Step 1 (paura)

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Mi muovevo in fretta, veloce come  il vento. O almeno era quello che credevo. Adesso tutto ciò che rivivo è una scena a rallentatore, ma se mi concentro posso ancora sentire i battiti forti e veloci che mi rimbombavano nel petto, mentre le gambe continuavano a muovere passi frettolosi e il fiato non mi arrivava ai polmoni.
Se racconto tutto questo, oggi, è perché ho bisogno di ricordare. Di ricordarlo.

Era, in verità, una giornata stranamente tranquilla. Niente sirene della polizia, niente ambulanze, niente sparatorie, niente sangue. Adesso che ci penso era effettivamente troppo tranquilla.
Mi ricordo che io e Adam stavamo abbracciati sul dondolo sul portico di casa mia. Non era una persona affettuosa né dolce, ma a volte aveva quegli strani momenti in cui anche lui aveva bisogno di essere abbracciato, baciato, accarezzato. Erano rari; era più probabile che mi mandasse via, mi desse della stronza e si chiudesse a riccio, più che chiedermi un po' di affetto. Ma avevo imparato a capirlo. Quel giorno era uno di quelli.
Era tutto troppo tranquillo, tranne lui, che non faceva altro che stringermi a sé.
Mi ricordo di averlo baciato sulle labbra parecchie volte, prima che succedesse.
Non stavamo parlando di niente, perché entrambi preferivamo il silenzio alle parole e ci capivamo solo con sguardi e sorrisi, noi due. Anche la città era stranamente silenziosa. Quindi quando arrivarono li sentimmo subito.
Adam teneva una pistola infilata dietro, nei pantaloni. Lo rimproveravo sempre perché non mi piaceva che se la portasse sempre appresso. Adesso, con il senno di poi, ringrazio quel Dio in cui ho smesso di credere per aver fatto in modo che ce l'avesse con sé.
Sentimmo il primo sparo nel momento in cui le sue labbra erano sulle mie e le sue braccia mi tenevano stretta al suo petto.
Adam balzò in piedi, la mano destra già ad afferrare la sua pistola.
Eravamo così concentratati su noi stessi che non sentimmo da che parte provenisse il suono. Io sentii il cuore balzarmi nel petto, le gambe tremare e quando provai ad alzarmi dal dondolo mi cedettero le ginocchia e tornai seduta. Adam aveva il volto teso, la mascella contratta e gli occhi scuri che tanto amavo avevano perso l'abituale luce.
Spuntarono due ragazzi da dietro la staccionata, quasi a beffarsi di noi roteavano le pistole tra le mani e ci sfidavano a muoverci.
Ero cosciente di ciò in cui Adam era immischiato in quella città, nonostante la sua - e la mia - giovane età, ma tutti là erano immischiati in qualcosa. Sapevo a cosa andavo in contro quando ho scelto di stare con lui, nonostante tutto. Ma probabilmente non ero cosciente realmente di quello che sarebbe potuto succedere. Non ero pronta a quello. Non lo sarei mai stata.

Ricordo la paura di averli davanti, quei sorrisi bastardi e gli occhi maliziosi. Ricordo la mano sinistra di Adam stretta alla mia, mentre l'altra stava dietro la sua schiena, ad impugnare la pistola.
Ricordo quei due che ridevano di noi, divertiti dalla nostra paura. Nonostante Adam non volesse mostrarlo sapevo che era spaventato. Ma non per sé stesso. Non aveva mai paura per sé. È che c'ero io con lui e ciò che più lo spaventava era che mi succedesse qualcosa a causa della vita che era costretto a condurre.
Si spostò davanti a me, come per proteggermi. Gli occhi fissi in quelli dei suoi nemici.
La città continuava a fare silenzio.
Quando riuscii a riprendere il controllo di me stessa e ad alzarmi - nonostante le gambe e le mani mi tremassero - mi misi al fianco di Adam. Era concentrato e teso, ma mi baciò la guancia e si avvicinò al mio orecchio.
"Quando ti dico 'vai' tu entra in casa correndo ed esci dalla porta sul retro. Corri più forte che puoi, piccola. Non devi fermarti."
Stavo per chiedergli e tu? tu che fai? rimani qui da solo davanti a loro? resto con te., ma quando mi guardò con quegli occhi urlandomi quasi fai come ti dico! attraverso essi, annuii velocemente.
Ero spaventata, bloccata, terrorizzata. E mi fidavo ciecamente di lui. Continuavo a ripetermi che mi avrebbe raggiunto, che avrebbe aggiustato le cose sarebbe tornato da me, e avremmo parlato fino a notte fonda, ci saremmo baciati e avremmo fatto l'amore, quella notte.
Non potevo sapere che quella decisione mi avrebbe causato notti insonne, sensi colpa, incubi permanenti.
Digrignò i denti e ringhiò quel vai.
Fui più veloce che potei, scattai verso la porta con il cuore che mi usciva dal petto, e credetti di svenire da un momento all'altro quando un proiettile mi sfiorò la pelle. Non sentivo più rumori, solo un fischio continuo nelle orecchie, e le parole che Adam mi aveva sussurrato poco prima. "non devi fermarti".
Attraversai la casa facendo lo slalom tra i mobili, e andai nel panico quando a causa delle mani tremanti non riuscivo ad aprire la porta. Riuscii ad uscire e feci quello che il mio grande amore mi aveva detto di fare. Continuai a correre. Sempre più veloce, con il fiato corto, la sensazione che qualcuno mi avrebbe presa da un momento all'altro e la paura che minacciava di bloccarmi i piedi con i suoi artigli neri.

Adesso se chiudo gli occhi posso ricordare i due spari, i battiti aumentare nel petto, le ginocchia cedere e i polmoni bruciare. Ricordo l'ambulanza, la polizia, le voci dei vicini.

Ricordo un grido strozzato e poi nient'altro.
Il buio, il silenzio, la paura.

Avevo paura di vivere una vita senza di lui.
Adesso abito in quella paura, perché niente potrà mai spaventarmi come la sua assenza. Assenza che non potrà mai essere colmata.

E mi spaventa anche questo.

numero parole: 945

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