VII. I PEZZI TORNANO AL LORO POSTO

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Era la sera del 4 novembre, un martedì. Come sempre, il mio cuore batteva ogni volta che leggevo il nome di Simon sullo schermo del mio telefono. Anche se la distanza ci separava fisicamente, ogni messaggio, ogni parola scambiata con lui riusciva a ridurre quella distanza. Era una sensazione che ormai sentivo ogni giorno, un legame che si stava facendo sempre più forte. Anche quando non eravamo fisicamente vicini, il pensiero di lui mi accompagnava in ogni momento della giornata.

Quella sera, come tante altre, iniziammo a parlare di cose casuali. Mi raccontò di una sua passione per il cappotto in stile steampunk, un accessorio che trovava affascinante, e cominciò a descrivermi come avrebbe voluto averne uno. Il suo entusiasmo era evidente anche se non si trattava di un argomento così profondo. Mi piaceva sentirlo parlare di cose che amava, anche quelle più particolari, perché mi facevano sentire come se conoscessi davvero ogni angolo della sua personalità. Mi raccontò che gli sarebbe piaciuto comprare qualcosa di quel tipo, ma che non poteva permetterselo. Il nostro dialogo da quel momento passò dall'essere un "vado a dormire" a un'altra di quelle notti in cui le ore scorrevano senza accorgercene, immerse nei nostri pensieri, nei sogni, nei desideri più strani e divertenti. Iniziammo entrambi a cercare dei cappotti che gli sarebbero potuti piacere. Non so cosa mi scattò dentro, ma senza pensarci troppo, presi la decisione di cercarlo io stessa, trovando online un cappotto che piaceva pure a lui. Si trattava di un regalo semplice, ma per me il suo sorriso valeva qualsiasi cosa.

Quando gli dissi che glielo avrei comprato, lui reagì come se non potesse crederci. Non si aspettava un gesto del genere. Continuava a ripetermi che non se lo meritava, mi chiese se fossi impazzita. Il suo stupore mi toccò profondamente, perché capivo che, in un certo senso, non era abituato a ricevere gesti di affetto inaspettati. Mi sembrava di vedere una parte di lui che non aveva mai lasciato trasparire: una fragilità che mi faceva sentire ancora più vicina a lui. Non gli dissi nulla, ma continuavo a comprare per lui, scegliendo con cura ogni articolo che gli sarebbe piaciuto. Gli mostravo le cose che gli compravo e lui non poteva crederci. La sua gratitudine mi fece sorridere, e il pensiero che lo stavo rendendo felice mi dava un senso di appagamento che non avrei potuto descrivere. Mi resi conto che, più di ogni altra cosa, quello che volevo era farlo sentire speciale, farlo sentire unico come lo era per me.

Ormai era passata mezzanotte quindi il giorno successivo, il 5 novembre, Simon mi scrisse qualcosa che mi lasciò senza parole. Mi confessò che sentiva di amarmi con tutto se stesso, e che stava finalmente cominciando a capire cosa significasse davvero stare con me. In quel momento, il mio cuore si fermò per un attimo. Le sue parole non erano mai state così intense, così sincere. In quel messaggio c'era una verità che non avevo mai messo in dubbio, ma che ora sentivo con una forza nuova. Simon stava iniziando a vedere le cose come le vedevo io, e le sue parole mi davano la sensazione che finalmente stessimo attraversando quella linea invisibile che separa l'amore dall'abitudine. La sua dichiarazione, che inizialmente sembrava quasi un timido passo verso l'impegno, mi fece capire che stava lasciando entrare davvero nel suo cuore la persona che ero.

"Voglio darti una seconda possibilità", mi scrisse. E io, nel leggere quelle parole, capii che, in fondo, anche io gliene stavo dando una. Quella seconda possibilità che non mi sarei aspettata proprio in quel momento, anche se sentivo che prima o poi sarebbe arrivata, ora era arrivata. Non c'era più spazio per i dubbi, per le incertezze. Quel momento, che avevamo entrambi vissuto con una certa paura, era finalmente arrivato. Ci eravamo trovati, non solo nei nostri sogni o nelle nostre speranze, ma anche nella realtà. In un istante, la distanza che ci separava non sembrava più così grande.

Simon mi chiese se volessi davvero questa seconda possibilità, e io, con una risposta che veniva dal profondo del cuore, gli dissi di sì. Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Le parole non servivano più, perché entrambi sapevamo che ciò che avevamo era reale, che quella seconda opportunità non era solo un'illusione, ma un qualcosa di concreto. Per me, quel momento significava non solo un nuovo inizio, ma anche una conferma che il nostro legame era ormai un punto di non ritorno. Non avremmo più potuto fare finta di non essere innamorati. Avevamo preso una decisione insieme, ed era una decisione che non avremmo mai più rimpianto.

Nel frattempo, continuavo a pensare a come Simon reagisse agli atti di affetto che gli dimostravo. Non riusciva mai a credere che una persona potesse fare qualcosa per lui senza aspettarsi nulla in cambio. Era come se non si fosse mai sentito davvero degno di essere amato in quel modo. Mi raccontò che non riceveva regali da tanto tempo, che nessuna ragazza gli aveva mai fatto un regalo simile: un completo per un cosplay. E io, che cercavo di dimostrargli quanto fosse speciale per me, sentivo una piccola frustrazione crescere dentro di me. Come potevo fargli capire quanto ci tenevo senza che lui pensasse che fosse solo una cosa banale? Ogni volta che lo vedevo reagire in modo così sorpreso, mi rendevo conto che per lui, fare un passo verso l'affetto, aprirsi completamente, era una difficoltà. Ma non mi importava. Io sarei stata lì, a dargli il mio amore, senza aspettarmi nulla in cambio.

Il 7 novembre, quando ci risentimmo, Simon mi scrisse una cosa che mi fece riflettere a lungo. "Non devi pensare che ti dico ti amo per i regali, cosa che, tra l'altro, mi ha fatto piangere di gioia, perché nessuna mi aveva mai fatto un regalo e nessuna era mai venuta da me. So di non dirti spesso 'ti amo', perché per me è una cosa che ha valore, e se si continua a dire sempre, perde di significato. Tutti sanno dire 'ti amo', ma pochi lo dimostrano veramente." Quelle parole mi colpirono in modo profondo, e mi fecero capire che Simon non cercava le parole vuote. Per lui, "ti amo" doveva essere una dichiarazione che avesse un peso, che fosse accompagnata da azioni concrete, da gesti che testimoniassero quell'amore. E io mi ritrovai a pensare che anche per me, dire "ti amo" non sarebbe mai stato abbastanza. Le parole avrebbero sempre bisogno di essere accompagnate da ciò che facciamo per l'altra persona, e ogni nostro piccolo gesto era diventato una promessa. Promettevamo di esserci l'uno per l'altro, in ogni circostanza.

Quella sera, durante una chiamata che sembrava non voler finire mai, Simon e io ci raccontammo ancora una volta i nostri sogni, le nostre paure. La distanza sembrava sparire, e l'unico pensiero che occupava la mia mente era che stessimo facendo la cosa giusta. Mi disse che non vedeva l'ora di venire da me. Anche io, in un modo più silenzioso, non vedevo l'ora di riabbracciarlo. Ogni nostro incontro, anche se distante nel tempo e nello spazio, era come se aprisse una nuova porta tra di noi. Ogni volta che ci parlavamo, ci avvicinavamo sempre di più a qualcosa che sembrava essere un futuro costruito a quattro mani. Quella chiamata si concluse con il solito "ti amo", ma stavolta non erano parole dette a caso. Erano parole che avevano finalmente un senso, che significavano "ti amo" in ogni forma, in ogni gesto, in ogni pensiero.

COME MI HAI CAMBIATO LA VITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora