Iniziazione

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Jessica fissava il suo riflesso nello specchio che reggeva in mano. La gonna slava di Rivkah le piaceva molto, continuava a passare la mano fra quelle pieghe rosse, controllando di tanto in tanto i piccoli bottoni con cui era fissata alla sua vita. I motivi intrecciati dell'orlo, con una tendente dominanza del marrone, si intonavano bene con la camicetta nera, le cui maniche riportavano lo stesso motivo. "Rivkah ha davvero buon gusto" pensò mentre si spazzolava i capelli.

I suoi pensieri furono interrotti dal bussare di qualcuno alla porta: lei disse di entrare, ma la voce di Eliah da dietro la porta le intimò di scendere in fretta, perché Akiva la stava aspettando.

Velocemente aprì la porta per scendere, ma si trovò davanti ancora Eliah che la squadrò per qualche secondo.

«Sembri una di qua...e vedo che ti sei messa qualcosa ai piedi» commentò scherzosamente riferendosi alle scarpe in cuoio che Jessica indossava. «Beh – rispose la ragazza ridendo – vuoi farmi passare o hai intenzione di guardarmi le scarpe ancora a lungo?»

Eliah sorrise com'era suo solito, inarcando leggermente di più la guancia sinistra rispetto all'altra, cosa che Jessica non riusciva a dimenticare, poi rispose:«Bene, divertiti allora. Non far aspettare troppo il vecchio». Jessica annuì ricambiando il sorriso, Eliah se ne andò per il corridoio verso la sua stanza, lei prese la sinistra e scese le scale apparendo davanti ad Akiva e Rivkah. I due, in quel momento, si presero per mano e Akiva mormorò all'orecchio di sua moglie:«Sembri tu vent'anni fa». Rivkah lo rimproverò con lo sguardo, non era il momento per pensare alla loro gioventù, poi si avvicinò a Jessica complimentandosi per come le donasse il vestito. Akiva invece prese il suo cappotto in pelliccia e porse l'altro alla ragazza, poi entrambi uscirono salutando Rivkah che rimase per un attimo sulla soglia. Le vie di Praga la incantavano, la gente sembrava cordiale ed era tutto molto diverso rispetto alle città dell'Impero. Non si respirava un'atmosfera grigia e monotona, ma i colori delle case, la loro personalità, trasmettevano un'aria di vita e gioia alla ragazza.

«Ti piace proprio la città, vero?» chiese Akiva per intavolare una conversazione.

«Molto, è davvero bella» rispose lei entusiasta.

«Siamo tutti contenti che tu ti senta bene qui, Jessica»

La malinconia però non tardò ad arrivare, le ritornò ancora in mente suo padre, tutte le fatiche affrontate e si fece prendere dallo sconforto:«Posso chiederLe una cosa?» domandò a quel punto lei con voce insicura.

«Certamente»

«Dov'è mio padre?» disse affranta.

Akiva osservò l'espressione di tristezza della giovane, le mise una mano sulla spalla per confortarla mentre cercava le parole giuste per poter rispondere. Quel tempo di attesa fece intuire a Jessica che non era una risposta che avrebbe voluto sentire, ma Akiva repentinamente rispose:«Non lo sappiamo, ci ha avvertito tramite una tecnica perfezionata da me e lui, ma richiede molta energia e lui non pareva averne molta rimasta. Respirava affannosamente, ripeteva le stesse cose, si vedeva che fosse molto provato. Probabilmente sarà in un luogo sicuro, ma sono certo che non sia morto. Se lo conosco bene, starà cercando di rimettersi in fretta per venire qui».

Jessica si sentì leggermente sollevata sentendo quelle parole di conforto, anche se l'attimo di esitazione di Akiva le lasciò qualche turbamento. Tuttavia si accorse che erano arrivati a destinazione ed il vecchio aprì una porta chiusa a chiave: spalancata questa, vide una piccola scalinata scendere in uno stanzino e Akiva si infilò lì dentro, venendo seguito da lei. Era buio, non si vedeva praticamente nulla, si sentiva solo lo scricchiolio delle scale sotto i passi dei due. Arrivati in fondo, Akiva mormorò qualcosa e Jessica chiese cosa avesse detto, ma non giunse risposta. Improvvisamente si accesero contemporaneamente molteplici candele che illuminarono la stanza in cui erano entrati: non era eccessivamente grande, i muri erano evidentemente vecchi, il pavimento era di semplice legno, mobili occupavano la parete davanti a loro e in mezzo a queste vi era una piccola nicchia in legno, con una serratura. Un leggio stava davanti a quelle che erano librerie piene di volumi, e un piccolo tavolo al lato destro era occupato da cofanetti, carta, calamaio, penne varie. Jessica rimase meravigliata da quell'evento miracoloso, Akiva intanto si era avvicinato al tavolino per prendere alcune cose. Poi si inginocchiò al centro della stanza e, con un gesso, cominciò a tracciare alcune forme geometriche: comparvero sul pavimento una stella a sei punte alle cui estremità erano però posti dei cerchi, ve n'era un altro al centro di essa e tre fuori dalla stella, in direzione del leggio, che formavano un triangolo congiunto da delle linee. Tutt'attorno poi Akiva tracciò dei glifi dal significato oscuro, ma di bella forma, infatti alcuni avevano dei pistilli, altri curve armoniose, altri ancora punte decise. «Vieni, sdraiati qui» le consigliò poi il vecchio, indicando il cerchio al centro della stella. Lei, con un po' d'incertezza, fece come richiesto anche se temeva di sporcarsi il vestito. Prima di poggiare la testa però, Akiva le pose sotto il capo il suo cappotto piegato, affinché stesse comoda e le sorrise. Jessica ricambiò il sorriso, ma era ancora visibilmente nervosa.

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