Capitolo 20 - Un'amicizia speciale

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Sono vivo, sono a casa mia.

Lorenzo aprì gli occhi, fece uno sbadiglio e se li stropicciò. Si rannicchiò girato verso la porta avvolto nel lenzuolo. D'un tratto, avvertì un suono roco che non conosceva, provenire ritmicamente dalla sua camera. Si voltò, lato finestra. Fece una smorfia, roteò gli occhi verso l'alto: aveva individuato la fonte del rumore.

Seduto, con la faccia spiaccicata contro il braccio destro posato sulla scrivania, braccio sinistro a penzoloni, bocca semiaperta, sonnecchiava Andrea.

Che idiota.

Lori cercò a tastoni, tra i pupazzi che circondavano il suo letto, quello con la parte più dura. Ne scelse uno con un bel musetto di plastica rigida e lo lanciò addosso al fidanzato con tutta la forza che aveva in corpo.

Andrea si svegliò di colpo, viso stravolto.

«Ahi! Perché?», guardò l'amico che rideva.

«Perché te lo meriti.»

«Ah, comunque buongiorno, eh», borbottò, deluso.

«Sei un coglione. Non hai ancora capito che questo è anche il tuo letto? Qui, devi stare», picchiettò con la mano destra lo spazio accanto a lui, «non hai bisogno di chiedere il permesso, il lato finestra è il tuo. Dài, vieni vicino a me.» Lori sorrise, accogliente. Andre si sfilò le scarpe e, impacciato, si sedette sul letto.

«Giù!» Con una spinta del braccio destro teso, lo costrinse a mettersi supino, poi uscì da sotto le coperte e si stese a fianco.

«Hai... il pigiama di Doraemon?» Andrea sgranò gli occhi e storse le labbra.

«Si, carino vero? Ha pure il cappuccio», lo infilò e apparve il faccione del gatto robotico. «Questa è la versione estiva, ho anche quella invernale di pile. Una faticaccia trovarli della mia misura!»

«Non stento a crederlo e immagino benissimo il motivo», commentò asciutto il ragazzo più grande. Il piccolo, tutto sorridente, si girò verso l'amico. «Guarda, ho anche il gattopone!» Socchiuse gli occhi, le labbra si strinsero in un sorriso malvagio. «Adesso tiro fuori un chiusky che ti faccia venire la voglia di fringuello.»

Andrea si sforzò di non ridere. «Sei tremendo! Piuttosto, come ti aiuto? Devi andare in bagno?»

Lori si rabbuiò. «Se mi metti sulla sedia poi mi arrangio, le porte sono tutte aperte, vero?» vide il giovane annuire. «Intanto tu potresti fare il caffè, dopo vengo in cucina.»

«Tua madre mi ha detto: solo caffè d'orzo.»

Lorenzo roteò gli occhi. «Scommetto che ti ha anche detto di riempirmi di zucchero il caffelatte.»

Andre spalancò gli occhi e arrossì, scuotendo la testa a destra e sinistra.

«Non sei bravo a mentire. Guai a te se aggiungi anche solo una micromolecola di quella merda in qualsiasi cosa che devo mangiare!», lo minacciò.

Il giovane sospirò. «Va bene, va bene!»

«Su, smetti di blaterare e aiutami!»

«Ecco, aggrappati a me.» Sentì le braccia dell'amico cingerlo, sorrise. Lori notò il cambio di espressione e si rasserenò. Si sentì appoggiare, le sue labbra si arricciarono in un broncetto. «Faccio da solo ora.» e si mosse verso il bagno. Andrea lo osservò, poi entrò in cucina. Pensili pastello, fornelli pastello, tavolo pastello. Sul piano di lavoro, pastello, la signora Lina aveva lasciato una moka, pastello, e tazze di varie dimensioni, pastello. Fu invaso da un senso di nausea. Vicino alla moka pastello c'era un barattolo con la forma di Pekkle, pastello. Esitante, lo aprì. Dentro, caffè d'orzo, color caffè d'orzo. Sospirò, sollevato.

Qualcosa di normale, finalmente.

Si accinse a preparare la bevanda, aprì la moka pastello e sgranò gli occhi, era perfettamente pulita. Aprí un cassetto pastello, ebbe fortuna, trovò subito le posate, pastello. Prese un cucchiaino pastello e iniziò a mettere polvere d'orzo nel filtro ad imbuto, spargendone in abbondanza sul piano di lavoro, pastello. O cazzo, l'acqua! Sbuffò, si morse la lingua. Con le unghie cercò di sollevare il filtro ad imbuto, spargendo altra polvere. Ma porc... Con la mano destra cercava di tener in posizione verticale l'aggeggio, con l'altra mano aprì il rubinetto pastello. Uscì l'acqua, infilò sotto il getto la base della moka. Mentre stava attento a riempirla fino a metà valvola, ruotò inavvertitamente il polso destro.

«Cazzo!» la polvere cadde sul pavimento, la base della moka traboccò d'acqua.

«Ma cos'è questo macello?» Lorenzo era tornato. «Ma sei in grado di fare il caffè? Vedi di sistemare tutto prima che torni mamma, le si spezzerebbe il cuore a vedere questo casino!»

«Scusa.»

«Amo, ma che ti succede?»

«Niente.»

Aggiustò il livello dell'acqua e sistemò la polvere nel filtro.

Lori lo scrutò. «Sei più impedito del solito, qualcosa hai fatto!»

«I colori pastello mi fanno sclerare» disse, chiudendo la moka pastello, appoggiandola sul fornello pastello e accendendo il fuoco.

«Cazzata. Dài siediti vicino a me.»

Il ragazzo più grande ubbidì, il piccolo ne approfittò per scivolargli in braccio.

«È colpa mia se sei impedito» Lorenzo era triste. «Mi vedi debole in carrozzina e ti senti a disagio perché ti faccio pena.»

Andrea lo guardò e gli regalò uno dei suoi più calorosi sorrisi. «No. Non mi fai pena. Al massimo paura.» Gli accarezzò una guancia.

Lori ridacchiò. «Paura? Sei un cagasotto!» Appoggiò la testa alla spalla di Andre. «Ma tu, mi vuoi un po' bene?»

Il ragazzo più grande lo abbracciò stretto. «Certo!» Pausa. «Come amico.»

«Come Robi?»

«No.»

«Come Matte?»

«No.»

Lori allargò le gambe e si piazzò a cavalcioni. Guardò Andre negli occhi, serio. «Se non sono un semplice amico e nemmeno un migliore amico, cosa sono io per te?»

Il giovane distolse lo sguardo, le guance arrossirono. «Sei... sei il mio amico speciale.»

Il ragazzino sorrise. «E che significa?»

«Beh, vedi», sussurrò continuando ad evitare il contatto oculare, «un amico, nemmeno fosse il mio migliore amico, non lo terrei sulle ginocchia come sto facendo con te.»

Lorenzo gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo; gli premette il bacino contro la pancia per fargli sentire la sua erezione. «E cos'altro fai con il tuo amico speciale che non fai con gli altri amici?»

«Beh...», gli passò una mano tra i capelli, gli avvicinò la testa alla sua bocca, «questo...» Iniziò a mordicchiargli il lobo dell'orecchio, per poi percorrere il bordo con la lingua.

Lori chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito. Il ragazzo più grande prese ad esplorare il padiglione auricolare con la lingua, poi d'improvviso, un morso. Altro gemito. «Ti piace essere il mio amico speciale?»

Occhi socchiusi, guance arrossate, respiro corto. «Si», sospiro, «sì», sospiro. «Ne voglio ancora.» Con un gesto brusco, Andrea gli piegò la testa di lato e gli piantò i denti tra il collo e la spalla. Altro gemito. Gli accarezzò la pelle con la lingua mentre lo baciava. «T-ti prego, ti prego... fammi... fammi tuo», sospirò.

Il giovane si irrigidì, come se si fosse risvegliato da un incantesimo. Spostò, senza tante cerimonie, l'amico su una sedia e balzò in piedi.

«Il-il caffè. È salito il caffè.»

Lorenzo non disse nulla, piegò il capo sul petto, sconsolato.

Sarai il mio ragazzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora