Era una domenica importante, il 20 ottobre, e per il mio compleanno mia mamma aveva organizzato una cena. Avremmo dovuto essere solo io e lei, invece mi fece una sorpresa e alla tavola, oltre a mia madre, c'erano anche il mio ex visto che sa che siamo rimasti amici, sua madre e il compagno di lei. Una situazione forse strana, insolita, come se stessi cercando di chiudere dei capitoli del passato che, in un modo o nell'altro, non si erano mai davvero conclusi. Seduta lì, mi sforzavo di essere presente e di sembrare serena, ma dentro di me sapevo che il pensiero era fisso su Simon. Anche se non era lì fisicamente, era come se la sua presenza fosse costante, come un filo invisibile che non mi lasciava mai. Controllavo il telefono continuamente, aspettando un suo messaggio, un gesto, qualsiasi cosa che mi facesse sentire che, in qualche modo, lui c'era.Era come un richiamo, una spinta interiore che mi diceva che lì, in quella stanza, non ci volevo stare. E più passavano le ore, più avvertivo un senso di disagio, di inquietudine, come se ci fosse qualcosa di irrisolto che stava crescendo dentro di me. Quando la serata finalmente si concluse, tornai a casa con un senso di vuoto difficile da spiegare. Mi sentivo stranamente agitata, incapace di trovare pace. Provai a mettermi a letto, a chiudere gli occhi, a lasciarmi andare al sonno, ma qualcosa dentro di me non voleva saperne di calmarsi. Era una sensazione inspiegabile, una tensione che mi consumava dall'interno.
A peggiorare la situazione, iniziò anche quel fastidioso prurito al polso, una reazione allergica che sembrava volermi punire per qualcosa di cui nemmeno conoscevo la causa. Più cercavo di ignorarlo, più diventava insopportabile, come se il mio stesso corpo volesse dirmi che qualcosa non andava. Il tempo passava inesorabile, e più passavano le ore, più mi sentivo intrappolata in un vortice di confusione e tensione. Arrivai a mezzanotte, poi all'una, alle due... ormai erano le tre del mattino, e io ero ancora sveglia, prigioniera dei miei pensieri e delle mie insicurezze.
In quel momento di fragilità, di stanchezza estrema, commisi un errore che, se solo avessi saputo cosa avrebbe portato, non avrei mai fatto. Mi ritrovai coinvolta in una conversazione con un amico, una chat che non avrebbe mai dovuto avere luogo: un role play.
In quel momento, era come se tutto fosse offuscato, come se quella fosse l'unica via d'uscita per placare l'inquietudine che provavo. La mattina successiva, però, il senso di colpa mi colpì come un pugno nello stomaco. Non riuscivo a respirare, sentivo che tutto ciò che avevo costruito con Simon era andato in pezzi per colpa mia.La mia mente era un caos, e l'unico modo per trovare sollievo era dirgli la verità. Glielo dissi in chiamata. Poi una volta conclusa, gli mandai mille messaggi. Gli dissi che mi sentivo colpevole, che non riuscivo a vivere con quel peso, che avevo fatto un errore di cui già mi pentivo profondamente. Ogni parola era un grido di disperazione, un tentativo di fargli capire quanto mi dispiacesse davvero.
Mi devastò vedere la sua reazione al momento della confessione: nel giro di un attimo, il suo volto, fino a cinque minuti prima pieno di luce e con quella sua espressione buffa mentre mi faceva la linguaccia, si spense di colpo. Vidi il suo sguardo, prima così vivace, oscurarsi. Era come se il mondo gli fosse crollato addosso, e nel vederlo soffrire, sentii anche il mio cuore frantumarsi. Sapere che tutto quel dolore l'avevo causato proprio io mi distruggeva; io, che avrei dato qualsiasi cosa per proteggerlo, mi ritrovai ad essere proprio quella che lo feriva.
Nell'attesa della sua risposta, ogni secondo sembrava un'eternità. Cercai conforto nei miei amici, raccontando loro tutto, sperando che potessero alleviare almeno in parte il dolore che sentivo. Ma nessuna parola poteva realmente consolarmi; sapevo che l'unica persona che avesse davvero il potere di farmi sentire meglio era Simon. Finalmente, arrivò la sua risposta, ma ogni sua parola era come una lama che affondava nel mio cuore.
Mi disse che comprendeva il mio pentimento, ma che il dolore che gli avevo causato era troppo profondo. "Le azioni hanno conseguenze," mi scrisse, "e purtroppo hai perso me come ragazzo per il momento." Quelle parole erano come un colpo mortale. Sentivo di aver distrutto qualcosa di prezioso, qualcosa che non avrei mai potuto ricostruire. Continuavo a scrivergli, a chiedergli scusa, a dirgli quanto lo amavo, ma sapevo che ogni mio tentativo poteva essere vano.
Il giorno seguente, a scuola, ero come un fantasma. La lezione di italiano passava senza che io fossi realmente presente. Quando arrivò la ricreazione, presi il telefono e lessi i messaggi di Simon. Ogni frase era un nuovo colpo al cuore; sentivo un dolore talmente forte che decisi di saltare ginnastica, incapace di affrontare qualsiasi altra cosa. Mi isolai, rimanendo in silenzio, cercando di fare i conti con il mio errore, ma la sofferenza sembrava solo crescere.
Alla fine, decisi di prendere una decisione drastica: andarlo a trovare di persona. Chiesi ai miei genitori il permesso, inventando una scusa, e comprai il biglietto del treno. Speravo che, vedendolo, potessi fargli capire quanto fossi sinceramente pentita, quanto fossi disposta a fare per lui. In quei giorni, continuavo a inondarlo di messaggi, poesie, dichiarazioni d'amore. Cercavo in tutti i modi di mostrargli quanto lo amassi davvero, quanto desiderassi una seconda possibilità per dimostrargli che ero cambiata.
Lui, nel frattempo, mi rispondeva che aveva bisogno di tempo per perdonarmi. Mi scriveva che dovevo mostrargli di poter essere un'amica sincera, che la fiducia doveva essere ricostruita passo dopo passo. La sua voce, durante le nostre chiamate, era l'unico conforto che riuscivo a trovare. Ogni notte, andavo a dormire con la speranza che, un giorno, lui potesse tornare a fidarsi di me.
Martedì 29 ottobre, decisi di fare qualcosa di speciale per dimostrargli i miei sentimenti. Creai un quaderno, intitolato "Mille modi per dirti ti amo, anzi 64 pagine". Ogni pagina era una dedica, un ricordo, un gesto d'amore che volevo condividere con lui. Volevo che quel quaderno fosse un simbolo del mio amore, una prova tangibile di quanto ci tenessi a lui e di quanto fossi disposta a fare per riconquistarlo. Decisi di darglielo quando ci saremmo rivisti, sperando che potesse toccargli il cuore.
Iniziammo a parlare di cosa avremmo fatto quel giorno: lui mi disse che voleva addormentarsi tra le mie braccia, che desiderava che io gli facessi i grattini mentre si rilassava. Ogni suo messaggio mi riempiva di speranza, ogni parola era come una luce che mi illuminava il cuore. Non sapevo quanto tempo ci sarebbe voluto per ricostruire tutto, ma sapevo che ero pronta a fare qualsiasi cosa. Simon era tutto per me, e non avrei permesso a un errore di distruggere tutto ciò che avevamo costruito insieme.
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COME MI HAI CAMBIATO LA VITA
RomanceIn un mondo in cui le connessioni sembrano sempre più fugaci, questa è la storia di un amore che riesce a radicarsi anche tra le distanze, i dubbi e le paure. "Come mi hai cambiato la vita" è un viaggio intimo e autentico che segue l'autrice dall'in...