Acqua e sabbia

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Una goccia sgorgava da quella fenditura che solcava il verde degli occhi di Jessica, le guance sporche di fango e polvere venivano leggermente inumidite da quelle lacrime di disperazione. Piccole gemme di malinconia in contrasto con la treccia castana dei capelli, che le cingevano il capo come una corona. Era lì, rannicchiata in un angolo della cella fredda e tetra, con le sbarre di ferro arrugginito, come seppellita in una scatola grigia costellata di muschio e muffa."Domani morirò..." pensava, "non sarà così male, cosa potranno mai farmi ancora? Mi han tolto già tutto" e nel riflettere si toccava le ferite delle flagellate sulle braccia, che ancora bruciavano per il sale gettatoci sopra. Il sale...che abbondava molto a Salisburgo, punto di snodo dell'impero per il commercio e per la produzione mineraria, nonché prefettura delle aree teutoniche sotto la tutela del Gran Sacerdote Camillus Servius Cornelius. E quell'uomo, nel suo abito nero come la terra bruciata dei campi, quello sguardo penetrante, malvagio e contaminatore non faceva che assediare l'anima della ragazza. Le veniva in mente il tribolato cammino dal suo paese fino a lì, i piedi ricordavano il suolo freddo, il graffiare delle rocce, lo spinoso tocco della steppa; lo stomaco conosceva bene la fame, costretta a mangiare solo una volta ogni due giorni e che cosa mangiare. Vermi, insetti, pane vecchio...cibi inconsueti, ma per tenersi stretto il suo dono aveva fatto questo ed anche altro. Ora Jessica giaceva raccolta, privata pure di quello, il filo invisibile del mondo. Non sentiva più nulla, la vita sembrava averla già abbandonata, tanto valeva abbandonare anche il corpo. "Morire a sedici anni...non è giusto" pensava. Si addormentò così, cullata dalla sofferenza, coperta dalle vesti stracciate in pelle e tremante dal freddo.

Un rumore di chiavistello la sveglio dopo poco, era l'ora. Due guardie, con sulla tabarda la croce rossa con il drago verde avvinghiato, la presero perle braccia, mentre apparve dalla penombra lui, Camillus Servius Cornelius. Stette davanti a lei per un po', guardandola come bramandone la carne, le ossa, l'anima. Ci provava gusto a vedere la rassegnazione in tutti quelli che passavano di lì e, come gustandosi la scena, le disse:« Puoi ancora dirci come fare, se vuoi vivere».Lei invece gli sputò in faccia furiosa e mormorò a denti stretti:«Meglio morire che tradire mio padre». Il sacerdote, oltraggiato da quell'affronto, sfoderò una mano da dietro la schiena e la colpì violentemente sulla guancia, che si arrossò subito. Lei incassò il colpo e continuò a guardarlo con rabbia, come qualcuno che ormai non ha nulla da perdere, sapendo che questo lo avrebbe fatto infuriare ancora di più che lo sputo. Stette un attimo in sospeso e poi, schernendola, sorrise dicendo:«Sei solo una pazza incosciente, vai e muori come credi, ma non rimpiangere la mia offerta quando le fiamme della mia ira ti squarceranno la carne». Jessica controbatté:«Risparmiami la tua maleodorante retorica, fai ciò che devi e basta».

«Hai preso d'un tratto coraggio?» replicò di nuovo lui. Si avvicinò all'orecchio di lei e le sussurrò maliziosamente:«Sarà un piacere sentirti urlare». Detto ciò fece strada alle guardie che avevano osservato in religioso silenzio le ultime battute di una vita che di lì a poco si sarebbe spenta. Camminando lungo lo stretto sotterraneo si udiva solo lo scalpitio delle catene alle mani e ai piedi di Jessica, mentre un bagliore di luce solare traspariva davanti a loro.

Erano giunti alla volta che conduceva all'entrata dell'arena,inferriate metalliche arrugginite, il terriccio che sconfinava sulla pietra di cui era fatto il pavimento, le urla della folla riecheggianti nell'aria e l'accecante bagliore del sole sulla sabbia. Le venne infilato tra i denti un panno imbevuto di aceto, stretto saldamente dietro i capelli, che venivano unti da quell'odore acre, l'ultimo sapore che avrebbe sentito, acido, amaro e salato. Dai suoi occhi trasalivano solo lacrime ripensando all'addio alla vita, mentre veniva fatta camminare verso il centro degli sguardi. Guardandosi attorno, Jessica scorgeva solo gli occhi condannanti del popolo accorso a quello spettacolo, non una lacrima, non un segno di pietà,non una parola di sdegno per quel che stava per accadere. Era sola, ormai prossima a morire, e nessuno l'avrebbe aiutata, poiché tutti condividevano quell'atrocità, anzi ne erano divertiti. Incatenata al centro a degli anelli sul suolo, lei tentò di dimenarsi, ma fu violentemente colpita da un pugno di uno dei due allo stomaco che le tolse il fiato e la costrinse a guardare senza forze lo svolgersi degli eventi. Venne fatto un gesto da una delle guardie e calò il silenzio, poi accadde che, come per l'inizio di una recita, il Gran Sacerdote, con la sua tunica bianca e la mitra viola, su cui era finemente ricamata una croce argentata, s'impadronì della scena.

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