3. Disciplina

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«Vieni a sederti accanto a noi Kovu!» l'allegra voce di Ural irruppe sul vociare assordante del refettorio.

La cena era per i soldati l'unico pasto sostanzioso della giornata.

La sala mensa, posta al piano terra della caserma, rispecchiava lo stile austero dell'intera costruzione militare. Spaziosa e dalle bianche pareti ospitava delle lunghe tavolate in legno d'acero e sul lato destro un sudicio bancone, su cui i servitori dell'Esercito avevano predisposto per gli affamati miliziani, grandi pentoloni di minestra zuccherata, e numerose bottiglie di acerbo salis.

Kovu non amava condividere i pasti in compagnia, sapeva tuttavia che ignorare il gentile invito e mostrare un atteggiamento eccessivamente ostile, lo avrebbe reso sospetto agli occhi degli altri ragazzi.

Così, preparato il magro vassoio si accomodò sulla panca accanto alle altre reclute.

Nei campi di addestramento centrali persino durante i pasti, era richiesto ai soldati di mantenere decoro e decenza, Kovu fu quindi sorpreso nel notare come nella sala molti avessero tolto le casacche delle prestigiose uniformi, o tirato i lunghi capelli in alti codini. Pensò che l'atmosfera, diversamente che ad Handinburg, fosse serena.

«I filonordisti non possono essere più armati di noi...» Ural era coinvolto in un'accesa conversazione con uno dei ragazzi di un altro squadrone di pattuglia, «I carichi militari vengono inventariati ancora prima che le navi attracchino nel porto! Come potrebbero arrivare clandestinamente ai ribelli del Sud?», mostrava una fiducia illimitata nei confronti dell'Esercito.

«È probabile che nel porto abbiano informatori, o infiltrati...» l'altro fece spallucce.

«Metti in dubbio la fedeltà dei soldati al DAM?» Ural si accigliò.

«Sto solo dicendo che con tutte le notizie sulla guerra che ci vengono riportate, non mi stupirei se qualcuno si facesse corrompere o cedesse alle minacce...» fece una breve pausa, poi proseguì provocatorio, «per quanto ne sappiamo anche tu potresti essere una spia filonordista!»

Il volto di Ural divenne paonazzo e la sua espressione provocò una risata contagiosa in tutti i commensali.

Kovu, indifferente a quella conversazione prese a mangiare.

Poi, l'interlocutore che fino a poco fa scherniva l'amico, si voltò nella sua direzione «Tu dall'Ombra!» la voce squillante rituonò nell'intera sala, «Forse tu sei l'informatore segreto dei ribelli...» Kovu non rispose, e l'altro più incalzante proseguì, «Te ne stai sempre solo...hai l'aria di chi ha qualcosa da nascondere...» il tono di voce non risuonava divertito come pochi minuti prima nel dialogo con Ural. Era evidente che il ragazzo volesse maliziosamente provocare Kovu nell'attesa di una sua reazione, che tuttavia non arrivò.

Con il capo chino sulla sua pietanza continuava ad ignorare il giovane.

«In fondo provieni dall'Ombra. Tuo padre sarà stato sicuramente un traditore filonordista... o peggio, un sostenitore della Democraticità.»

Gli altri ragazzi trattennero il sospiro.

Kovu a quel punto alzò la testa di scatto e, con lo sguardo feroce negli occhi, ribaltò l'intera tavolata in direzione dell'altro che venne trattenuto dai compagni di ronda.

Nella bianca sala iniziò a diffondersi un assordante vociare.

Passarono pochi istanti e due miliziani graduati presero Kovu, ancora furente, per le braccia e lo trascinarono violentemente fuori la mensa.

Venne strattonato e condotto verso gli uffici del Generale Phetyrson.

Il più alto dei due accompagnatori bussò alla porta della stanza.
Poi la voce del Generale diede loro il consenso ad entrare.

«Problemi in refettorio Signore.» annunciò il caporale portandosi una mano alla testa in segno di rispetto.

Kilian con gli occhiali sul naso leggermente aquilino, impegnato a leggere delle carte giallastre, rimase comodamente seduto dietro il suo largo scrittoio. Dopo pochi istanti alzò leggermente lo sguardo accigliato in direzione di Kovu e non proferì parola.

Il soldato, spintonando il corpo del giovane in avanti continuò, «Ha provocato una rissa.»

Phetyrson si solllevò dai fogli che reggeva tra le mani e si appoggiò allo schienale della poltrona broccata su cui sedeva.

«Miler, dell'Ombra, giusto?»

Kovu era stanco di come gli altri incessantemente gli ricordassero l'infimo luogo della sua provenienza.

«Si, Signore. Sono io.» rispose con voce ferma.

«Gnerale...» precisò Phetyrson incastonando i suoi occhi in quelli del ragazzo. Cercava segni di paura o riverenza ma non ne trovò traccia alcuna.
Si alzó e inizió a girare intorno la slanciata figura del giovane.

«Generale.» ripeté atono Kovu.

«La pena per chi disturba la quiete della caserma è il palo...» Kovu trasalì e Phetyrson proseguì, «Credevo che voi dell'Ombra foste più furbi...mi hanno parlato molto di te Miler.» continuava a girare intorno al giovane soldato, «Dagli uffici centrali mi è stato riferito che sei un ottimo elemento nel combattimento, e che hai doti innate anche in fatto di strategie d'azione.» la voce del comandante velava una leggera intenzione ironica, «Ma nessuno aveva mai accennato alla tua mancanza di disciplina.» il Generale si posizionò di fronte a Kovu, e con voce fredda, rivolto alle due guardie, sentenziò «Che gli vengano inferti dodici colpi di frusta.»

Indugiò con lo sguardo sul volto del ragazzo e quando, soddisfatto, notò un accenno di tremore, voltandosi tornò alla sua comoda seduta.

I miliziani di scorta trascinarono Kovu fuori dalla stanza del Generale e a strattoni lo condussero nello spiazzale centrale.

Fecero inginocchiare il ragazzo e legarono le possenti braccia al tronco dell'alta impalcatura.

Nel frattempo, dalle finestre aperte dei dormitori decine di soldati si affacciarono in attesa dello spietato spettacolo. Il silenzio rituonava assordante nello spazio aperto, in lontananza si udivano solo i rumori della selvaggia natura.

Dai polsi di Kovu, stretti in grosse corde marinare, iniziava a grondare sangue denso.

Passarono pochi istanti e il soldato più alto si avvicinò al giovane uomo carponi e gli strappò la camicia sulla schiena, poi, lentamente, la prima frustata.

Kovu trasalì. Il fiato gli si bloccò nei polmoni, tuttavia non emise un suono. Seguirono il secondo, il terzo e poi il quarto colpo di frusta. Ancora nessun rumore dalla bocca del giovane. Tuttavia, dagli angoli dei suoi occhi verdi scesero due lacrime a rigargli il volto.

Molti dei soldati, alla vista della schiena dilaniata del povero compagno decisero di rientrare nelle loro stanze. Il silenzio venne nuovamente interrotto dal rumore di altri quattro violenti colpi. Il grigio pavimento dello spiazzale era oramai intriso di sangue scarlatto.

Nessun grido. Nessun lamento.

Altre tre frustate.

La mandibola serrata storpiava il viso del giovane dausiano e le lacrime silenziose si mescolavano al caldo sudore.

«Urla Soldato! Urla!» il boia era stupito, mai aveva incontrato un giovane dall'animo così fermo. Era deciso a strappargli anche l'ultimo respiro dal corpo, così, con quanta più forza riuscisse a trovare nelle braccia, infierì su quel corpo tramortito con l'ultimo fatale colpo.

Kovu svenne.

Non urlò.

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