CAPITOLO 2.

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𝐓𝐑𝐈𝐆𝐆𝐄𝐑 𝐖𝐀𝐑𝐍𝐈𝐍𝐆:
𝐌𝐎𝐋𝐄𝐒𝐓𝐈𝐀

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Non mi piaccio, non mi piaccio affatto. Mi sento scoperta, sporca, inadatta. Questo è tutto ciò che riesco a pensare mentre mi osservo allo specchio, anche se un po' sporco e graffiato, con gli occhi fissi sulla striminzita divisa che mi hanno ordinato di indossare qualche minuto fa.

È aderente e arancione, un colore che non passa di certo inosservato, con dei pantaloncini corti che si tendono sulla rotondità del mio sedere e una scollatura ad U che mi evidenzia il seno, rendendolo più prosperoso di quello che è di solito. Poi il mio sguardo sale più su e si fissa sulla cicatrice che mi segna le guance, ai lati della bocca, che rende i miei rari sorrisi inquietanti. Ecco perché non sorrido mai. Mi ritrovo a chiudere gli occhi, stringendo il lavandino mentre cerco di calmarmi.

Combatto l'impulso di strapparmelo di dosso per lanciarlo fuori dalla finestra, ma solo perché non ho ancora iniziato il mio secondo lavoro e non ho alcun soldo messo da parte. Il pensiero che il corpo della donna venga così tanto svalutato, arrivando a diventare un oggetto da mettere in mostra con il solo scopo di attirare più clientela, come se fossimo dei fenomeni da baraccone in un circo che non conduciamo noi, mi fa ribrezzo. Mi fa anche piangere un po'.

Perché noi siamo più di un corpo da mostrare, di un bel seno da vedere o di un bel sedere da provare a toccare. Siamo molto di più di questo. E noi lo sappiamo. Sono loro che non lo sanno.

Scuoto la testa e prendo un grosso respiro, chiudendomi la porta del bagno alle spalle con un coraggio che non sento di avere. Il calore dei riscaldamenti mi si posa subito addosso e l'odore degli alcolici che girano per tutti i tavoli mi fa storcere il naso. Oggi è venerdì e a quanto pare è il giorno preferito della cittadina, dove la gente esce e si diverte prima di partire per un breve weekend.

Mi asciugo il naso, che scola per via delle lacrime che ho versato prima, e un corpo massiccio mi scivola accanto per poi piazzarsi di fronte a me. Christopher osserva i miei occhi e poi aggrotta la fronte.

«Stai bene?».

Annuisco e tiro su con il naso. «Allergia». Lui annuisce, ma non ne sembra particolarmente convinto. «Come mai mi sono dovuta vestire come un Lorax? Ne sai qualcosa?».

«Come un Lorax?!», lo vedo gettare la testa all'indietro ed esplodere in una risata fragorosa. Poi ritorna serio improvvisamente, i suoi cambi d'umore mi danno alla testa. «Sei un po' più appariscente del solito perché il venerdì vengono delle... persone importanti, qui. Persone a cui piacere guardare».

Mi ritrovo a deglutire a fatica. «Non è una cosa carina».

«Lo so, mi dispiace. Ma è solo per tenerli buoni. Quello che accadrebbe se non lo facessimo sarebbe anche peggio, fidati».

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