola solo in parte.

«Non sono moribondo, Emma. E neanche disabile».

«Frena, ti voglio solo parlare» gli intimai.

«Vai, ti ascolto. Tanto anche se non volessi farlo, tu parleresti lo stesso».

Sorrisi consapevole che aveva ragione.

«Mi piace pensare che... » iniziai il discorsetto che mi ero preparata dalla mattina.

HANSEL E STREGHEL SUGLI APPALACHIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora