Prologo

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Dieci anni prima...

Eva

Il suono del pianoforte risuonava dolcemente nella stanza del soggiorno, mentre le piccole lacrime del cielo battevano contro la grande finestra del nostro appartamento.

Quelle melodie suonate dalla vecchia e dolce Jackie accompagnavano la maggior parte delle mie giornate, cantando ogni volta una sinfonia diversa: a volte erano allegre e brillanti, altre squillanti e sfacciate... erano un susseguirsi di note capaci di creare la giusta dimora per l'immaginazione che molti di noi bramavano di avere.

Io ero stata fortunata.

Io avevo il privilegio di avere Jackie.

Era lei la mia fonte d'ispirazione per quell'immaginazione.

Lo stimolo della mia creatività.

Ero seduta sul vecchio divano grigio, ai miei piedi c'era lo zaino pieno di vestiti insieme a qualche sterlina ritrovata nei vecchi cassetti, e guardavo il monolocale vuoto di ogni mobile, se non per la seduta su cui mi trovavo e il piccolo cucinotto attaccato alla parete color crema.

Il giorno prima, avevamo svuotato l'appartamento e donato quanto più possibile ai nostri vicini di casa per ripagare l'aiuto offertoci nel corso di questi ultimi due anni; i quadri, le poltrone, i libri erano tutti spariti, così come i miei cactus e i piatti di ceramica blu della madre di Kyle che ancora non avevamo provato.

Non ne avevamo mai avuto l'occasione.

Nemmeno una volta.

Il quartiere di South Kensington quel pomeriggio era deserto, sentivo solamente qualche gridolino infantile che lottava per vincere a nascondino o alcuni clacson in lontananza per il classico traffico delle sei.

Odiavo il traffico di quel quartiere.

Odiavo la prepotenza delle persone.

Odiavo quelle persone.

In quel momento ero da sola in casa: Kyle era andato a salutare sua sorella mentre io avevo il compito di finire di preparare la mia valigia per la nostra partenza imminente verso Sud.

Avrei dovuto salutare anche io qualcuno.

Sulle mie gambe, giaceva la lettera che mi scrisse mio padre, poco prima di lasciare andare la mia mano per sempre, e l'avevo letta così tante volte da poterla quasi recitare ad alta voce come se fosse Amleto.

Ma non seppi spiegare il motivo del perché, dopo anni, decisi di ripescarla dallo scatolone che tenevo nella soffitta della casa di mia madre.

Una soffitta che presto, non avrei mai più rivisto.

Un tuono fece tremare il mio corpo: una tempesta si sarebbe scatenata presto.

Con un sospiro tremolante mi alzai dal divano per avvicinarmi alla vetrata che dava sullo Yalta Memorial Garden per osservare il cielo scuro che si stava per abbattere su Londra.

Un tempo sconsigliato per volare.

E forse quello era un segno.

Forse non dovevamo partire oggi.

Non in quel momento.

Non in quel modo-

No.

Ma cosa stavo blaterando?

Certo che dovevamo.

Io e Kylie saremmo stati bene a Parigi... lui avrebbe aperto il suo studio legale come da programmi e io avrei trovato un lavoretto in qualche ristorante del posto per contribuire alle spese della nuova casa.

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