IV - Anyone but you.

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Potrebbe andar peggio! Potrebbe... piovere!

Frankestein Junior

Mi rimetto in macchina e mi infilo in strada quasi senza guardare, beccandomi più di una suonata di clacson.

Odio questa città. Dannazione, quei nove mesi a New York sono stati un toccasana per il mio cervello. Nessuno, dico nessuno, pensa agli affari tuoi. Tutti si preoccupano solo di loro stessi e se tu hai voglia di aprirti con qualcuno, loro ti ascoltano, ma nessuno cerca di sapere i fatti tuoi. A Riverview impicciarsi è lo sport nazionale. Non può succedere qualcosa che subito quelle vecchie pettegole ne vengono a conoscenza e di conseguenza nel giro di dieci minuti lo sa chiunque, basta passare davanti al bar di Ned, un covo di pettegolezzi che prolifera come germi. Non avevo dubbi che già tutti sapessero del matrimonio - credo proprio di essere stato l'ultimo a venirne a conoscenza, ma sorvoliamo - ma almeno evitare di impicciarsi così, dai. Un po' di decenza.

Varco la soglia dell'ufficio con il bicchiere di caffè ancora in mano. L'enorme insegna "Hands for the Future", la Onlus di cui una volta ero un semplice consulente e adesso sono il coordinatore della sede di Riverview, sovrasta l'ingresso. C'è già troppa gente nella minuscola sala d'attesa. Non ricordo gli appuntamenti di oggi, ma so che sono tanti. Mary, la receptionist, sillaba un buongiorno mentre è già al telefono.

«Sei in ritardo.»

Karen è seduta sulla sedia di fronte al mio posto, una pila di documenti attorno a lei che mi fanno venire la nausea, la solita ruga in mezzo alla fronte che dimostra la sua concentrazione.

«Buongiorno anche a te, Karen», esordisco, posando il bicchiere sulla scrivania. Sistemo la giacca sull'appendiabiti e mi siedo sulla sedia girevole che mi ricorda, ancora una volta, che devo sostituirla perché ha una ruota rotta. Mi stropiccio gli occhi. Le parole di quelle pettegole di Shirley e Phyllis continuano a rimbombarmi in testa, ma devo smettere di pensarci e concentrarmi sulle mille cose da fare.

Cose che Karen non vede l'ora di elencarmi. Ha tra le mani la sua cartellina, la sua diabolica cartellina rossa, sulla quale sbircio un foglio con scritto, a caratteri cubitali, "COSE URGENTI PER DYLAN". Forse ho bisogno di un altro caffè.

«Sei abbastanza sveglio per fare il punto della situazione?» domanda il mio braccio destro da ormai cinque anni, anche se lavoro qui da dieci. All'inizio sono stato assunto come consulente finanziario per la casa-famiglia di Riverview, dove ho trascorso più di qualche anno della mia adolescenza, insieme a Helen. La mia laurea in economia è stata utile per risanare qualche finanza e doveva essere un impiego temporaneo, un piacere per l'allora Sindaco Brown, che conoscevo sin da quando ero un ragazzino, ma poi sono rimasto qui. La casa-famiglia è stata acquisita dalla "Hands for the Future", una Onlus la cui sede principale è a New York e quella decentrata a New Haven. Si occupa del futuro per i ragazzi che non hanno famiglia o che ce l'hanno con problemi economici, che hanno genitori che non possono occuparsi di loro, che vivono in un ambiente degradato che rischia di mettere a repentaglio il loro futuro. Per ragazzi come me e Helen. Sono fiero di poter dire che, da quando lavoro qui, Riverview è diventato un centro molto conosciuto per il supporto non solo ai ragazzi in difficoltà, ma anche alle famiglie nella stessa situazione, che magari non riescono ad arrivare a fine mese. La casa-famiglia si è ingrandita: abbiamo acquisito nuovi locali per i nostri ragazzi, nuovo personale, stanze più grandi, biancheria di qualità, cibo, supporto scolastico, doposcuola, assicurazione sanitaria, insomma, tutto quello che serve per farli vivere al meglio. Accogliamo e supportiamo non solo ragazzi e famiglie della nostra città, ma anche delle zone limitrofe, con un contatto diretto con la sede centrale. Organizziamo eventi di beneficenza, corsi professionalizzanti, laboratori di disegno, di musica, di sport, stringiamo accordi con le università per borse di studio che coprano in toto le spese studentesche, sensibilizziamo la comunità sui problemi dei ragazzi, cerchiamo famiglie in affido e fondi di supporto per loro, collaboriamo con moltissime organizzazioni locali, con le scuole, negli ultimi tempi ci siamo dati anche ai workshop su attività extracurricolari, ma anche su come gestire il budget, cercare lavoro, gestire lo stress. E poi, c'è il contatto umano. Cerco sempre di conoscere i ragazzi che entreranno in casa-famiglia e che sono alla ricerca di una famiglia affidataria, così come mi piace parlare con quelle in difficoltà. È un modo per capirli meglio, sia loro che ciò di cui hanno bisogno. Voglio che sappiano che possono contare su di me e che, nei limiti delle mie possibilità, farò di tutto per aiutarli. Vorrei essere per loro il supporto che io e Helen, tante, troppe volte, in passato non abbiamo avuto.

Il matrimonio della mia migliore amicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora