All'ombra del fuoco

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Il fuoco strepitava fra le ultime braci rimaste, l'ideale per arrostire un boccone pescato poco prima. Così i due ragazzi avrebbero cenato quella sera dopo un'incredibile successione di eventi. Le pareti rocciose della grotta che li aveva accolti erano irregolari e acuminate, ma comunque più accoglienti di quello che era stato l'ultimo giaciglio di Jessica. Se ne stava rannicchiata vicino al focolare per evitare di raffreddarsi, con i piedi nudi che potevano sentire la gelida e umida terra, avvolta in una coperta di fortuna ottenuta dal saio con cui Eliah si era mimetizzato per poter entrare nell'arena. Lui, dal lato opposto, contemplava quella fitta coltre di felci e cespugli che si estendeva forse in lontananza, forse no. Non avevano parlato molto da quando erano fuggiti, regnava solo silenzio ed ormai si era fatto buio, ma ancora nulla. Eliah, allungò un braccio vicino al fuoco e, preso uno degli spiedi, lo porse ad Jessica e consigliò:«Mangia». Ecco, il silenzio s'era interrotto, tuttavia nelle sue parole la ragazza non riusciva a percepire emozioni, solo distacco, freddezza, apatia. Lei tese la mano e, preso il suo pasto, lo osservò con occhi sognanti. "Un pesce, un delizioso pesce" pensò, e lo addentò senza tanto considerarne la cottura un po' esagerata. Il sapore le dava nuova vitalità, poteva gustare l'acqua in cui quell'essere era nato, la sua vita, tutto quanto, come se esso fosse una parte di lei. Vedendo la foga con cui la ragazza mangiava, Eliah non poté fare a meno di sorridere e lei, notato ciò, inghiottito il boccone:«Allora – disse - sai sorridere anche tu!» e cominciò a ridere. Scocciato, Eliah le rispose sbrigativamente:«Se hai fame mangia anche l'altro, a me non serve» e tornò a guardare di fuori, come se stesse facendo un turno di vedetta. Lei, intristita per quella reazione, non sapeva cosa rispondere né aveva voglia di polemizzare; semplicemente si limitò a rifiutare l'altro pesce quando lui glielo porse, sebbene la fame le ordinava di divorarsi pure il secondo. Jessica, dopo aver buttato il ramoscello di legno che fungeva da stecco a ravvivare il fuoco, mormorò tra i denti"grazie" e lui, sentendo ciò, si girò rispondendole:«Ho solo seguito gli ordini» e lei, stupita e incuriosita al contempo, domandò:«Di chi?» «Dopo te lo spiego, perché non riposi?» Rimase infastidita dal rimandare la risposta a dopo, era infatti un animo curioso, non sapeva molto di Eliah, ma si era accorta che fosse anche lui un "iniziato", sapeva che c'era qualcosa oltre il tatto, il gusto, l'olfatto, la vista, le emozioni e i pensieri. Che fosse un essere spirituale molto potente l'aveva già capito, dopo che lui aveva scatenato un uragano nell'arena e aveva incendiato l'aria. Capacità come queste sfuggivano alla sua comprensione, qualcun altro doveva essere con lui, qualcosa doveva assisterlo...ma aveva un prezzo. Non si era dimenticata dell'odore di sangue uscito dalla sua bocca, dei colpi di tosse che sembravano portargli via la vita, dunque doveva avere delle conseguenze tutto ciò che faceva. Spinta dalla curiosità, sentendo che avrebbe trovato delle risposte, gli chiese:«Come hai fatto a...» ma non fece in tempo a finire la frase che lui la interruppe dicendo:«Non sono stato io, ho solo diretto le cose». Allora lei continuò:«Cosa ti è successo poi? Tossivi sangue e...» «Ho spezzato delle vite, mi sembra il minimo che mi possa succedere, fa parte del riequilibrio quando "forzi gli ingranaggi"» la interruppe malamente:«Tuttavia – riprese –non sono dispiaciuto, volevano ucciderti e ucciderci, non ho rimorso. Invece tu...» e fece un gesto come per tentare di ricordarsi il nome di lei. «Jessica...» gli suggerì la ragazza scocciata, «Sì, sì, giusto, Jessica – continuò lui – cosa ci facevi lì?» Lei, non potendo trattenere le lacrime, si mise a piangere nel ricordare quel suo viaggio di sofferenza e disperazione. Preso il proprio volto tra le mani si era nascosta tra le sue ginocchia nel tentativo di non dar a vedere quel pietoso spettacolo. Poi sentì una mano sui suoi capelli sporchi, era Eliah che le accarezzava la testa mentre le diceva:«Raccontami, ormai è passato». Lei, sollevatasi, si asciugò le lacrime e cominciò a raccontare:« Sono nata a Norimberga, nella Provincia Teutonica, mio padre, Friedrich von Raben, era un nobile decaduto e aveva sposato mia madre, Maria la figlia di un maniscalco di cui non so nulla. Mi raccontava spesso di lei, era bella, con i capelli castani, slanciata, l'aveva definita un angelo caduto nella sua vita...mi disse che era morta poco dopo la mia nascita, ma spiegava anche di aver superato l'accaduto. Mio padre diceva che era grato al cielo per avermi fatto vivere e voleva conoscere come. Un uomo così buono e intelligente...sai, era diventato anche un filosofo, ma non solo, lavorava nel seminterrato allo "studio della natura"».

«Alchimia...»

«Non lo so, ma perché me lo chiedi?» chiese Jessica sorpresa.

«Secondo te perché sono qui?»

«Naturale– riprese – cercate tutti la sua sapienza. Tu non sei diverso da loro! Potevi lasciarmi anche..»

«Smettila cazzo! – la interruppe alzando la voce e con lo sguardo furibondo –Non mi interessa il lavoro di tuo padre, m'interessa che tu sia viva e che i fottuti preti non sappiano nulla dell'Elisir».

Lei sentendo quella parola, sorpresa forse, oppure basita, non chiese più nulla. Ricominciando a raccontare disse:«Visto che lo sai, sì...la Chiesa la vuole. Eravamo in casa, stavo cucinando una zuppa di verdure e papà era nel seminterrato. Ad un certo punto, senza bussare, ho sentito un rumore distinto, come se qualcosa di pesante fosse caduto. Sfondarono la porta dei soldati e, una volta entrati, hanno rubato tutto il possibile, mi hanno presa con la forza in cucina. Ho provato a difendermi con il coltello che avevo a portata di mano, ma uno di loro mi ha colpito in testa con il manico della spada, ho solo vaghi ricordi del dopo. Ombre...non so spiegartelo. So che ci hanno separati, ma mi fa ancora male la testa se ci penso.Sento in continuazione le urla disperate di mio padre che invoca il mio nome e dice di lasciarmi stare. Mi han buttato in un qualche stanzino di un paese vicino a Norimberga. Non so dirti dove, so solo che da lì mi hanno trascinata a piedi quasi completamente nuda fino a Salisburgo. Poi...poi...» e non riuscendo a proseguire, riprese a piangere stringendosi addosso il panno che la copriva. Eliah, non sapendo che fare, prese l'altro pesce e glielo porse dicendo:«Tu mangia questo, mi racconterai più tardi. Ora vado a procurare dell'acqua, d'accordo?» e lei annuì afferrando il cibo. Scostata la vegetazione, Eliah sparì dall'entrata e Jessica si avvicinò al fuoco. Si guardava le mani mentre reggeva lo spiedo, i piedi, si toccava il viso, tutto era perfetto. Quei segni di frusta, quei lividi, quelle piaghe erano scomparsi. "Eliah ha un grande potere" pensava, e asciugati gli occhi staccò un pezzo di carne dal pesce e se lo mise in bocca. Solo un piccolo boccone – si ripeteva – devo mangiare lentamente.

Si sentì un fruscio tra le piante, era tornato. Avvicinatosi di nuovo al fuoco, venne illuminato meglio dalla luce e Jessica scorse nella sua mano un recipiente di fortuna ottenuto da un tronco cavo. Lui gliela diede e le consigliò:«Bevi a piccoli sorsi, è acqua pulita quindi non preoccuparti». Finito il pesce e gettato lo stecco nel fuoco, lei prese quel recipiente in legno e accostate le labbra all'apertura, bevve lentamente ma gustando quell'acqua come se fosse la bevanda più buona che potesse esistere. Dopo aver posato a terra il bicchiere improvvisato, Jessica non volle proseguire, riusciva ancora a percepire il dolore, il frastuono, la perdizione in cui era stata obbligata a respirare per giorni, si raggomitolò di nuovo cercando di farsi il più piccola possibile. Eliah non parlò più,si avvicinò spostandosi di lato con le mani e la fece distendere vicino a lui, cosicché lei potesse appoggiare il viso sulle sue gambe incrociate mentre lui osservava l'ingresso del rifugio appoggiato alla roccia. La luce proiettava le loro ombre tremanti sulla roccia e c'era in quel momento solo l'imbarazzo di chi non sa che dire.



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